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CAMeC Centro Arte Moderna e Contemporanea della Spezia presenta "Terra Cielo Iperuranio"


Una quindicina di opere, rappresentative di un percorso focalizzato sulla leggerezza e sulla magia, capace di abbracciare l'infinitezza dell'universo.


Dopo il successo riscosso nei musei internazionali, da Madrid a Beirut, da New York ad Atene, il duo artistico Antonello Ghezzi approda al CAMeC Centro Arte Moderna e Contemporanea della Spezia con la mostra Terra Cielo Iperuranio, curata da Eleonora Acerbi con un testo critico di Cesare Biasini Selvaggi.

Al piano zero del Museo, fino al 14 gennaio 2024, sarà esposta una quindicina di opere, rappresentative di un percorso focalizzato sulla leggerezza e sulla magia, capace di abbracciare l'infinitezza dell'universo e l'intimità delle relazioni umane, che Nadia Antonello (Cittadella, 1985) e Paolo Ghezzi (Bologna, 1980) hanno deciso di intraprendere insieme a partire dal 2009.

Il percorso espositivo, ideato dagli artisti stessi, suddivide le opere su tre livelli - Terra, Cielo e Iperuranio - secondo un itinerario non necessariamente cronologico, ma tematico, che si propone di accompagnare il visitatore in un viaggio di scoperta, per potenziare il pensiero e allenare l'immaginazione.

La prima sala corrisponde alla Terra, il luogo delle relazioni, dove trovano posto i primi grandi progetti di Antonello Ghezzi. Si potranno abbattere muri con bolle di sapone, il modo meno violento che esista, attraverso l'opera Blow against the walls. Si potrà interrogare l'oracolo con T'Oracolo, un progetto nato nel 2010 che ha visto mutare continuamente la sua forma, tenendo tuttavia invariato il meccanismo per il quale «io T'Oracolo e tu sarai l'oracolo per qualcun altro». Un'opera semplice, fatta di fogliettini e di sole domande, carica però di tensioni universali che spingono gli uomini a capirsi gli uni con gli altri. Sarà inoltre esposta l'installazione Attesa dell'amore, un grande specchio che alla fine dell'Ottocento decorava la sala d'aspetto della stazione di Pistoia e che, passando dal laboratorio del duo grazie all'interessamento della Galleria Vannucci Arte Moderna e Contemporanea di Pistoia, ha visto incisa e illuminata la scritta che dà il titolo all'opera: un invito a specchiarsi e a leggersi nell'attesa dell'amore, chiave di volta della prima sala. A permettere il passaggio al secondo livello, una delle opere più importanti per gli inizi della carriera di Antonello Ghezzi: La porta che si apre col sorriso. L'installazione, situata quasi al centro della stanza, ma posta in corrispondenza dei varchi verso il Cielo e l'Iperuranio, permette a chiunque di passare lateralmente; attraversarla però porta in un'altra dimensione e il sorriso è l'unica chiave di accesso.

La seconda sala, dedicata al Cielo, tenta di far alzare i piedi da Terra, ancora solo leggermente. Alcune bandiere appese, che riproducono la Via Lattea, incorniciano un piccolo ufficio immaginario, dove si potrà firmare la propria Cittadinanza della Via Lattea. Un'opera politica che ricorda al visitatore quanto la vastità dell'universo possa essere un'opportunità per il genere umano, per guardare le stelle e capire chi si voglia realmente essere. L'opera Legare la terra al cielo presenta una stampa fotografica su specchio retro-incisa, nella quale si intravede una performance avvenuta nel 2021 tra campi e colline immerse nel buio. Dei sottilissimi fili fluttuavano alzati da grappoli di palloncini e si illuminavano fiocamente, portando le persone alle stelle. E se di notte ci sono le stelle, di giorno si formano le nuvole. Le nuvole sono per Antonello Ghezzi una metafora che parla di leggerezza, di speranza e di un altrove immaginifico. Un'intera parete espone, dunque, le nuvole che gli artisti hanno realizzato esplorando supporti diversi, dalla carta, allo specchio, al marmo. Rafforza questo concetto la Scala per andare a prendere le nuvole, fatta di legno almeno nella sua parte più terrena, ma che presto si tramuta in inchiostro blu, fino a raggiungere una nuvola dello stesso colore. A fare da ponte per la terza sala è una grande installazione posta davanti alla porta di accesso, al centro della sala: Alla Luna è un tapis roulant che all'inizio del suo percorso aveva sul suo display la cifra 384.400 Km, ovvero la distanza che separa l'uomo dalla Luna. Solo mettendo insieme i passi di tutti, in una missione collettiva, si potrà raggiungerla.

