Mostre

 



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Villaggio bluVillaggio bluPastello a olio su carta. 26×29,3 cmDisegno di Asō Toshio, bambino di età compresa presumibilmente tra gli otto e i dieci anni della Scuola elementare ordinaria Sakai di Kokura, nella prefettura di Fukuoka. Il comune di Kokura fu aggregato nel 1963 alla città di Kitakyūshū

 

LA MEMORIA DELLA MODERNITÀ - DISEGNI DI BAMBINI GIAPPONESI DELLA RACCOLTA LEVONI 

Un affascinante progetto ricco di incontri fortuiti, intuizioni, colori e creatività.

Il MUSEC inaugura un nuovo appuntamento del ciclo «Dèibambini» a Villa Malpensata con un affascinante progetto ricco di incontri fortuiti, intuizioni, colori e creatività.

La sua storia inizia nella primavera del 1997 quando Gloria Levoni, appassionata collezionista e mecenate mantovana, scopre fra le bancarelle del mercatino dell’antiquariato di Fontanellato (Parma) una raccolta di disegni infantili dai formidabili cromatismi. D’acchito, i disegni le ricordano i dipinti di epoca Heian (794-1185) che illustrano la Storia di Genji, il principe splendente, romanzo giapponese dell’XI secolo, allora sul suo comodino. Decide così, di slancio, di acquistare quei disegni pervasi di Oriente: paesaggi, case, giardini e scene di vita quotidiana che la emozionano, echeggiando liricamente le sue letture. È l’inizio di una vicenda ricca di sorprese che porterà, in poco tempo, a capire che si tratta del fragile frammento di un’immensa quantità di opere cancellate dal tempo: circa quattro milioni di disegni realizzati nel 1938 per un concorso fra i bambini (8 – 13 anni) delle scuole dei Paesi dell’Asse – Giappone, Germania e Italia – organizzato dalla Morinaga & Co., una grande industria dolciaria fondata a Tokyo nel 1899.

Fra il 2002 e il 2006 i disegni sono oggetto di alcune esposizioni temporanee, in Giappone e in Italia, che ne rivelano l’esistenza e pongono le premesse per la loro futura valorizzazione.

Affidati alle cure di un’équipe internazionale di studiosi di diverse discipline, nell’àmbito delle ricerche del progetto «Dèibambini», le opere della Raccolta Levoni si sono rivelate un prezioso nucleo storicizzato che permette di esplorare a fondo uno specifico universo ideologico e artistico.

Se l’obiettivo sotteso degli educatori giapponesi coinvolti nel concorso Morinaga fu di mostrare il ritratto di un Paese che aveva raggiunto, dopo tre generazioni, la piena «apertura alla civiltà» (bunmei-kaika) preconizzata da Fukuzawa Yukichi (1835-1901), la Raccolta Levoni ci permette di rilevare, forti e chiari, i segni della sopravvivenza della tradizione culturale locale.

Agli edifici di stampo occidentale, ai ponti di metallo, alle stazioni di rifornimento e ai pali della luce, fanno da contraltare i giardini, le tegole di ceramica invetriata, le finestre di carta di riso, le case rurali con i tetti di paglia, le pagode, gli stendardi con le carpe per la festa di maggio, le lanterne di pietra e gli onnipresenti cani-leoni guardiani dei templi shintō.

I cromatismi, poi, gli stessi dell’ukiyo-e, sono una sorta di elemento identitario che segna la radicata continuità di una certa visione del mondo.

L’elemento visivo dominante delle opere della Raccolta Levoni è la presenza di un colore spesso, materico, virato in una molteplicità sorprendente di cromatismi contrastanti: quasi che la gioia innata che caratterizza l’orizzonte creativo dei bambini fra gli otto e i tredici anni avesse trovato un suo mezzo elettivo di espressione. I disegni meravigliano per l’intensità dei pastelli a olio con i quali sono realizzati, e grazie ai quali la percezione dei segni e delle forme si trasforma in un’intima pervasione: il colore vibra e si imprime interiormente, permane e seduce, mettendoci in comunicazione immediata con un universo fenomenico infantile.

