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Veduta dello studio di Pedro Wirz, 2023

 

Pedro Wirz. Immunità diplomatica al MASI

Il progetto di Pedro Wirz vincitore dell’edizione 2023 del Bally Artist Award.

Nella sala di Palazzo Reali è stata inaugurata Immunità diplomatica, il progetto di Pedro Wirz vincitore dell’edizione 2023 del Bally Artist Award. Nato a Pindamonhangaba, Brasile, nel 1981 e residente a Zurigo, l’artista si è aggiudicato il prestigioso premio con un lavoro che mette in discussione le prerogative di classe, il potere gerarchico e le posizioni archetipiche e immutabili della società. Posizioni che nell’installazione di Wirz prendono corpo in 12 sculture di varie dimensioni che si riferiscono a posizioni di comando - un re, un presidente, un papa, un rabbino, ecc. - ognuna delle quali riflette una particolare gerarchia di potere, sia essa economica, religiosa, politica o socio-culturale.

In contrasto con il presunto ruolo di potere, le sculture sono realizzate con i resti dei materiali più diversi, raccolti dall’artista nel suo studio. Un approccio, questo, che si ispira ai Merzbaudell'artista costruttivista Kurt Schwitters, e quindi all’idea dell’assemblaggio e alla scultura precaria. Al contempo, il metodo dell’accumulazione fa riferimento ai cicli di crescita ed esaurimento continuo del capitalismo, mentre l’estetica precaria richiama simboli di potere caduti in rovina.

La stigmatizzazione delle figure di potere si rispecchia, nell’installazione di Pedro Wirz, anche nella stessa configurazione dei 12 busti nello spazio, che deriva dalla ricerca dell'artista su incontri importanti come il G7, il Club di Roma o l'Ultima Cena nella narrazione biblica. Chi visita la mostra ha appena lo spazio necessario per muoversi, mentre i busti diventano quasi ostacoli da evitare con cura. Anche con la sua presenza fisica, l’opera esprime quindi la dicotomia tra competizione e cooperazione e si interroga sul significato di "società più sostenibile", che viene spesso vista da una prospettiva esclusivamente economica.

“Per intraprendere un'esistenza più sostenibile dobbiamo confrontarci con la realtà e le difficoltà della convivenza. Dobbiamo andare ben oltre le nostre vite, i nostri desideri e la nostra vanità, e persino oltre l'eredità di un nome di famiglia, o i principi promossi da leader religiosi o figure mitologiche. Dobbiamo pensare non come individui ma come specie, cioè come abitanti della terra, come terrestri, come esseri viventi destinati a coesistere contemporaneamente e con rispetto", spiega Pedro Wirz.

In mostra anche tre rilievi a parete, che appartengono a una serie iniziata nel 2019 con la quale l’artista indaga i legami tra regno organico, sintetico e realtà tecnologiche e come la loro contaminazione stia alterando l’ambiente in una continua battaglia tra estinzione e rinnovamento.  Questa trasformazione di ecosistemi dovuta all’intervento (tecnologico) dell’uomo nel paesaggio naturale è rappresentata attraverso i soggetti e i materiali dei rilievi, mentre la forma a cassetta rettangolare evoca metaforicamente schermi televisivi o smartphone, ma anche casse funebri a grandezza umana.

L’artista

Pedro Wirz (1981, Pindamonhangaba, Brasile, vive e lavora a Zurigo) prende ispirazione dalla storia culturale, dalla scienza, dall'artigianato e dal folklore. Tra le mostre personali più recenti si ricordano quelle presso PHILIPPZOLLINGER (Zurigo, 2023);  Kai Matsumiya (New York, 2022); Kunsthalle Basel (2022); Marc Selwyn (Los Angeles, 2020); Galerie Nagel Draxler (Berlino, 2019); Centre Culturel Suisse (Parigi, 2019); Kunsthaus Langenthal (2019); LongTang (Zurigo, 2019) e Instituto Tomie Ohtake (San Paolo, 2017). Wirz è stato, inoltre, incluso in numerose mostre collettive, come al Centre d'Art Contemporain Genève (2023); Aargauer Kunsthaus (2019); Centre Pasquart (2018); Blank Projects (Città del Capo, 2018); Tinguely Museum (Basilea, 2016); CCS Bard Hessel Museum of Art (New York, 2015); Künstlerhaus Stuttgart (2013); Dortmunder Kunstverein (2013); Palais de Tokyo (Parigi, 2013) e Kunsthalle Basel (2011).