La terza sala è dedicata all'Iperuranio. Già da lontano, nelle altre stanze, si vedeva un grande cielo stellato. L'opera, intitolata 27 06 1980 20:59, proviene dal Museo per la Memoria di Ustica e riproduce la mappa esatta di come erano le stelle nel giorno della tragedia. In alto nella sala è appeso un grande semaforo che emette luce blu. Uscito da una favola di Gianni Rodari, il semaforo dà il Via libera per volare. Domina lo spazio un'altana tutta blu sopra alla quale è posto uno scrittoio e la sua sedia. Si tratta dell'installazione Al di sopra del rumore di fondo ed è un luogo estrapolato da una fiaba inventata dagli artisti per Villa Rospigliosi di Prato, dove un tempo vivevano dei pirati artisti. L'ultima opera che si vede uscendo dalla sala è un'installazione realizzata a partire da una fotografia della NASA, esposta al CAMeC grazie alla disponibilità di Fabio Gori e Virginia Fabrizi, che offre una possibile chiave di interpretazione dell'intera mostra. Un paesaggio al tramonto piuttosto buio, nel quale è possibile tuttavia scorgere un puntino luminoso. Il titolo, Autoritratto, rivela l'intento e il senso dell'immagine: la Terra vista da Marte, ovvero gli uomini visti solo da un po' più lontano.

Nel bagno al piano zero del Centro vi è traccia di Toilet Project, progetto che inaugurò la collaborazione tra Nadia Antonello e Paolo Ghezzi, interessati ad invadere garbatamente i bagni delle fiere d'arte e giocare con umorismo su una domanda che qualche volta gli artisti si pongono: Cosa è arte?

Costeggia il lungo corridoio all'esterno delle sale l'opera Stringere lo spazio di me e te: innumerevoli sculture di ceramica sono appese e creano uno sciame scintillante di forme e colori. Ogni forma è stata creata grazie a due persone che si sono strette la mano intorno ad un pezzo di argilla. I visitatori potranno prendere parte a questa performance dando vita ad una pietra preziosa che rivelerà l'invisibile.

In uno spazio per sua natura sopraelevato, l'interpiano che porta alle terrazze del Museo, c'è uno strano scrittoio. È composto da uno specchio con la scritta Scrivimi e da un piano sul quale è poggiato tutto l'occorrente per scrivere ed inviare lettere d'amore: la carta, la busta, la penna e il francobollo. Con Scrivimi, non resta che abbandonarsi ad un po' di romanticismo.

Sulla terrazza del CAMeC è allestita l'ultima installazione del duo: La sedia del giudice, che richiama la tipica seduta sopraelevata utilizzata dall'arbitro di tennis, se non fosse che i posti a sedere sono due anziché uno. L'opera si è prestata in passato a diverse performance che hanno coinvolto il pubblico in dibattiti e riflessioni filosofiche, indagando le (almeno) due verità che sempre ci sono. «Al culmine di questa mostra, operazione già di per sé nata da due artisti e non da uno solo - spiegano Nadia Antonello e Paolo Ghezzi - l'opera ci invita forse a ritornare con la mente al nostro viaggio, considerando di nuovo l'altro da noi, dove la relazione umana ci ha accompagnati e presi per mano per volare sempre più in alto, mai da soli, sempre con qualcuno o qualcosa che restituiva il nostro sguardo».