Il perfezionamento di uno strumento pittorico così efficiente e adatto alle potenzialità espressive dei bambini giapponesi si deve al genio del pittore Yamamoto Kanae (1882-1946), che fu tra i fondatori del movimento modernista Sōsaku-hanga («Stampe creative»). Le sue teorie pedagogiche, ampiamente adottate nelle scuole elementari del tempo, sostenevano l’importanza dell’autoapprendimento creativo, del disegno dal vero en plein air e di un uso massiccio del colore, lasciando al bambino la scelta dell’oggetto della rappresentazione e la massima libertà degli accostamenti cromatici.

In mostra nello Spazio Maraini, al piano -1 di Villa Malpensata, vi saranno cinquanta disegni realizzati con pastelli a olio su carta e tre acquerelli su carta. Arricchiscono l’esposizione curata da Francesco Paolo Campione e Sabrina Camporini, due maschere della Collezione Montgomery di Lugano raffiguranti la testa di un leone [shishi gashira] dalle grandi fauci, con le orecchie e la mandibola mobili, adoperate nelle danze del folklore giapponese. Saranno inoltre esposte una copia del raro volume pubblicato in occasione dell’esposizione temporanea dei disegni infantili del concorso Morinaga, tenutasi a Tokyo alla fine del 1938, e una scultura dell’artista Hayami Shirō (n. 1927), che fu uno dei bambini premiati in quel concorso, divenuto un artista apprezzato e riconosciuto in Giappone. L’opera in terracotta e lacca, realizzata nel 2008, è stata recentemente acquisita da Gloria Levoni, che l’ha messa generosamente a disposizione del MUSEC per la mostra.

Il progetto «Dèibambini»

«La memoria della modernità» è l’undicesimo appuntamento del ciclo «Dèibambini», un progetto del MUSEC che nasce nel 2005 come piattaforma d’interazione fra il museo e la scuola. Nei suoi primi dieci anni di vita il progetto ha consentito ai bambini di cimentarsi su temi diversi, con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza delle proprie potenzialità e della propria visione interiore e di rafforzare la capacità di interpretare il mondo. Con il trasferimento del MUSEC dall’Heleneum a Villa Malpensata, il progetto è stato rinnovato e il punto di partenza sono diventate le opere dei bambini del passato. L’idea è di costruire un ponte fra la creatività infantile di ieri e di oggi, attraverso l’esplorazione profonda dei contenuti espressivi che non soltanto interconnettono le culture, ma che sono serviti come straordinaria fonte per il rinnovamento dei linguaggi artistici del Novecento. Un ponte solido e pieno di poesia, per collegare tra di loro le generazioni.

L’esposizione è corredata da un catalogo scientifico in italiano, pubblicato come undicesimo numero della collana «Dèibambini».

Catalogo

La memoria della modernità. Disegni di bambini giapponesi della Raccolta Levoni, a cura di Francesco Paolo Campione e Sabrina Camporini, Fondazione culture e musei, Lugano 2023. Il volume è introdotto da una lunga conversazione tra Gloria Levoni e Francesco Paolo Campione in cui la collezionista racconta sé stessa, la storia e il valore della sua raccolta (pp. 13-56).

La riproduzione del recto e del verso di tutte le opere è accompagnata da schede scientifiche (a cura di Izawa Akiko) e approfondimenti tematici (a cura di Francesco Paolo Campione e Moira Luraschi) che permettono d’interpretare i disegni e il loro contesto creativo (pp. 57-199).

Segue una conversazione tra Mieko Namiki Maraini e Sabrina Camporini che, a partire dai ricordi evocati alla memoria dai disegni della Raccolta Levoni, tratta dei modelli educativi della scuola e della cultura giapponese degli anni Quaranta (pp. 203-211).

Il tema dell’esposizione è infine approfondito dai seguenti articoli:

- Sabrina Camporini, L’incanto dirompente del colore (pp. 213-231) sulle tecniche, la concezione, la struttura grafica e la grammatica visiva delle opere in esposizione;

- Cristina Corti & Laura Rampazzi, Sulle tracce dei pastelli Sakura. Analisi non invasive dei materiali pittorici (pp. 233-236), a commento degli studi chimico-fisici sui pigmenti utilizzati per la realizzazione dei disegni;

- Chiara Ghidini, «Le mie piccole dita respirano». Il disegno infantile in Giappone negli anni Trenta (pp. 239-252) sulla figura e l’opera di Yamamoto Kanae e, più ampiamente, sulle tendenze pedagogiche giapponesi degli anni Trenta e la loro relazione con la cultura del tempo;

