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“Sovra Esposti / Over Exposed“ al Museo Irpino, in collaborazione con la Fondazione Videoinsight®

La mostra unisce il passato e il contemporaneo attraverso le rappresentazioni artistiche, inserendole in un luogo di valore singolare sul territorio italiano.

Il Museo Irpino, in collaborazione con la Fondazione Videoinsight®, è lieto di presentare, dal 1 al 30 Luglio 2023, la Mostra d’Arte Contemporanea "Over Exposed / Sovra Esposti", a cura di Andris Brinkmanis, con la Direzione Artistica di Rebecca Russo.

La Mostra collettiva con Marina Cavadini, Gianluca Capozzi, Gea Casolaro, Paolo Cirio, Gaia De Megni, Binta Diaw, Delio Jasse, Giulia Maiorano, Edoardo Manzoni, Elisabetta Mariuzzo, Elena Mazzi, Alessandra Messali, Stefano Serretta, Giulio Squillacciotti, unisce il passato e il contemporaneo attraverso le rappresentazioni artistiche, inserendole in un luogo di valore singolare sul territorio italiano; porterà una maggiore attenzione verso il meraviglioso territorio dell’Irpinia, frontiera vergine per il rilancio e lo sviluppo dell’Arte Contemporanea.

Il Complesso Monumentale del Carcere Borbonico di Avellino è un luogo unico, suggestivo ed evocativo per la sua storia, un monumento che incarna una determinata idea, epoca ed ideologia. Fu costruito nel 1826 dall'architetto Giuliano De Fazio, che si ispirò al pensiero del filosofo Inglese Jeremy Bentham,  l’ideatore e il promotore di un nuovo tipo di prigione, definita “Panopticon”. Merita una visita per la sua particolare cinta muraria di ispirazione illuminista in un caratteristico emiciclo.

La Mostra Sovra Esposti  / Over Exposed ha preso spunto, nel titolo e nei contenuti,  dall’”onnivisione” possibile nel Carcere Borbonico, la cui struttura “panottica” permette  l’osservazione immediata di tutto il visibile al suo interno.

Le persone internate nel Carcere panottico,  a causa della sovraesposizione e della totale mancanza di privacy, sviluppavano malattie mentali, come schizofrenia o dissociazione mentale.

Nella società contemporanea, siamo pesantemente e costantemente “Sovra Esposti”: al rumore, agli smartphone, ai media, all’inquinamento, allo stress, alle videocamere, alla videosorveglianza, agli algoritmi, ai raggi infrarossi, alle televisioni, a internet, all’intelligenza artificiale. 

La quantità eccessiva di esposizione alle immagini, la velocità con la quale esse  stimolano la mente e il corpo, l’impossibilità di selezionare, in piena libertà, la qualità delle immagini assorbite, provoca superficialità, noia, assuefazione, omologazione.

Jean Luc Godard nel film “La cinese” affermava:  “Il faut confronter les idées vagues avec les images claires” (“Bisogna confrontare le idee confuse con le immagini precise”). Oggi viviamo in una totale confusione dei linguaggi, dove il flusso delle immagini sembra giustificare ogni cosa.

Non esiste un contesto migliore di questo ex locus horribilis, per cercare di mettere a fuoco uno sguardo diverso sul contemporaneo e presente.

L’Arte può aiutarci a reagire e a sopravvivere perché provoca la presa di coscienza, l’insight; risveglia l’occhio interiore, l’ “Inward Eye” teorizzato dal poeta romantico  William Wordsworth

Walter Benjamin sosteneva che “Nelle rovine del passato si risolvono gli enigmi del presente”.

Le Opere d’Arte scelte per la Mostra “Sovra Esposti  / Over Exposed“ indicano possibili vie di fuga dalle prigioni contemporanee, non più fisiche , ma mentali, interiorizzate; suggeriscono percorsi di cura, interrogano e risvegliano le coscienze.