Nadia Antonello (Cittadella, 1985) e Paolo Ghezzi (Bologna, 1980) si formano all'Accademia di Belle Arti di Bologna e nel 2009 fondano il duo artistico Antonello Ghezzi. La loro ricerca si focalizza sulla leggerezza e la magia. I progetti che li hanno visti esporre in tante parti del mondo, con il supporto di numerose Istituzioni, tentano di rendere tangibili le favole. Una porta che si apre solo se si sorride, bolle di sapone che abbattono i muri, una macchina per esprimere desideri con le stelle cadenti, piccole sculture tra amanti, cieli stellati del futuro. Scale, nuvole e semafori blu che - grazie a Gianni Rodari - danno all'osservatore il via libera per volare. Come fossero sandali alati oppure specchi che, come lo scudo di Atena, aiutano Perseo ad affrontare Medusa. Le loro installazioni fanno parte di numerose collezioni private e sono state presentate, unitamente alle performance, in contesti italiani ed internazionali, tra i quali: Istituto Italiano di Cultura di Madrid, Ambasciata Italiana ad Atene, WhiteSpaceBlack Box a Neuchâtel, Kunsthall di Bergen, Beit Beirut, Wayfarers di Brooklyn a New York, Parlamento Europeo di Bruxelles, Gnration di Braga in Portogallo, Museo per la Memoria di Ustica di Bologna, Miasto Ogródow di Katowice, Palazzina dei Bagni Misteriosi di Milano, Artbab Manama in Bahrain, Sound Design Festival di Hamamatsu in Giappone, Istituto Italiano di Cultura di Atene, Art Foundation di Atene, Museo Davia Bargellini di Bologna, Usina del Arte a Buenos Aires, Pinacoteca Nazionale di Bologna, Museo di Villa Croce di Genova, Moscow Biennale, Pitti Uomo di Firenze, Sarajevo Winter Festival, Blik Opener di Delft, Arsenale di Verona e CIFF di Copenhagen. Nel 2022 vincono il PAC2021 - Piano per l'Arte Contemporanea promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura e la loro bandiera raffigurante la Via Lattea viene acquisita dalla Fondazione Rocca dei Bentivoglio di Valsamoggia (BO). Il loro atelier si trova a Bologna, all'interno della Palazzina Liberty presso i Giardini Margherita.

 



 

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Estetica dei visionari. Installation view, 2023. Studio Museo Felice Casorati, Pavarolo. Courtesy Archivio Casorati, Collezione Giuseppe Iannaccone e Ciaccia Levi Paris-Milan. Ph. Stefano Mattea

Il Comune di Pavarolo e l’Archivio Casorati presentano la mostra "ESTETICA DEI VISIONARI"


La mostra si sviluppa intorno al concetto di visionarietà che contraddistingue tutti gli artisti in esposizione.


Il Comune di Pavarolo, l’Archivio Casorati e la Collezione Giuseppe Iannaccone rinnovano la collaborazione nata nel 2022 con l’esposizione De rerum natura e, insieme a Ciaccia Levi Paris-Milan, annunciano la mostra Estetica dei visionari, dal 7 ottobre 2023 negli spazi dello Studio Museo Felice Casorati e di CASA CASORATI a Pavarolo (TO).

L’esposizione – che prende il titolo dal saggio Esthétique des visionnaires (1926) di Henri Focillon e accoglie opere di Amber Andrews, Charles Avery, Srijon Chowhdury, Alessandro Fogo, David Horváth, Margherita Manzelli, Wangechi Mutu e Scipione – si sviluppa intorno al concetto di visionarietà che contraddistingue tutti gli artisti in mostra: un tratto inteso come capacità di guardare oltre la realtà sensibile, una dote quasi profetica che li spinge al di là del visibile, a esplorare il sentire più profondo dell’uomo.

L’accostamento tra l’indagine spaziale e temporale del reale e l’esperienza intima e profonda, quasi magica, che ne deriva, trova la sua sede perfetta nel borgo di Pavarolo, arroccato tra le colline di Torino e i colori della natura incontaminata, in particolar modo nella casa e nello studio di Felice Casorati.