Bally Artist Award

La Fondazione Bally, animata da una profonda passione per l'arte contemporanea, ha fortemente voluto e creato il Bally Artist Award per sostenere artisti emergenti. Il Premio, che dal 2008 viene assegnato ad una o un artista svizzero o residente in Svizzera particolarmente impegnata o impegnato nella ricerca tra know-how e natura, ha raggiunto una nuova tappa: grazie ad una rinnovata e più intensa collaborazione con il Museo della Svizzera italiana, il vincitore del Bally Artist Award vedrà infatti la sua opera acquisita e integrata nelle collezioni del MASI e beneficerà di una mostra personale di due mesi nella sua sede di Palazzo Reali, nell'anno del premio. Per il premio 2023, la Bally Foundation e il MASI hanno chiamato sette nominatrici e nominatori di fama internazionale a selezionare gli artisti partecipanti: Yasmine Afschar (direttrice della Kunsthalle Mainz), Simon Castets (direttore delle iniziative strategiche alla LUMA di Arles), Julien Fronsacq (curatore senior del MAMCO di Ginevra), Dominique Koch (Bally Artist Award 2022), Sibilla Panzeri (storica dell’arte e curatrice indipendente a Zurigo e Lugano), Sandra Patron (direttrice del CAPC di Bordeaux) e Catherine Wood (direttrice del programma della Tate Modern di Londra). Gli artisti nominati hanno quindi presentato un progetto che è stato esaminato da una giuria composta da Nicolas Girotto e Vittoria Matarrese, presidente e direttrice della Fondazione, Tobia Bezzola, direttore del MASI, Elena Filipovic, direttrice e curatrice della Kunsthalle di Basilea e Diana Segantini, esperta del mondo arabo, curatrice indipendente e direttrice della fondazione Segantini Unlimited. La qualità, la rilevanza e la diversità dei progetti presentati hanno entusiasmato la giuria, rendendo, di fatto, la scelta complessa. 

 



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FRANCESCO DILUCA. AGAPANTO a Palazzo Nicolosio Lomellino di Genova

Per la prima volta gli spazi cinquecenteschi di Palazzo Nicolosio Lomellino accolgono l’intervento di un artista contemporaneo: Francesco Diluca. 

La mostra presenta infatti circa trenta opere inedite, tra sculture e tele, che hanno come protagonista la bellezza sottomarina. Una Natura, la sua, non solo resiliente, ma che prevale sempre sull’uomo.

La personale “Francesco Diluca. Agapanto” ospitata a Palazzo Nicolosio Lomellino, gioiello di proprietà privata tra i più affascinanti Palazzi dei Rolli di Genova. Per la prima volta, dal 2 giugno fino al 16 luglio,  tutti gli spazi del palazzo, dalle preziose sale cinquecentesche, al magnifico ninfeo e al lussureggiante giardino, accoglieranno l’intervento di un artista contemporaneo.

La mostra – curata da Ernesto Giuntini, sceneggiatore e scrittore – presenta al pubblico fino al 16 luglio una raccolta di circa trenta opere inedite, sculture e tele appositamente concepite come riflessione sui temi che riguardano l’uomo, la scienza, la natura ed in particolare il mare. Diluca, da sempre attento a queste tematiche, entra così in stretto rapporto con le stanze della nobile dimora, che si popolano di rappresentazioni di coralli e microrganismi, in un omaggio alla bellezza della vita sottomarina, ma anche alla storia del palazzo e della famiglia Lomellino, impegnata nel Cinquecento nel commercio dei coralli.

Il curatore della mostra sottolinea come: «Non tanto o non solo l'arte di Diluca ci costringe a riscoprire il nostro ruolo nell'ecosistema, quanto egli riesce, attraverso la grammatica visionaria delle opere, a darci una chiave di lettura profonda ed emozionante della vastità naturale che ci sarebbe preclusa in quanto limitatamente umani, e che invece qui sembra dischiudersi in tutte le sue possibilità.»