Si ringrazia la Provincia di Avellino, il Museo Irpino, la Fondazione Videoinsight® che ha prodotto la Mostra.

Rebecca Russo è Filantropa, Mecenate, Collezionista d’Arte contemporanea, Psicoterapeuta, Ricercatrice scientifica, Curatrice. Ha creato la prestigiosa Collezione Videoinsight®: una raccolta progressiva di Opere d’Arte contemporanea con impatto psicodiagnostico e psicoterapeutico. Dal 2013 è  Presidente della Fondazione Videoinsight®, istituzione no profit dedicata a scopi umanitari, che brilla per innovazione, integrazione, pionierismo. La Fondazione è frutto dell’esperienza di promozione del benessere psico-fisico realizzata attraverso l’ideazione e l’applicazione del Metodo Videoinsight®: la cura basata sull’interazione con selezionate Opere d’Arte ad alto impatto terapeutico. Il Metodo Videoinsight® è stato sperimentato  in Medicina con risultati scientifici rigorosamente verificati, pubblicati e presentati in Congressi medici internazionali. Obiettivi della Fondazione Videoinsight® sono la promozione e la prevenzione del benessere psicofisico della persona e della comunità attraverso l’esperienza del’Arte contemporanea;  la ricerca scientifica per l’applicazione del Metodo Videoinsight® nella Medicina negli ambiti di prevenzione, riabilitazione, sostegno e cura; la divulgazione internazionale del Metodo Videoinsight® nei contesti del sostegno sociale, dell’educazione, dell’orientamento dei talenti e delle risorse umane, del miglioramento della qualità della vita; l’insegnamento del Metodo Videoinsight® a livello post universitario, in ambito medico e artistico. Il Programma Videoinsight Art for Care è stato divulgato nelle Istituzioni della salute, dello sport, del lavoro, dell’educazione, della cultura,  per la  Prevenzione, la riabilitazione, il sostegno e la cura. La Fondazione Videoinsight® ha creato 42 Videoinsight® rooms negli Ospedali universitari nel mondo, ambienti per la visione di video d’Arte contemporanea tratti dalla Collezione Videoinsight® con potenzialità di promozione del benessere psicofisico. Nel 2023 la Fondazione Videoinsight® propone al pubblico la  Mostra collettiva ‘Hater’, frutto di una Open Call per Artisti finalizzata alla Prevenzione e alla Cura della violenza verbale, dell’odio, dell’arroganza, dell’invidia, dell’abuso relazionale nei social network. Nel 2022 ha lanciato l’Esibizione "Love Bombing. Gaslighting", dedicata alla sensibilizzazione sul Narcisismo Patologico.

Andris Brinkmanis è un critico d'Arte e curatore, nato a Riga e residente a Milano. È Senior Lecturer e Course Leader del BA in Painting and Visual Arts presso NABA di Milano e Guest Associate Professor presso l'Art Academy of Latvia a Riga. È uno dei co-iniziatori del Critical Studies Department, collettivo CSD a Milano e del progetto “Education and (Anti)Institutions” creato in collaborazione con The Museum of Care e David Graeber Institute (2021-22) . I suoi progetti curatoriali più recenti sono “Panoptic Garden”, un programma pubblico di una settimana per il Padiglione dell'Uzbekistan alla Biennale di Venezia, con Sara Raza (Venezia, 2022); “Infanzia e storia” (OCAT, Pechino 2019); “Signals from Another World. Asja Lācis and Children’s Theatre” (AVTO, Istanbul 2019), “Asja Lācis. Engineer of the Avant-Garde” (Biblioteca Nazionale Lettone, 2019), “2nd Yinchuan Biennale. Starting from the Desert Ecologies on the Edge” con Marco Scotini, Zasha Colah, Paolo Caffoni e Lu Xinghua (Yinchuan, Cina, 2018); “Mei Lan Fang and The Soviet Theatre” (Progetto di ricerca per “The Szechwan Tale. Theatre and History” alla Prima Anren Biennale di Anren, Cina e Milano nel 2018); “Signals from another world. Asja Lācis Archives” (Documenta 14, Kassel 2017); e “Disobedience Archive (The Park)” con Marco Scotini (SALT, Istanbul, 2014). Nel 2021 ha curato la pubblicazione “Asja Lācis. L'agitatrice rossa. Teatro, femminismo, arte e rivoluzione” (Meltemi). Brinkmanis collabora con riviste e pubblicazioni: Corriere della Sera, Alfabeta 2, Flash Art International, Monument to Transformation, SOUTH as a State of Mind, Arterritory e Studija.