Nello studio del Maestro le opere più visionarie di Scipione, come il suo Autoritratto(1930) e il Profeta in vista di Gerusalemme (1930) – realizzate negli ultimi anni di vita e poco prima della pubblicazione del testo di Focillon – dialogano con alcune opere dalla grande carica immaginifica, creando un percorso di visioni concatenate che attraversano gli ultimi decenni della storia dell’Arte: il pensatore empirista di Charles Avery che, ponendo nell'esperienza la fonte della conoscenza, diviene calco, gesso, presenza tangibile e testimonianza di una visione concreta; una grande tela di Margherita Manzelli che, attraverso una figura femminile, si insinua in spazi mentali oltre la realtà fino alla sensibilità più profonda di chi la osserva; i collages di Wangechi Mutu dove il corpo femminile, luogo di scontro politico e culturale, si fa medium di un messaggio mitico in cui il bene vince sul male; e ancora i lavori di Alessandro Fogo, capace di fondere pittura contemporanea e narrazioni sospese, conducendoci verso visioni al di là della semplice bidimensionalità delle tele.

Il dialogo tra Novecento e Contemporaneosi amplifica poi attraverso le opere di tre artisti rappresentati da Ciaccia Levi: Amber Andrews, Srijon Chowdhury e David Horváth indagano universi visionari del quotidiano con accenti personali che hanno radici nella storia dell’arte. I teatrini con oggetti, nature morte e assemblaggi insoliti di Amber Andrews traggono origine dall’equilibrio della pittura classica in cui infonde un carattere personale grazie a un uso visionario del mezzo pittorico, dispositivo sensoriale capace di far accedere chi osserva il quadro a una nuova esperienza. Il lavoro di Srijon Chowdhury indaga un universo intimo in cui lo sguardo sulla figura umana si carica di momenti sospesi, di attese. Nelle sue opere il realismo pittorico si connota di accenti lividi oppure si concentra su dettagli anatomici degli organi di senso. David Horváth si muove tra autoritratto, rappresentazione del paesaggio e figura umana. Realizzate utilizzando olio e sanguigna, le sue opere sono strutturalmente influenzate dall’espressionismo e pervase da atmosfere oniriche. Le sue figure umane, ritratte in pose contemplative in interni domestici o nude in contesti bucolici, richiamano i personaggi che popolano certi sogni in cui il tempo sembra fermarsi.

Nello spazio espositivo di CASA CASORATI, il progetto dell’associazione culturale PLUGin Emporium Projectp resenterà, a corollario della mostra Estetica dei Visionari, VISIONARIA: selezione di video di giovani artisti ad opera della Galleria Ciaccia Levi, Paris-Milan. Federico Montaresi, Lorenzo Silvestri, Alice Dicembrino, Boris Cassanmagnag percorrono nelle loro opere una strada affine all’estetica dei visionari.

Il coinvolgimento della galleria internazionale Ciaccia Levi, Paris-Milano e l’interazione con giovani artisti permettono, da un lato, di dare continuità nel tempo alla ricerca dei visionari, presenti in ogni momento storico e protagonisti anche della sfera contemporanea, dall’altro, di creare un dialogo vivo con lo spazio legato alla produzione e alla quotidianità di Felice Casorati che già negli anni Venti, attraverso la “Scuola di Casorati”, si fece promotore dell’insegnamento dei giovani artisti.

L’evento è realizzato dal Comune di Pavarolo, in collaborazione con Archivio Casorati e la Collezione Iannaccone, con il coordinamento di Francesca Solero.

Ingresso gratuito.

Apertura tutti i sabati e domeniche dalle 15 alle 18 o su appuntamento.

Studio Museo Felice Casorati, via del Rubino 9, Pavarolo (TO).

Casa Casorati, Via Maestra 31, Pavarolo (TO).

Info:

www.comune.pavarolo.to.it; www.pavarolo.casorati.net

 



 

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 Namsal Siedlecki. Endo, Installation View, 2023, Courtesy Museo Novecento, Firenze and the Artist. Foto Michele Alberto Sereni

 

Museo Novecento presenta "Namsal Siedlecki. Endo"


Nel chiostro rinascimentale del Museo Novecento quattro gruppi scultorei raccontano il costante tentativo dell’uomo di agire sulla materia e sui processi trasformativi.