- Giorgio Bedoni, Disegni d’infanzia, cuore tensivo e memoria dell’immagine (pp. 255-263) sulla rilevanza della memoria visiva nel disegno infantile e sul suo rapporto con l’arte e la cultura delle Avanguardie;

- Marco Fagioli, Infantàsia, quasi vent’anni dopo (pp. 265-272) sulla lettura «linguistica» dei disegni infantili del concorso Morinaga e sulla persistenza della cultura figurativa giapponese nel loro sistema di rappresentazione.

INFO

La memoria della modernità. Disegni di bambini giapponesi della Raccolta Levoni

01.04 – 02.07.2023

Lugano (Svizzera), MUSEC | Museo delle Culture

Villa Malpensata, Riva Caccia 5/Via Giuseppe Mazzini 5 - entrata dal parco.

Con il patrocinio dell’Ambasciata del Giappone in Svizzera

Con il sostegno di Città di Lugano

Repubblica e Cantone Ticino, Fondo Swisslos

Cultura in movimento. Aiuto federale per la lingua italiana

Fondazione Ada Ceschin e Rosanna Pilone, Zurigo

The Gabriele Charitable Foundation, Lugano

In collaborazione con

LAC Lugano Arte e Cultura, nell’ambito di LAC edu

 



art week

 Michelangelo Pistoletto, Labirinto, 1969-2022, cartone ondulato dimensioni ambientali. Courtesy Cittadellarte - Fondazione Pistoletto.

 

Palazzo Reale presenta "Michelangelo Pistoletto. La Pace Preventiva" 

Il visitatore della mostra La Pace Preventiva dovrà necessariamente compiere un percorso sinuoso e disorientante camminando all’interno del Labirinto.

Da giovedì 23 marzo a domenica 4 giugno Palazzo Reale presenta “La Pace Preventiva”, una mostra – installazione di Michelangelo Pistoletto pensata appositamente per la suggestiva Sala delle Cariatidi.

Promossa e prodotta dal Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale, Cittadellarte – Fondazione Pistoletto in collaborazione con Skira, la mostra è curata da Fortunato D’Amico ed è parte di Milano Art Week (11-16 aprile 2023), la manifestazione diffusa coordinata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, in collaborazione con miart, che mette in rete le principali istituzioni pubbliche e le fondazioni private della città che si occupano di arte moderna e contemporanea, con una programmazione dedicata di mostre e attività.

Il Labirinto di Michelangelo Pistoletto è il percorso della Pace Preventiva, la traccia di un itinerario di consapevolezza esteso all’interno della grande installazione allestita nella Sala delle Cariatidi. L’installazione è il risultato del progressivo srotolarsi dei cartoni ondulati disposti sull’intera superficie dello spazio espositivo in cui si aprono gli spazi che accolgono alcuni tra i più emblematici lavori realizzati da Michelangelo Pistoletto nel corso della sua attività ed è anche una traccia dell’itinerario di consapevolezza che ha gradualmente consentito all’artista di concepire “l’arte al centro di una trasformazione responsabile della società” espressione che costituisce la mission della sua fondazione, Cittadellarte, attiva come scuola a Biella dagli anni ‘90. Un cambiamento possibile, secondo Michelangelo Pistoletto, solo attraverso una reale pratica della democrazia che coinvolga i cittadini e le loro organizzazioni nei processi di trasformazione sociale responsabile.

Il Labirinto segnala la presenza della dualità contrapposta tra il mostro e la virtù. Per chi si addentra nelle sue trame, così come fece l’eroe Teseo, è necessario avanzare evitando passi falsi che potrebbero compromettere la sua vita e quella degli altri. Il rischio è di essere fagocitati dall’unico abitante che dimora nel labirinto, il Minotauro, simbolo universale di tutte le prepotenze, degli scontri e dei conflitti.
“Oggi l’umanità è calata in un immenso labirinto edificato su scala globale, sconfiggere l’ancestrale emblema del male dall’istinto guerrafondaio non è certo cosa facile; l’esito non è scontato e il successo non è garantito. Nel labirinto si entra e si esce solo avendo cura di redigere un meticoloso progetto di idee, pianificando ogni dettaglio per raggiungere gli intenti prefissati.  
È solo attraverso la pratica della Pace Preventiva che potremo annientare il mostro e abbandonare definitivamente il labirinto dei conflitti” - ha dichiarato il curatore della mostra Fortunato D’Amico.