 



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SARAH LEDDA. "ALMOST TRUE" al Castello Gamba - Museo d’arte moderna e contemporanea della Valle d’Aosta

Le sale del Castello Gamba ripercorrono la poetica dell’artista valdostana attraverso circa trenta dipinti della sua produzione recente.

L’Assessore ai Beni e attività culturali, Sistema educativo e Politiche per le relazioni intergenerazionali della Regione Autonoma Valle d’Aosta è lieto di presentare la mostra “Almost True” di Sarah Ledda, ospitata dal 14 luglio al 1° ottobre 2023 presso le sale del Castello Gamba - Museo d’Arte moderna e contemporanea della Valle d’Aosta, a Châtillon, che ripercorre la poetica dell’artista valdostana attraverso circa trenta dipinti della sua produzione recente.

Attingendo all’immaginario cinematografico e televisivo, e in particolare al repertorio del cinema classico hollywoodiano, la mostra di Sarah Ledda, a cura di Ivan Quaroni, racconta la formazione dell’identità femminile attraverso personaggi che diventano simboli, lemmi di un lessico comune in grado di tradurre una “bildung”, una formazione collettiva, in immagini universali.

Scorrendo le immagini di film classici e vecchie serie televisive, l’artista seleziona e isola singoli frame per trasfigurarli attraverso la pratica della pittura. Il fotogramma, sublimato nella grammatica pittorica, diventa quindi espressione di un nuovo tipo di rappresentazione realistica che usa il filtro delle produzioni mediali della cultura di massa per indagare i temi della memoria e delle emozioni nel rapporto dialettico tra fiction e realtà.

In questo modo, l’immagine rubata al vecchio film - sia essa quella del volto di una diva di Hollywood come Marilyn Monroe, Audrey Hepburn, Liz Taylor o Judy Garland, o quella della giovane Inger Nilsson nei panni di Pippi Calzelunghe - non appartiene più solo all'artista che la interpreta, ma diventa un codice universale, capace di stimolare una reazione in chiunque la riconosca. Una sorta di proustiana madeleine visiva che consente all’artista di dialogare, attraverso il proprio lavoro, con il vissuto e la memoria collettiva di diverse generazioni.

«La ricerca di Sarah Ledda si configura – spiega il curatore Ivan Quaroni – come una pratica di ricodifica dell’immagine filmica in grado di trasformare l’essenza traumatica della realtà in un alfabeto di figure riconoscibili». In particolare, il repertorio del cinema classico hollywoodiano si offre come una sorta di dispositivo allegorico, una “macchina per pensare” i motivi di una poetica che ruota, sovente, attorno alla questione della formazione dell’identità femminile.

Insieme a un nutrito corpus di opere su tela, nelle sale di Castello Gamba viene esposto per la prima volta, un progetto realizzato dall’artista in dieci anni di viaggi in treno lungo la tratta Aosta - Torino, andata e ritorno.  Si tratta di “A/R”, titolo di una serie di scatti fotografici montati in una lunga sequenza video che ritraggono scorci di paesaggio che, nonostante le modifiche subite nel tempo, sembrano rimasti sostanzialmente invariati.

La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Vanillaedizioni con testo critico di Ivan Quaroni.