A tale proposito, assumono particolare significato le sculture in ferro e rame della serie Rusticles ispirate all’omonimo microrganismo - scoperto sul relitto del Titanic nel 1986 - che si nutre di ossido di ferro velocizzando il processo di corrosione: una creatura che aiuta a ripristinare l’ambiente naturale segnando inaspettatamente la prevalenza della Natura sull’uomo.

Con la sua capacità di combinare elementi diversi in una sintesi armonica, l'artista ci offre una visione sorprendente del mondo che ci circonda, aprendo nuove possibilità di esplorazione e di scoperta. Grazie al suo linguaggio che ibrida forme antropomorfe e biomorfe, Diluca modella creature fantastiche e surreali che rappresentano un'esplosione di colore e di bellezza.

Proprio incentrata sul colore è l’opera allestita nel giardino, dal titolo Agapanto, dedicata all’omonimo fiore, che sboccerà nel parco del Palazzo proprio nel periodo della mostra, noto per il suo inconfondibile blu: un’installazione site specific che, assumendo le diverse sfumature del colore della pianta, racconta il suo ciclo vitale fondendosi con il contesto, ma anche, in qualche modo, destabilizzandolo.

La presenza cromatica dei pannelli che compongono l’installazione potrà essere ammirata anche oltre il termine della mostra accompagnando così il tempo della fioritura e il decadimento del fiore dell’agapanto.

Completa la mostra un libro-catalogo che, ai temi cari all’artista, aggiunge il lavoro sulla parola condotto da Ernesto Giuntini. Il progetto editoriale a cura di Flavio Arensi è un viaggio nel viaggio, che anche nella struttura formale si richiama ai diari degli esploratori d’inizio secolo, congiungendo suggestioni e rimandi alla letteratura scientifica.  

La mostra è realizzata in collaborazione con l’Associazione Palazzo Lomellino di Strada Nuova Onlus, (https://www.palazzolomellino.org/) che dal 2004 a Genova promuove e porta avanti l’impegnativo progetto di recupero e di studio legato al Palazzo e al ritrovamento degli affreschi di Bernardo Strozzi, partecipando attivamente alla vita culturale della città attraverso la fruizione e la valorizzazione degli eccezionali e unici spazi con iniziative originali e di alto contenuto artistico e culturale.

 



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FABRIZIO DUSI. "All that glitters is not gold" alla Galleria BPER Banca

Si presenta per la prima volta a Milano con una mostra d'arte contemporanea dell'artista Fabrizio Dusi, a cura di Giorgia Ligasacchi.  

La Galleria BPER Banca si presenta per la prima volta a Milano con una mostra d'arte contemporanea dell'artista Fabrizio Dusi, a cura di Giorgia Ligasacchi. Realizzata in collaborazione con il team arte di Pavesio e Associati with Negri-Clementi, l'esposizione sarà visitabile dal 1° giugno al 15 ottobre 2023 presso la storica sede milanese di Banca Cesare Ponti (Piazza del Duomo, 19), banca private di BPER Banca.

Le opere di Fabrizio Dusi (Sondrio, 1974), artista visivo, pittore e ceramista, danno vita a un progetto inedito che nasce dalla stretta relazione fra la tradizione e l'identità della banca e il linguaggio pop-fumettistico dell'autore.

La mostra raccoglie una selezione di lavori esemplificativi della produzione di Dusi, accanto a installazioni realizzate ad hoc per l'occasione. Tra queste, All that glitters is not gold (Non tutto quel che luccica è oro), che dà il titolo all'esposizione. Un grande neon giallo che illumina l'ingresso della sede, scandendo il passaggio fisico e concettuale dal fuori al dentro, dal luccichio all'oro. La citazione è colta. Le parole sono, infatti, tratte dall'opera teatrale Il Mercante di Venezia di William Shakespeare.

Il percorso espositivo si sviluppa lungo il piano terra della Banca, caratterizzato da un'estetica unica grazie al bancone per il cambio-valuta di fine Ottocento e alla boiserie in legno scuro che riveste gli interni, e attraverso le ampie vetrine che affacciano su Via Giuseppe Mengoni e Via Carlo Cattaneo, rendendo la mostra visibile e apprezzabile anche dall'esterno, in continuo dialogo con la Piazza e la città.