Dal 5 ottobre 2023 al 3 aprile 2024 il chiostro del Museo Novecento ospita quattro gruppi scultorei di Namsal Siedlecki (Greenfield, 1986) realizzati per il cortile rinascimentale delle ex Leopoldine: è Endo, la mostra a cura di Sergio Risaliti e Stefania Rispoli che mette in luce la ricerca che l’artista dedica da anni alla natura processuale e trasformativa dei materiali. La mostraparte del calendario delle iniziative della Florence Art Week 2023 – nasce da riferimenti che vanno dall’alchimia alla chimica, dalla robotica all’anatomia, dalla fascinazione per le “macchine celibi” alla plastica dei maestri del Novecento, e trae il titolo dalla parola greca ἔνδον, che in ambito scientifico e medico definisce ciò che è “dentro” o “situato all’interno”; non a caso infatti l’artista ha scelto di esporre all’interno di quello che può essere considerato il ventre del museo, il chiostro, l’ambiente centrale deputato un tempo alla riflessione, alla lettura e alla meditazione. In questo ventre, interpretato metaforicamente come uno stomaco, l’artista espone sculture in stretto dialogo tra loro, concepite come un’unica grande installazione in cui la materia si disgrega e si trasforma creando energia: quattro stomaci che, se messi in funzione, agiscono come un unico corpo, distillando idealmente segmenti di immaginazione. Il primo gruppo scultoreo, Still, è un alambicco in rame battuto dalle dimensioni monumentali: un’opera disegnata dall’artista e realizzata da uno degli ultimi artigiani italiani specializzato nella produzione di questi oggetti. Tradizionalmente l’alambicco si compone di una pancia che contiene l’elemento da distillare, di una testa in cui confluiscono i vapori e di una serpentina di raffreddamento che raccoglie il prodotto distillato. La scultura unisce così, in un unico corpo, tutti gli stati di passaggio della materia: solido, liquido e gassoso.

Gli alchimisti usavano associare l’alambicco alle funzionalità del corpo umano – dice Namsal Siedlecki –. Questa associazione si riferiva più propriamente all’atto della digestione, ovvero a quando, assimilando energia attraverso l’introduzione e la trasformazione di materia solida all’interno del nostro corpo, di fatto distilliamo la realtà. Utilizziamo ciò che la natura ci offre purificandolo, così come l’alambicco estrae l’essenza della materia e in un certo senso la perfeziona e la concentra.”

Nel corso della mostra, Still entrerà periodicamente in funzione producendo un distillato frutto della partecipazione attiva del pubblico. All’interno del suo “stomaco” verranno inseriti e distillati i disegni realizzati da chi vorrà cimentarsi in sedute di disegno dal vivo, ritraendo le opere esposte perché, come afferma l’artista, “Il disegno è di fatto il distillato di uno sguardo”. Il liquido prodotto riempirà le sculture in terracotta parte dell’installazione.

La seconda scultura ospitata nel cortile è Fago (Ugolino), realizzata in zolfo, materiale che fondendo a bassa temperatura si scioglie in un liquido rosso simile al sangue, ed elemento fondante dell’alchimia, carico di storia, significato e simbologie che lo associano spesso al mondo degli Inferi.

La scultura ispirata a un’opera di Auguste Rodin del 1904 che ritrae il nobile pisano assassino e cannibale dei suoi stessi figli, le cui disavventure sono narrate da Dante, è stata realizzata utilizzando una stampante 3D che ha ricreato una copia dell’opera suddivisa in otto porzioni. Di ognuna è stata realizzata una copia in zolfo, con l’idea di restituire al futuro ogni figlio sacrificato, attraverso un elemento legato all’idea di digestione, trasformazione e putrefazione.

Il terzo gruppo scultoreo, Vaso (Moore), realizzato in terracotta, nasce da una collaborazione con l’Opificio delle Pietre Dure ed è ispirata al restauro di Guerriero scultura di Henry Moore donata alla città di Firenze negli anni Settanta ed esposta per molto tempo nel chiostro del complesso della basilica di Santa Croce.

Nel corso del restauro sono stati rinvenuti diversi piccoli ferri e oggetti metallici che per anni sono rimasti nascosti all’interno in uno stato di lenta ma continua trasformazione, forme in divenire in attesa di essere liberate. Queste piccole sculture astratte plasmate nel ventre di un'altra opera sono state scansionate in 3D, ingrandite e realizzate in terracotta, divenendo contenitori pronti ad accogliere un distillato: da forme contenute in un altro corpo a contenitori di un’altra forma, un liquido che, più di qualsiasi altro elemento, vive una costante trasformazione adattandosi allo spazio che lo contiene.