Cenni biografici

Nata ad Aosta nel 1970, Sarah Ledda vive fino al compimento degli studi a Palermo, dove nel 1993 si diploma all’Accademia di Belle Arti. La prima personale di rilievo è “Nitrato d’argento”, a cura di Luca Beatrice (Aosta, 2000) a cui seguono esposizioni a Parigi e a Bruxelles. Dal 2003 con alcune mostre curate da Maurizio Sciaccaluga e la partecipazione al V Premio Cairo e al Premio Seat Pagine Bianche d’Autore il suo lavoro entra nel circuito nazionale delle gallerie e delle fiere d’arte contemporanea realizzando da allora numerose esposizioni in Italia e all’estero, in collezioni e spazi privati e pubblici. Sue opere sono presenti nella collezione permanente del Castello Gamba, museo d’arte moderna e contemporanea della Valle d’Aosta. Dopo qualche anno a Torino, dal 2016 si trasferisce ad Aosta, dove vive e lavora. Sul suo lavoro hanno scritto diversi critici d’arte, tra cui Cecilia Antolini, Luca Beatrice, Martina Corgnati, Antonella Crippa, Alessandra Galletta e Maurizio Sciaccaluga.

 



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Le Metamorfosi di Matisse al MAN di Nuoro

Una mostra alla scultura di Henri Matisse.

Henri Matisse è uno dei più grandi artisti del Novecento, ma di lui, paradossalmente, è ancora trascurata una parte importante di produzione. La figura di Matisse scultore non è, infatti, conosciuta nelle pieghe più sottili della sua ricerca. Sebbene la pittura sia sempre rimasta la sua modalità espressiva principale, il “suo” linguaggio e la forma di indagine del visibile cui si dedicò per tutta la vita, Matisse condusse in contemporanea una riflessione sulla scultura (e altresì sull'incisione) che fa di lui uno degli artisti più completi del secolo scorso. La sua versatilità ha esplorato varie tecniche simultaneamente, con curiosità e acuta sperimentazione. Sullo sfondo di questa intelligenza poliedrica, l'opera scultorea di Matisse rivela una vita parallela rispetto a quella del colorista, una doppia anima votata alla materia, al volume, allo spazio, che merita di essere posta in relazione – in quanto a processi e traguardi – con quella di altri grandi scultori del XX secolo, eredi della lezione di Auguste Rodin e divenuti geni dell'avanguardia. Da Brancusi a Giacometti, da Boccioni a Wotruba.

Per la prima volta in Italia, il Museo MAN dedica dal 14 Luglio al 12 Novembre una mostra alla scultura di Henri Matisse. Il progetto espositivo, a cura di Chiara Gatti, rilegge e adatta agli spazi del museo sardo, il concept inedito e complesso della mostra Matisse Métamorphoses organizzata nel 2019 dalla Kunsthaus di Zurigo e dal Museo Matisse di Nizza. Un progetto destinato a ripensare Matisse, a riconsiderare il ruolo della sua opera nel panorama dell'arte della prima metà del XX secolo, alla luce di una più ampia ricerca estetica che vede proprio nella scultura il veicolo per nuove e rivoluzionarie soluzioni formali. In questo affondo necessario, emerge come sia stata in particolare la figura umana il tema principe della sua tensione verso la sintesi. Dall'indagine sul corpo, la postura, il gesto o la fisionomia, Matisse ha sviluppato un percorso di riduzione geometrica dell'immagine che lo ha portato verso un'astrazione ai limiti del radicale. Come l'artista stesso affermò nel 1908 nelle sue Notes d'un peintre: «ciò che mi interessa di più non è né la natura morta né il paesaggio, è la figura». La figura, non per il suo pathos, il suo lirismo, gli stati d'animo o la flessione esistenziale, ma per il suo senso di presenza nello spazio e la sua ideale evoluzione nel tempo. Matisse ha interrogato infatti il corpo nella sua relazione con l'ambiente prossimo e con il mutare delle circostanze in un lasso di tempo dilatato. Ecco allora l'evoluzione di un dato naturalistico in una sintesi finale che sublima la contingenza in una dimensione di perfezione assoluta. Lo spazio condiziona, a sua volta, un sistema di relazioni sottili fra sostanza fisica e vuoto abitato, fra i gesti e le linee dinamiche che essi disegnano nell'aria.