La scelta dello spazio espositivo sottolinea l'importanza dell'arte e della cultura nella vita quotidiana, come strumento di crescita personale e collettiva, ma anche del dialogo tra le persone, aperto e incentrato sui valori reali, sulla cura e sull'attenzione, che BPER Banca ha come obiettivi della propria mission.

«Ospitare questa mostra nella storica sede di Banca Cesare Ponti - dichiara Fabrizio Greco, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Banca Cesare Ponti - è per noi un privilegio e un'occasione preziosa per poter aprire i nostri spazi ai cittadini e per rafforzare le relazioni, che sono al centro della mission della Banca. Vogliamo, infatti, avere un confronto continuo, aperto e proficuo con i nostri clienti, proprio come l'artista sembra suggerire tramite le sue opere. La mostra è un'opportunità per riflettere sull'importanza di una corretta comunicazione che da sempre caratterizza l'operato di Cesare Ponti, fondato sul dialogo e l'ascolto delle persone».

«La Galleria BPER Banca - dichiara Sabrina Bianchi, Responsabile Brand e Marketing Communication e Patrimonio Culturale di BPER Banca - con questa prima esposizione a Milano, vuole cogliere l’occasione di portare un approfondimento sull’arte contemporanea, promuovendo la cultura nella sua più ampia accezione con temi di attualità che, nello specifico di questa mostra, si connettono al mondo della comunicazione e del dialogo. Un progetto inedito che miscela la tradizione trasmessa dalla prestigiosa location con il linguaggio contemporaneo pop-fumettistico dell’artista. Il nostro desiderio è poter coinvolgere ogni visitatore affinché, grazie ai lavori di Dusi, possa riflettere sulla rilevanza del modo di comunicare, anche in un mondo contemporaneo che sta vivendo una continua trasformazione del delicato equilibrio tra fisico e digitale».

Concepito strettamente in relazione al contesto della Banca e alle sue attività quotidiane, il percorso espositivo offre una fruizione originale e non convenzionale delle opere e del luogo, non solo per i clienti di Cesare Ponti ma anche per i visitatori che avranno eccezionalmente la possibilità di scoprire gli spazi e la mostra, tramite visite guidate gratuite su prenotazione (https://allthatglittersisnotgold.eventbrite.it).

«Quello che ci consegna l'artista - spiega la curatrice Giorgia Ligasacchi - è un ritratto complesso e drammatico dell'umanità odierna, uno specchio esatto e coerente che riflette e indaga le dinamiche sociali fra le persone con una attenzione particolare alle distanze che ci uniscono. La speranza è racchiusa nell'ottimismo cromatico e nella scelta stessa del linguaggio pop contemporaneo - semplice, diretto e comprensibile a tutti - e del materiale utilizzato (isotermico, simbolo di protezione dai turbamenti e dalle difficoltà della vita), che si fa portavoce di un messaggio positivo e di fiducia verso il prossimo, verso una ritrovata comunicabilità e armonia umana».

Neon, ceramica, legno e materiale isotermico sono i medium che Dusi ha selezionato per le venti opere esposte, unite dal filo rosso del dialogo tra le persone, aperto e inclusivo, da sempre al centro della sua ricerca. Tematica che affida a icone sociali, personaggi in ceramica smaltata colorata o dipinti su materiale isotermico, portavoce di messaggi vitali. «Faccio arte per comunicare, sembra banale ma è così, è anche un modo per farsi ascoltare», afferma l'artista.

Il percorso di visita inizia dall'esterno, dalle tre ampie vetrine di Via Cattaneo ricoperte - quasi totalmente - da fogli cangianti color oro, e prosegue lungo Via Mengoni dove sono appesi tre grandi quadri rivestiti di materiale isotermico dorato, anch'essi disegnati e dipinti dalle tipiche Folle di Dusi. Gruppi di personaggi accalcati gli uni sugli altri, «fotografie claustrofobiche in cui sembra non esserci una via d'uscita», commenta la curatrice.

Il materiale utilizzato dall'artista è fortemente simbolico. La coperta isotermica riporta subito alla mente lo "stato di emergenza" e, quindi, il bisogno di calore e di protezione dai traumi e dalle ustioni della vita, che gli uomini ricercano ossessivamente, e di sopravvivenza in una società spesso difficile.

Giunto all'ingresso principale, il visitatore incontra la scritta luminosa All that glitters is not gold, davanti alla quale è tenuto a sostare qualche secondo e a riflettere sul messaggio che l'artista vuole trasmettere.