Il quarto elemento è un dispositivo per la produzione di biogas, un grande contenitore che, tramite la coltura di microrganismi in un processo chimico associabile a quello di un alambicco o della digestione animale, è in grado di tramutare scarti in gas. La start up israeliana che produce questa vasca la definisce spesso stomaco. In un moto circolare, il gas prodotto nel corso della mostra verrà utilizzato per alimentare la fiamma dell’alambicco Still mettendolo in funzione.

Endo racconta dunque la digestione nella sua interpretazione alchemica come processo alimentato da un calore interno di origine spirituale che porta a perfezione il cibo, separa le componenti pure da quelle impure, genera nutrimento, e nello stesso racconta la sperimentazione, l’imitazione alchemica della natura nel tentativo di agire sulla materia.

Namsal Siedlecki (1986, Greenfield, USA), vive e lavora a Seggiano, Italia. Negli ultimi anni ha esposto il proprio lavoro in numerose istituzioni tra le quali: MAXXI, Roma; Gamec, Bergamo; Palazzo Reale, Milano; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; American Academy in Rome, Roma; Villa Medici, Roma; Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato; Magazzino for Italian Art, New York; 6th Moscow International Biennale for Young Art, Mosca; Fondazione Bevilacqua la Masa, Venezia; Musèe Bargoin, Clermont-Ferrand; Galeria Boavista, Lisbona; Cripta747, Torino. Nel 2015 ha vinto il Cy Twombly Italian Affiliated Fellow in Visual Arts all’American Academy a Roma e nel 2019 il Club GAMeC Prize e il XX Premio Cairo. Nel 2022 è stato uno dei tre finalisti del MAXXI Bulgari Prize al MAXXI di Roma.

Si ringraziano tutte le istituzioni e le persone che hanno collaborato alla realizzazione della mostra, in particolare: British Institute, Henry Moore Foundation, Opificio delle Pietre Dure, Guazzini Srl, La Rameria, Magazzino, Manifatture Sottosasso, Oltre l'officina, Stefania Agnoletti, Maria Baruffetti, Michele dall'Orto, Simon Gammel, Edoardo Libralato, Alessandro Masselli, Agostino Menditto, Mattia Mercante, Stefano Mulas, Merj Nesi, Maro Nishimoto, Renata Pintus, Gabriele Siedlecki, Naum Siedlecki, Tommaso Tisot.

 



 

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Veduta dell'allestimento “Thomas Huber. Lago Maggiore” © MASI Lugano, foto: Sabrina Montiglia

 

Il MASI presenta Thomas Huber Lago Maggiore


Celebre per i suoi dipinti di architetture quasi irreali, ricche di mise en abyme e per il suo mondo interiore onirico.


Prende il nome dalla serie di dipinti dell'artista svizzero Thomas Huber (Zurigo, 1955) la mostra "Lago Maggiore", che presenta al pubblico settanta opere tra grandi tele ad olio e acquerelli visibile fino al 28 gennaio. Celebre per i suoi dipinti di architetture quasi irreali, ricche di mise en abyme e per il suo mondo interiore onirico, Thomas Huber, che vive da tempo a Berlino, da qualche anno ha sentito il bisogno di tornare tra i paesaggi della sua giovinezza, prendendo casa sul confine italo svizzero vicino a Cannobio.

L’impagabile vista sul lago ha ispirato così le vedute in mostra. Come un diario visivo, i dipinti raccontano le variazioni potenzialmente infinite di uno stesso paesaggio, in cui monti, acqua, cielo e luce sono attraversati dal ritmo naturale delle stagioni e del trascorrere del giorno. Sono quindi opere omaggio alla bellezza e alla semplicità del paesaggio quelle della serie “Lago Maggiore” che segna un nuovo, importante tassello nella ricerca dell’artista: pur mantenendo i colori vivaci e le forme ben definite tipiche della sua produzione, i grandi oli su tela esposti al MASI rompono, infatti, con il suo mondo pittorico precedente. Gli spazi costruiti e le architetture irreali lasciano posto alla potenza immaginaria e inafferrabile del lago, catturato in un momento e in un luogo specifici. In questo senso, molti dipinti portano il titolo del giorno di creazione e rivelano l’approccio quasi scientifico dell’artista. Ne nasce così un’indagine che si inserisce tra gli esempi illustri della storia dell’arte che hanno dato vita a cicli specifici, come Claude Monet, Paul Cézanne o Ferdinand Hodler.