La mostra prende avvio, dunque, da una analisi del metodo di creazione dell'artista e dal suo lavoro di trasformazione della figura in variazioni seriali. Il percorso allinea sequenze di bronzi, datate dai primi anni Dieci agli anni Trenta, e soggetti presentati nei loro diversi stati successivi e accostati alle fonti di ispirazione dell'artista, tra cui fotografie di nudi e modelle in posa, oltre a una selezione essenziale di pochi dipinti in cui i motivi stessi svelano la doppia anima della sua ricerca parallela, pittorica e scultorea, in particolare nell'affrontare i temi dominanti del nudo, della danza, dell'odalisca. Attraverso circa 30 sculture e una ventina fra disegni, incisioni, oltre a fotografie d'epoca e pellicole originali, la scultura di Matisse verrà posta in relazione con i soggetti di una vita, le sue magnifiche ossessioni legate alle forme femminili, alla ricerca fisiognomica sulle modelle, alle attitudini e alla plasticità dei volumi.

Sullo sfondo di questa ricerca composita, ecco allora molte figure uniche, come Le tiaré, di cui non esistono stadi differenti, mentre altre si ripetono a intervalli diversi, variando e trasformandosi, come il celebre ciclo di Jeannette (I-V). Da qui l'artista sviluppa infatti un approccio concettuale che può essere descritto come una sorta di metodo di progressione formale. Come in una “metamorfosi”, che ben spiega il titolo della mostra, le sue figure evolvono da una trascrizione naturale a una sintesi radicale del dato visivo.

Anche nella sua pittura – come è stato ampiamente studiato dalla critica in passato – è possibile rilevare tale processo di metamorfosi, senza però giungere mai a considerare veri e propri cicli di opere come “serie”, ma piuttosto come frutto di un lungo iter di elaborazione che trova nella scultura e nella grafica, accostate alla pittura stessa, strumenti di indagine connessi gli uni con gli altri, nell'idea di un confine liquido fra tecniche. Ne è un esempio l'Odalisca del Museo Novecento di Milano, che trova corrispettivi e relazioni sottili e chirurgiche con disegni e bronzi coevi e di cui la mostra allineerà l'intera sequenza.

Dettagli tecnici

In collaborazione con Kunsthaus Zürich, Musée Matisse de Nice Catalogo bilingue ita/en: Sole24ore Cultura - Testi di Sandra Gianfreda, Bärbel Küster, Chiara Gatti Con la partecipazione del Museo Archeologico di Nuoro.

 



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SEASON’S GREETINGS, 2018. Vernice spray su muro di mattoni. Brentwood (UK), Brandler Galleries

BANKSY Painting Walls An Unauthorized Exhibition a Villa Reale Monza

Un grande evento espositivo dedicato al nome più celebre della street art internazionale contemporanea. 

Fino al 5 novembre 2023 la Villa Reale di Monza presenta la mostra Banksy. Painting Walls, un grande evento espositivo dedicato al nome più celebre della street art internazionale contemporanea.

Prodotto da Metamorfosi Eventi, in partnership con SM.Art e WeAreBeside, in collaborazione con il Consorzio Villa Reale e Parco di Monza, la mostra, allestita negli spazi dell’Orangerie e curata da Sabina de Gregori, presenta in Italia per la prima volta tre muri (porzioni di muro) originali dell’artista britannico, tre straordinari pezzi provenienti da collezioni private, dipinti da Banksy nel 2009, nel 2010 e nel 2018, realizzati a Londra, nel Devon e nel Galles.