Il visitatore della mostra La Pace Preventiva dovrà necessariamente compiere un percorso sinuoso e disorientante camminando all’interno del Labirinto. In questo “laborioso marchingegno dell’arte” ad ogni bivio egli dovrà necessariamente scegliere il tragitto da effettuare per raggiungere le altre opere in esposizione, soffermarsi davanti a esse e riflettere sulla loro esistenza. All’uscita dall’installazione porterà con sé il ricordo di un’esperienza ricca di contenuti immaginifici e di informazioni pratiche, ma anche la consapevolezza di avere completato un esercizio tangibile, efficace per riflettere sulle modalità per uscire dal labirinto della realtà quotidiana e instaurare La Pace Preventiva.

Settant’anni fa, nel 1953, proprio nella Sala delle Cariatidi ancora gravata dai segni del conflitto bellico provocati della seconda guerra mondiale, Pablo Picasso esponeva la grande tela Guernica; nel contesto del racconto pittorico si intravede svettare la testa del Minotauro, il mostro che domina la scena del labirinto. Nel 1961 l’artista spagnolo disegna la Colomba della Pace, la stessa che lo studente Manish Paul, della Scuola Secondaria di Vinci, vincitore del premio “Educare alla pace: Leonardo, Picasso, Pistoletto” nell’anno scolastico 2014-2015, utilizzerà, sostituendo il ramoscello di olivo nel becco con il segno-simbolo trinamico del Terzo Paradiso. Michelangelo Pistoletto assume il disegno di Manish Paul, per creare l’immagine-logo de La Pace Preventiva. Pistoletto, già nel 1969, progetta il suo primo Labirinto presso il Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterrdam. All’interno dell’installazione tre membri de Lo Zoo, gruppo artistico multidisciplinare fondato dallo stesso Michelangelo Pistoletto l’anno precedente, svolgono azioni performative suonando dei lunghi megafoni utilizzati come fossero trombe. Negli anni seguenti il Labirinto verrà riproposto in occasione di altre mostre, ogni volta adattato all’ambiente che lo ospita.

I labirinti nella nostra epoca informatica, assumono aspetti conformi alle realtà soft dell’ingegneria elettronica digitale, elaborano e gestiscono le informazioni dell’intera rete dei nodi interconnessi che supportano i canali di comunicazione.
La loro presenza si manifesta attraverso forme diverse, invisibili, che spesso sfuggono anche all’osservazione dei più attenti critici, forse per questo il loro impatto sul pianeta ha assunto dimensioni gigantesche. L’umanità ha oggi a disposizione un dispositivo formidabile per contrastare il mostro e instaurare La Pace Preventiva: La Formula della Creazione di Michelangelo Pistoletto. Esso si presenta come un segno, un simbolo, un'espressione matematica capace di sintetizzare le ricerche individuali e collettive, condotte dall’artista e dalla sua organizzazione, Cittadellarte, insieme agli Ambasciatori del Terzo Paradiso. È uno strumento che trasposto in numeri rivela che 1+1= 3, permutabile con Io+Tu= Noi. 
Tu ed Io, anzi tutti Noi, siamo responsabili della società che creiamo.

La Mela Reintegrata di Michelangelo Pistoletto, una delle opere collocate in mostra, è anche uno dei grandi simboli di Milano (nella sua collocazione definitiva in Piazza Duca D’Aosta), dedicata all'equilibrio tra natura e tecnologia, al cambiamento sostenibile che si può raggiungere solo attraverso una trasformazione responsabile, con l’arte che promuove l’interazione dei diversi settori della società, dall’educazione all’alimentazione, dall’architettura alla moda, dalla spiritualità alla politica.

La mostra La Pace Preventiva si estende con tre installazioni nei Musei scientifici del Comune di Milano, Museo di Storia Naturale, Planetario e Acquario Civico, che ospiteranno una serie di incontri di approfondimento nei mesi di apertura della mostra stessa.
La Pace diventa così il fil rouge di un piano culturale svolto all’interno del labirinto sociale, che aiuta a evitare le incertezze davanti al bivio delle decisioni e imboccare la strada dell’armonia invece di quella che porta sulla via del contrasto e della conflittualità.