Tra corridoi, scrivanie e salottino d'attesa sono posizionati i classici Bla Bla Bla di Dusi, sculture in ceramica smaltata, montati su base in legno, raffiguranti uomini calvi, in giacca e cravatta o maglietta, e donne bionde con abiti colorati, tutti rigorosamente senza orecchie e con la bocca spalancata dalla quale fuoriescono bolle, vuote ma giocose, che fluttuano nello spazio, invadendo le pareti della sede.

Attraverso la sua tipica ironia intellettuale, pungente ma sottile, che gioca con l'ambiente e il contesto in cui è inserito, Fabrizio Dusi consegna al pubblico il proprio universo creativo, abitato da personaggi che converseranno apertamente con i visitatori regolari e straordinari della banca, creando un ambiente dinamico, tra tradizione e innovazione, con una visione illuminata sul futuro.

Due lavori inediti completano il progetto: Classic Family for La Galleria BPER, l'unica opera in cui il dialogo è diretto essendo costituita da due personaggi vicini, e Gold Lingot un'installazione monumentale che riproduce le fattezze di un grosso lingotto d'oro che si riflette e manifesta in tutta la sua grandezza attraverso l'ampio specchio del salone principale, richiamando l'attenzione del visitatore sul titolo della mostra e sul quesito: "Ma cos'è il vero oro?".

L'esposizione sarà accompagnata da un palinsesto di visite guidate e talk che permetteranno al pubblico di avvicinarsi all'opera di Fabrizio Dusi e ai temi più attuali dell'arte contemporanea. Tra queste, anche alcune visite realizzate in collaborazione con il Gruppo FAI Giovani di Milano. Per informazioni: T. +39 059 2021598, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., www.lagalleriabper.it.

Fabrizio Dusi (Sondrio, 1974) è un artista contemporaneo, riconosciuto nel panorama nazionale e internazionale, che negli anni ha lavorato su tematiche legate alla storia collettiva e alla contingenza, dalla Shoah ai processi migratori, toccando sfumature esistenziali affidate spesso alle parole di grandi scrittori del Novecento. Spazia fra diversi linguaggi artistici, dalla scultura alla pittura, dalle installazioni al neon fino al materiale isotermico riflettendo sui temi delle distanze e della solidarietà, sulle barriere e sui contatti mancati, sulla solitudine e sul sostegno reciproco.

 



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La città invisibile di Veronica Gaido al Consolato Generale d’Italia a New York

Veronica Gaido inaugura nella splendida cornice del Consolato Generale d’Italia “Invisible City”, la sua prima mostra in America, dove rappresenta la propria meditazione impressionistica sui misteri nascosti dei paesaggi urbani.

La scelta della metropoli non è casuale: Guardando le città, ho immaginato che i palazzi avessero un'anima e che venisse fatta intravedere solo a pochi, io sono uno dei fortunati” - afferma Veronica Gaido.

La mostra è curata da Maria Vittoria Baravelli: “La mostra di Veronica Gaido è un’ottima occasione per riflettere e parlare della cultura italiana che continua ad ispirare il mondo intero. “Le città invisibili” un richiamo all’architettura, alla fotografia ed alla letteratura da cui il titolo è un chiaro omaggio ad Italo Calvino nei 100 anni della sua nascita”.

Nel capolavoro di Italo Calvino, da cui prende il nome la mostra, Marco Polo descrive a Kublai Khan le città che ha incontrato nelle sue mostre lontane mentre i due siedono in un giardino. E mentre quest'ultimo "non crede necessariamente a tutto" dice Marco Polo, ascolta con grande interesse le descrizioni fantastiche, che sono forse inventate o forse esprimono le possibilità illimitate di ciò che una città potrebbe essere.

Allo stesso modo, le fotografie di Veronica Gaido, sebbene tecnicamente di edifici - costruiti con vetro, pietra, acciaio e altri materiali tangibili - sono creazioni di luce, tempo ed emozione.

Visto attraverso il suo obiettivo, il solido diventa fluido, il fisso si mette in movimento.