Il percorso espositivo, elaborato in stretta collaborazione con l’artista, si apre, programmaticamente, con il dipinto Heimkehr (ritorno a casa), momento di snodo, in cui “vecchio e nuovo, interno ed esterno, distanza e vicinanza vengono riorganizzati”, come sottolinea Barbara Alms nel suo saggio nel catalogo della mostra. Il dipinto – denso di riferimenti simbolici cari all’artista, come l’elemento dell’acqua e della barca – riporta un paesaggio ancora controllato e “addomesticato” dall’architettura. Al contempo, esso si apre verso quello che sarà il motivo centrale e il protagonista assoluto della nuova serie, il Lago Maggiore.

Le pareti espositive del museo sono attraversate da un’ampia fascia cromatica che rievoca i colori lacustri. Il pubblico è condotto così in una passeggiata immersiva tra le vedute del lago, in cui anche il formato allungato delle tele, in alcuni casi quasi panoramico, rende l’essenza del paesaggio fisicamente tangibile.

Rimandi, equilibri e nessi visivi scandiscono le diverse vedute dello specchio d’acqua, immortalato in forme e colori chiari. Un ritmo rigoroso orienta la struttura delle composizioni, in cui l’artista guida lo sguardo verso punti di fuga laterali, tra lo sfalsamento delle catene montuose. Nelle forme nette e nelle superfici lisce e impeccabili, freddezza ed equilibrio rimangono elementi decisivi. Nessuna costruzione o presenza umana “sporca” i paesaggi di Huber, in cui nemmeno la pennellata dell’artista si rivela all’occhio. Eppure, lo specchio d’acqua del lago vibra di luce scintillante e riflessi delicati. Le stesse atmosfere dei dipinti si ritrovano nel corpus di acquerelli leggeri e luminosi a cui è dedicata una “stanza nella stanza”, uno spazio più intimo all’interno della grande sala in cui è ospitata la mostra.

“Un’ossessione, una devozione e una passione”: così descrive l’artista questa nuova serie, in cui la ciclicità, la ripetizione e la variazione, mostrano le possibilità illimitate della pittura.

La mostra è stata ideata da Thomas Huber e coordinata e organizzata da Ludovica Introini.

Per l’occasione verrà presentato un catalogo trilingue in italiano, tedesco e francese con testi di Barbara Alms e Thomas Huber, pubblicato da DISTANZ.

Biografia

Di origini zurighesi, figlio di architetti, dal 1977 al 1978 Thomas Huber ha studiato alla Kunstgewerbeschule di Basilea per continuare la sua formazione al Royal College of Art di Londra nel 1979 e alla Staatliche Kunstakademie di Düsseldorf dal 1980 al 1983.

Nel 1984, invitato da Kasper König a Düsseldorf, partecipa alla mostra collettiva “Von hier aus” (Da qui in poi), che gli aprirà le porte del riconoscimento internazionale. Da allora, le sue opere sono esposte nelle più importanti istituzioni e musei internazionali quali il Centre Pompidou di Parigi (1988), il Kunsthaus di Zurigo (1993), la Fundación Joan Miró di Barcellona (2002), il Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam (2004), l’Aargauer Kunsthaus di Aarau (2004), il MAMCO di Ginevra (2012), il Kunstmuseum di Bonn (2016) e il MONA di Hobart (2017). Dal 1992 al 1999 è professore alla Hochschule für Bildende Künste di Braunschweig e nel 1992 assume la direzione temporanea del Centraal Museum di Utrecht. Dal 2000 al 2002 è presidente del Deutscher Künstlerbund. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il premio Kiefer Hablitzel (1984), il premio per giovani artiste e artisti svizzeri della Kunstgesellschaft di Zurigo (1993), il premio della Heitland Foundation (2004) e il premio Meret Oppenheim (2013). Nel 2023 Thomas Huber è stato selezionato per partecipare con il progetto Dawn / Dusk alla sezione Art Unlimited di Art Basel 2023.