Michelangelo Pistoletto nasce a Biella nel 1933. Nel 1962 realizza i Quadri specchianti, con i quali raggiunge in breve riconoscimento internazionale. È considerato uno dei precursori e protagonisti dell’Arte Povera con i suoi Oggetti in meno (1965-1966) e la Venere degli stracci (1967). A partire dal 1967 realizza, fuori dai tradizionali spazi espositivi, azioni che costituiscono le prime manifestazioni di quella “collaborazione creativa” che svilupperà nel corso dei decenni successivi, mettendo in relazione artisti provenienti da diverse discipline e settori sempre più ampi della società. Negli anni Novanta fonda Cittadellarte a Biella, ponendo l’arte in relazione con i diversi ambiti del tessuto sociale al fine di ispirare e produrre una trasformazione responsabile della società. Ha ricevuto innumerevoli premi internazionali, tra cui nel 2003 il Leone d’oro alla carriera della Biennale di Venezia e nel 2007 il Wolf Foundation Prize in Arts “per la sua carriera costantemente creativa come artista, educatore e attivatore, la cui instancabile intelligenza ha dato origine a forme d'arte premonitrici che contribuiscono ad una nuova comprensione del mondo”. Nel 2013 il Museo del Louvre di Parigi ospita la sua mostra personale Michelangelo Pistoletto, Année un - le paradis sur terre. In questo stesso anno riceve a Tokyo il Praemium Imperiale per la pittura. Nel 2022 esce il suo ultimo libro La Formula della Creazione edito da Cittadellarte Edizioni. Sue opere sono presenti nei maggiori musei d’arte contemporanea.

Sito ufficiale:  www.pistoletto.it

 



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Giuseppe Penone. Gesti universali, Installation view - 2, Salone Mariano Rossi, Galleria Borghese, Roma - ph. S. Pellion © Galleria Borghese

 

"Giuseppe Penone. Gesti Universali" alla Galleria Borghese 

La Galleria Borghese torna ad aprirsi al contemporaneo, una mostra che è un omaggio all’immutata vitalità della scultura e a un Maestro dell’Arte Povera.

Oltre trenta opere realizzate tra gli anni Settanta e i primi Duemila in un percorso che attraversa il Salone di Mariano Rossi, la Sala di Apollo e Dafne, la Sala degli Imperatori e quella di Enea e Anchise per espandersi nel Giardino dell’Uccelliera ed eccezionalmente nel Giardino della Meridiana: con Giuseppe Penone. Gesti Universali, a cura di Francesco Stocchi, fino al 28 maggio 2023 la Galleria Borghese torna ad aprirsi al contemporaneo, una mostra che è un omaggio all’immutata vitalità della scultura e a un Maestro dell’Arte Povera.

L’esposizione parte dalla ricerca di qualcosa che non è presente negli splendidi spazi della Galleria, offrendo una nuova lettura di quel rapporto tra paesaggio e scultura che la statuaria antica presente nella collezione del museo ci racconta secondo canoni classici. Un percorso che si pone in perfetta continuità con le ricerche sul rapporto tra Arte e Natura che caratterizzano la direzione di Francesca Cappelletti.

Giuseppe Penone. Gesti Universali non propone alcun confronto ma presenta opere scelte come “riflesso” rispetto all’ambiente, offrendo un “completamento” di elementi: nelle sale caratterizzate da un tripudio di marmi, sculture e decorazioni – magnifiche rappresentazioni del mondo minerale – Penone aggiunge un innesto organico di foglie, cuoio, legno che col¬lega e definisce i due universi. Nei Giardini invece, l’integrazione guarda al mondo dei metalli, con sculture in bronzo che dialogano con la ricca vegetazione circostante, arricchita da circa quaranta nuove piante in vaso chiamate a sorreggere alcune opere.

Il percorso espositivo comprende nuclei di opere meno note o iconograficamente poco asso¬ciate al lavoro di Penone, come Sguardo vegetale, e altre esposte per la prima volta in gruppi tematici – Soffio di foglie e Respirare l’ombra – inserite nello spazio come presenze autono¬me e originali. Nell’assenza di mitologia dei lavori di Penone, la narrazione sposta il suo asse, e il rapporto tra tempo naturale e passato storico dà vita a un nuovo presente incerto.