La fotografa in un lungo percorso di esplorazione e meditazione si è avvicinata alle sue città - tra cui New York, Tokyo, Miami e Milano - come una serie di luoghi intrecciati, immaginandosi, come Marco Polo, un viaggiatore che vive l'inaspettato, rimanendo aperto alle storie e alle melodie suggerite dalle architetture. "Quando fotografo un edificio o una città, cerco di vedere il movimento dinamico all'interno, quasi come se fossero corpi viventi”, ribadisce Veronica Gaido.

Attraverso il suo processo, i bordi duri vengono ammorbiditi, il gioco di luci crea qualcosa di più umano e simbolico sia storico sia moderno.

Nel descrivere il suo lavoro, lo storico dell'arte Philippe Daverio ha affermato che: “le foto di Veronica Gaido aprono un dialogo giocoso con la luce che si evolve in orizzonti sorprendenti e inaspettati"; definendone” epifania”, il risultato che ne è seguito.

Ogni capitolo del romanzo di Calvino descrive una città diversa, 55 in tutto. Allo stesso modo, ciascuna delle fotografie della Gaido descrive un aspetto di una metropoli ed in entrambi le cose non sono sempre come appaiono ma infinitamente più complessi.

In un luogo, ad esempio, Calvino ha descritto "una città di tristezza", eppure questo luogo infelice "contiene una città felice ignara della sua esistenza". Una simile, sottile corrente sotterranea di estremi e meravigliose contraddizioni caratterizza il lavoro dell’artista Veronica Gaido.

"Siamo entusiasti di ospitare questa mostra personale della talentuosa fotografa italiana Veronica Gaido - afferma Fabrizio Di Michele, Console Generale d'Italia a New York- “Nel centenario della nascita di Italo Calvino, le sue opere impressioniste riescono a cogliere l'anima stessa delle “città invisibili” su cui ha puntato. Ciò è particolarmente vero per New York, la cui atmosfera dinamica sembra emergere dall'intreccio di luci, colori e grattacieli”.

La curatrice Maria Vittoria Baravelli afferma infine “Veronica Gaido per raccontare il proprio punto di vista sul mondo, utilizza il mezzo fotografico come fosse un pennello. Grazie alla tecnica della lunga esposizione, il fluire della realtà prende vita nella fotografia. Una vita filamentosa, non perfettamente a fuoco ma senza fine”.

È possibile visitare la mostra su appuntamento dal 9 maggio al 30 luglio 2023.

 



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CAVEA MARINI apre a Milano con le opere di Francesca Piovesan tra pietra e fotografia 

L'installazione Blocco, intesa nella sua totalità, è l'occasione per conoscere e ri-comporre il complesso apparato di senso e contenuto della ricerca artistica di Francesca Piovesan.

Con le inedite opere "ECO" di Francesca Piovesan apre oggi a Milano il nuovo spazio CAVEA Marini (via Alberico Albricci 1 -  Missori) per l'arte, il design e l'architettura. Sotto la direzione artistica di Sabino Maria Frassà e la collaborazione con CRAMUM la Marini Marmi porta nel cuore di Milano, a pochi passi dal Duomo, le pietre - Ceppo di Gré® e Nuvolato di Gré - della storica cava di famiglia, fondata nel 1897 alle pendici del Monte Clemo sulla sponda nord-occidentale del lago d'Iseo in provincia di Bergamo. Per l'apertura dello spazio, disegnato dall'architetto Giorgio Rava, Sabino Maria Frassà ha concepito BLOCCO, un'installazione artistica multisensoriale e pluridisciplinare fatta di arte, design e cioccolato: al fianco delle opere - tra fotografia e pietra - di Francesca Piovesan, sarà infatti presentato CAV(E)A, un portacandela a edizione limitata in Ceppo di Gré, e la pralina BLOCCO del pluripremiato maître chocolatier Guido Castagna.

Come spiega il curatore Frassà "l'installazione Blocco dà forma alla tensione in continuo divenire verso sempre nuovi equilibri tra esteriorità e interiorità, fulcro stesso del nostro vivere. L'idea è nata dall'analogia tra le pietre della Marini Marmi e l'epidermide umana impiegata nel lavoro di Francesca Piovesan. Il Ceppo di Gré è una pietra naturale di colore grigio-azzurro, formatasi 600.000 anni fa, che si trova nella parte più esterna della montagna. All'interno, nel cuore della terra, si trova il pregiato Nuvolato di Gré, antichissima pietra "madre" compatta formatasi 200 milioni di anni fa. Allo stesso modo Francesca Piovesan intende la pelle come contenitore e contenuto, come ciò che ci separa, unisce e protegge dall'altro da sé". 