Protagonisti di questi tre lavori sono tre adolescenti, rappresentanti di una nuova generazione che sembra essere da sempre la più sensibile alle tematiche intorno alle quali si muovono gli interessi dell’artista inglese, come la situazione climatica, le disuguaglianze sociali, i migranti, le guerre e i diritti dei popoli.

Season’s Greetings, apparso a Port Talbot, in Galles, nel dicembre 2018, è stato scelto come immagine della mostra. Si tratta di un’ampia porzione di muro su cui Banksy ha dipinto un ragazzino con le braccia spalancate e la lingua tesa fuori dalla bocca per assaporare i fiocchi di neve che cadono dal cielo. Fiocchi che, però, si scoprono essere cenere che si leva da un bidone della spazzatura in fiamme. Port Talbot è stata definita dall’OMS la città più inquinata del Regno Unito.

“Il linguaggio immediato della street-art è uno degli strumenti più diretti dei giovani per rivolgersi al mondo degli adulti”, ha detto il Sindaco Paolo Pilotto, Presidente del Consorzio Villa Reale e Parco di Monza. 

"Banksy interroga la società contemporanea con potenza: che si tratti del concetto di arte oggi o delle tematiche del secolo, siamo tutti chiamati in qualche modo a prendere coscienza e rispondere agli interrogativi che ci sottopone attraverso immagini e simboli. Con questa mostra, Monza diventa sede di una prima assoluta nazionale che consentirà al visitatore di confrontarsi con un artista di fama mondiale da una prospettiva differente, particolare." aggiunge Arianna Bettin, Assessora alla Cultura, Villa Reale e Parco e Università.

In mostra – oltre ad altri due muri mai esposti prima in Italia: “Heart Boy” e “Robot/Computer Boy” – saranno presenti alcuni pezzi unici che arricchiranno ulteriormente il percorso espositivo, e nel complesso più di settanta opere originali. Gli spettatori potranno addentrarsi nell’immaginario artistico di un autore che ormai da oltre un ventennio attraversa la scena culturale mondiale e che anche negli attuali scenari di guerra è intervenuto con i suoi messaggi artistici, mostrando ancora una volta la sua capacità di stare in mezzo al presente.

«Questa mostra intende riflettere sul come e il perché le opere di Banksy, originariamente inscrivibili all’interno del movimento della street art e quindi accessibili a tutti, vengano oggi estraniate dal contesto urbano e sacralizzate come oggetti d'arte di nicchia – spiega Sabina de Gregori, storica dell’arte e curatrice della mostra. - Come sostengono Jonathan Z. Smith, Durkheim e altri studiosi, la qualità di un oggetto sacro ha quasi sempre a che fare con la separazione fisica dell’oggetto stesso dal suo contesto di provenienza, e questa è la sorte che tocca alle opere dell’artista di Bristol: vengono spesso recintate, sui loro muri, oltre una teca, protette e musealizzate, con tanto di targa, diventando estranee al contesto cittadino nel quale sono inserite. In questo senso, il mercato dell'arte agisce come trasformatore di una forma artistica pensata per essere democratica e “di tutti”, la street art, in qualcosa di privatizzato e valorizzato economicamente. Questo processo getta la figura di Banksy in un limbo: da un lato è ancora visto come uno street artist, ma dall’altro è il suo esatto contrario: le sue opere sono escluse dal dialogo e dalla critica della sua comunità di riferimento (quella dei writers), diventando intoccabili e sacre. Questa mostra vuole evidenziare alla massima potenza questo processo sacralizzante, per mostrare come ormai l’arte di Banksy sia inscindibile dalla performance mediatica e museale che coinvolge le sue opere».