Giulio Marini, Amministratore Delegato della Marini Marmi spiega così il progetto: "La Lombardia è stato il primo mercato della nostra cava. Milano racconta ed è raccontata dal Ceppo di Gré. Apriamo questo spazio a Milano con l'idea di creare cultura con e attraverso la pietra: da una collezione di opere d'arte realizzate ad hoc, al cibo, all'architettura. Oggi più che mai è importante creare contenuti di qualità e noi vogliamo fare la nostra parte in dialogo con la città".

 

ceppo gre 2

 

L'arte di Francesca Piovesan

I lavori di Francesca Piovesan non rappresentano mai la realtà, ma sono essi stessi scorci di realtà. Nelle sue opere c’è letteralmente il suo corpo: i grassi e i sali minerali dell’epidermide, reagendo con i sali d’argento, danno così vita a opere fotografiche (off-camera, ovvero senza l’ausilio della macchina fotografica). Le opere di Piovesan sono così fotografie fatte di realtà, in cui la pelle, catturata e scomposta, ci porta a riflettere più che sulla forma - il corpo - sul contenuto - l'essenza stessa e l'interiorità. Tutto nel nostro mondo ha una forma contenuta in qualcos'altro. Ogni cosa esiste in quanto ha una propria individualità, ovvero è separata dall'altro da sé. Il termine "blocco" indica così sia una grande massa uniforme (di pietra o di legno) che sembra inamovibile, sia l'atto forzato di fermare o essere imprigionato. Per tale ragione in mostra sono presentate opere inedite del ciclo ECO, che raccontano questi due aspetti dell'essere solo a prima vista antitetici. Alle pareti della Cavea Marini sono posizionate due lavori - i più grandi mai realizzati - del ciclo "Aniconico", ciclo presentato per la prima volta al Gaggenau di Roma nel 2021. A prima vista i due lavori bidimensionali sembrano mosaici in pietra. In realtà i tasselli sono frammenti di impronta del corpo dell'artista, che misura e registra con la propria epidermide il mondo esterno.

ANICONICO: UN MOSAICO DI CORPO

(nelle parole del curatore Frassà)

La fisionomia umana nelle opere di ANICONICO non è mai riconoscibile nella sua soggettività: riusciamo a scorgere nell’opera frammenti di una figura umana, ma non comprendiamo chi sia. Ci troviamo di fronte a geometrici “mosaici di corpo”, che a prima vista sembrano fatti di pietra simile al travertino. I tasselli in realtà derivano dalla mappatura del corpo realizzata dall’artista attraverso il contatto tra la propria pelle e il nastro adesivo. Il corpo sembra quasi scomparire, così scomposto in frammenti. Solo l’orecchio, l’organo con cui ci mettiamo in contatto con gli altri, rimane sempre riconoscibile e in evidenza. I due nuovi grandi lavori presentati rappresentano un importante punto di arrivo della ricerca artistica di Piovesan, che cattura "in" e "attraverso" di essi la propria figura intera. Appare evidente in queste opere una forma di rielaborazione laica della geometria sacra - trasversale ai più importanti culti monoteisti; da sempre è la geometria a narrare la perfezione del “creato” qualora non si possa o voglia ricorrere a immagini figurative. In questi mosaici le ri-composizioni geometriche sono fatte di un corpo "universale" non (più) riconoscibile che richiama e tende a un nuovo ordine trascendente. È la straordinarietà di questa artista che riesce a impiegare l'epidermide umana per raccontare l’universalità a cui tendiamo. In fondo siamo tutti figli delle stelle. Siamo anche noi le stelle. Siamo noi con il nostro corpo l’opera d’arte.       

ECO, LE INEDITE "SCULTURE FOTOGRAFICHE" IN CEPPO DI GRE'®

(nelle parole del curatore Frassà)

A contraltare dell'infinitezza in noi racchiusa, "Blocco" ospita anche le inedite opere scultoree "Eco" di Francesca Piovesan, realizzate con la pietra Ceppo di Grè spazzolata. L'artista ha scelto di impiegare questa pietra perché costituisce lo strato esterno della montagna, che custodisce, come lo fa la nostra pelle, un contenuto prezioso: il Ceppo è così inteso come la pelle della montagna, quel "sottile" strato che unisce il mondo esterno alle viscere della Terra, al Nuvolato di Grè. Non a caso la finitura scelta è stata la pietra spazzolata, che rende il ceppo poroso, come se fosse segnato da rughe e pieghe epidermiche.

Il nuovo ciclo di opere parte dalla celebre serie “Specchianti” con cui l'artista catturava le impronte del proprio corpo su vetri che venivano poi specchiati. In "Eco" l’attenzione è posta su un altro aspetto della pelle, quello di essere strumento di "difesa" e forma di contenimento nei confronti di un mondo esterno, che molte volte non si comprende (più) pienamente. Il corpo si fa oggi pietra al fine di proteggersi. Tutto diventa stasi e quiete nell'immobilità. 

Queste nuove opere sono ispirate al mito della Ninfa Eco che si consumò per l'amore non corrisposto nei confronti del bellissimo Narciso. Tale fu il dolore che di lei rimasero solamente la voce e le ossa pietrificate. Gli specchi, impressi del corpo di Francesca, sono posti all’interno del guscio-corazza realizzato in ceppo di Grè, dando forma a un'eco infinita di caleidoscopici riflessi. Enigmatico, come sempre lo è il lavoro di Francesca Piovesan, Eco risulta un corpo in cui il dramma umano viene sublimato e regna il più totale silenzio. Di quell'amore così lontano rimane solo un ancestrale memoria, un bisbiglio infinito - sempre presente - in cui ci si perde. L'opera si presta a infinite interpretazioni e suggestioni: innanzi tutto l'impiego dello specchio e dell'immagine riflessa portano alla mente l'innamoramento mortale di Narciso per la propria immagine riflessa, ma anche la profezia di Tiresia sul fatto che sempre Narciso sarebbe vissuto a lungo "se non avesse mai conosciuto se stesso". Allo stesso tempo queste opere si mettono in chiaro dialogo con le sculture marmoree del Bernini: non solo e non tanto il corpo del Ratto di Proserpina quanto il capolavoro Apollo e Dafne realizzato dal Bernini nel 1625. Il corpo della Ninfa Dafne si trasforma in alloro, e quindi in pietra nelle mani dello scultore, per evitare di cadere vittima dell'amore non ricambiato per Apollo. Di nuovo il tema dell'amore sofferto, della difficoltà del dialogo con l'altro, onnipresente nella ricerca di Piovesan. L'opera del Bernini fu tra l'altro completata da un cartiglio moraleggiante che citava: «colui che ama e insegue i gaudi della bellezza fugace, colma la mano di fronde e coglie amare bacche».

L'installazione Blocco, intesa nella sua totalità, è l'occasione per conoscere e ri-comporre il complesso apparato di senso e contenuto della ricerca artistica di Francesca Piovesan: se il corpo è il fulcro e punto di partenza di ogni suo gesto artistico, il dialogo con la propria interiorità e con il mondo esterno sono il forte fil-rouge che negli anni ha accompagnato l'evoluzione - non solo personale - dell'artista. Il corpo nella sua individualità viene negato: esiste "soltanto" una materia universale, di cui siamo tutti fatti e in cui non possiamo che riconoscerci, ma esiste anche un'impalpabile individualità sofferta, profonda, difficile da scoprire e condividere con gli altri. Le opere di Francesca Piovesan finiscono così per essere fonte continua di riflessione per ricongiungere e cicatrizzare queste ferite interiori, ma non sono né vogliono essere risolutive. Del resto, l'arte è intesa dall’artista quale strumento per misurarsi e conoscersi meglio... un viaggio al di là del "blocco" che non ha mai fine, ma che non possiamo che continuare a percorrere.

 

Info

BLOCCO - Francesca Piovesan

a cura di Sabino Maria Frassà

In collaborazione con CRAMUM

presso: CAVEA MARINI, via Alberico Albricci, 1

17 aprile - 31 luglio

Visite su appuntamento da lunedì a venerdì.

Apertura straordinaria durante la DesignWeek: spazio aperto tutti i giorni dalle 13:00 alle 19:00.

Opening 14 aprile dalle ore 17:00 alle ore 21:30.