La mostra intende accompagnare il visitatore lungo un percorso caratterizzato inizialmente da un allestimento “scarno” che vuole ricordare gli inizi della carriera di Banksy e la prossimità che poteva avere chiunque passasse davanti le sue opere per la strada. Proseguendo si innescheranno i meccanismi di sacralizzazione che hanno trasformato i lavori di Banksy in veri e propri feticci: musealizzati, protetti, posti oltre un confine sempre più lontano dallo spettatore. «Nella parte finale – conclude la curatrice - vorremmo che il visitatore sentisse tutta la potenza auratica del mercato. L’esposizione – per la prima volta in Italia – di tre muri originali e mastodontici, del peso di sei tonnellate, vuole stupire e sconcertare, sollevare una domanda: la vera arte di Banksy corrisponde forse al suo processo di sacralizzazione, o quei pochi grammi di vernice avrebbero avuto lo stesso impatto, se lasciati, tra mille altri, su muri anonimi, là dove erano stati impressi?».

Per Pietro Folena presidente di MetaMorfosi: «Riuscire a portare per la prima volta in Italia porzioni originali di muro che Banksy ha utilizzato come vere e proprie tele di una irripetibile arte metropolitana, è stato per MetaMorfosi una grande e impegnativa sfida, con problemi organizzativi fino ad oggi mai affrontati. Sicuramente però ne valeva la pena e la Villa Reale di Monza, con i suoi straordinari spazi, è certamente il luogo più appropriato per un evento così originale».

 



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Senigallia Città della Fotografia presenta Paolo Ventura SENIGALLIA

La mostra è promossa dal Comune di Firenze e organizzata da MUS.E, e prima tappa di un grande progetto dell’artista per la città di Firenze.

Dal 22 giugno fino al 31 ottobre Senigallia Città della Fotografia presenta una mostra di Paolo Ventura, un progetto site specific realizzato dall’artista proprio ispirandosi alla città marchigiana, da cui prende il titolo, e qui esposto per la prima volta. Circa trenta opere per scoprire la poetica di Ventura, fotografo ed artista che da oltre vent’anni analizza e studia i paesaggi urbani su cui costruisce le sue originali immagini oniriche e senza tempo.

I lavori sulle città e i loro landscape sono uno dei filoni a cui si rivolge la ricerca e la poetica di Paolo Ventura, paesaggi non riconoscibili se non a volte per sparuti dettagli, architetture e palazzi che vengono isolati dal contesto e che servono come sfondo per le sue ricostruzioni immaginifiche, ricreando quelli che potrebbero essere ideali vedute italiane, prive di caratterizzazione eppure sempre familiari e che si potrebbero ritrovare in qualsiasi città. Non è la realtà che già esiste ad interessare l’artista, ma le infinite possibilità di poter creare e raccontare quello che non esiste.

Anche in passato la ricerca di Ventura si è concentrata su singole città, come nella serie dedicata a Milano iniziata nel 2021 e tutt’ora in corso, ed è in questo filone che si inserisce questo nuovo lavoro ambientato a Senigallia. Lo sguardo dell’artista si è concentrato su scenari meno turistici ma non per questo meno affascinanti della città: ad assumere interesse per lui non è la canonica bellezza dei luoghi che uniforma le vedute cittadine, ma piuttosto le sue contraddizioni come il sovrapporsi di stili ed epoche che spesso producono uno iato architettonico. Troviamo così palazzi degli anni ’60 che si mescolano con altri degli anni ’70, hotel del lungomare giustapposti a case di pescatori, di casellanti e a pollai. L’occhio si sofferma sulle stratificazioni del paesaggio senza nessuna volontà di denuncia, ma anzi con la voglia di conoscere meglio il contesto per poterlo usare e modificare e dare vita così a nuovi luoghi che acquistano un ulteriore valore e visione, quasi metafisici e fuori dal tempo.

Il modus operandi di Paolo Ventura parte dalla fotografia su cui poi interviene con pittura ad acrilico, lavorando per sottrazione: dal dato reale registrato dallo scatto fotografico crea una scenografia sì artificiale ma allo stesso tempo affascinante e atemporale.