"Questa mostra è un dialogo tra oggetti che esprimono dei pensieri di epoche diverse ma che hanno come filo conduttore comune il rapporto tra l’uomo e la materia che lo circonda. Questo avviene nell’azione che produce l’opera e che accomuna le opere della Galleria Borghese con la realtà di oggi. Solo attraverso una riflessione con i materiali e con lo spirito che ha sviluppato quelle forme d’arte, si può creare un dialogo che non è un confronto ma un tentativo di porre l’attenzione su dei valori che si possono ritenere condivisi.” afferma Giuseppe Penone.

"La mostra Gesti Universali presenta un dialogo che assume la forma di un innesto tra la dimensione minerale, ampiamente presente nella Galleria Borghese, e quella organica che caratterizza l’opera di Penone. Un’interrogazione sulla scultura libera da ogni sensazionali¬smo, volta a indagare la rappresentazione della natura in relazione al tempo di un passato storico. Un dialogo di idee e materiali, rispetto a un confronto di forme e simboli, che esprime tutta la vitalità della natura umana e di quella vegetale.” dichiara il curatore della mostra, Francesco Stocchi.

Con la mostra di Giuseppe Penone concludiamo la serie di mostre che da due anni cercano di comunicare al pubblico della Galleria Borghese la ricerca su arte e natura, su creatività dell’artista e elementi naturali. Il percorso si svolge in maniera significativa da alcune sale del museo allo spazio esterno, consentendo al visitatore di mettere a fuoco relazioni fra la materia e il gesto dell’artista e riscoprire la potenziale alleanza fra l’essere umano e la natura nel ciclo del tempo.” afferma la direttrice della Galleria Borghese, Francesca Cappelletti.

La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Electa con un’intervista all’artista di Francesco Stocchi e un saggio di Andrea Cortellessa. Il volume propone immagini delle ope¬re allestite nelle quattro sale del museo e nei giardini, descrivendo un osmotico flusso fra la materia organica e le sale interne nonché fra le opere di bronzo e la ricchezza botanica degli esterni.

L’esposizione è stata realizzata grazie al supporto di FENDI, sponsor ufficiale della mostra.

 



art week

 

 

Nicoletta Rusconi Art Projects e ARTbite in collaborazione con Regione Lombardia presentano Salon Bite&Go 

Salon Bite&Go apre le porte a nuove letture raggiungendo il pubblico, interessandolo e incuriosendolo, al di là del valore di ogni singola opera, con un approccio fresco che etichettare non si può. 

Nicoletta Rusconi Art Projects nel 2019 fonda ARTbite Project, scegliendo Instagram come piattaforma per addentrarsi nell'arte contemporanea e scoprirla in modo inedito, divertente e mai banale. Due anni dopo, nel 2021, una versione fisica e itinerante di ARTbite si afferma con il nome di Bite&Go.

ARTbite è una vetrina online e Bite&Go si muove: è questo un modo sinergico per crescere insieme. In un'epoca trans-pandemica Bite&Go si definisce in un modo trasversale, raggiungendo di volta in volta destinazioni sempre diverse.

Autonomo e indipendente, questo progetto ha nella sua stessa natura la capacità di attualizzarsi in sempre nuove forme che rispondono a ciò che gli artisti giovani e il pubblico amano e cercano. In questo senso si colloca la volontà di coniugare l'online e l'itineranza in un momento di profonda inclusività e coinvolgimento.

«Era una grande giornata per lui; si inaugurava il Salon des Refusés, una novità di quell'anno, in cui avrebbe figurato la sua opera, respinta dalla giuria del Salon ufficiale.[...] Alcune carrozze, rare a quell'ora, risalivano mentre un flusso di gente rapido e incoerente come un formicaio s'affollava sotto l'arcata enorme del Palais de l'Industrie.[...] La folla, già densa, aumentava di minuto in minuto poiché tutti disertavano il Salon ufficiale, correvano spinti dalla curiosità, stuzzicati dal desiderio di giudicare i giudici, divertiti, soprattutto, fin dalla soglia, dalla certezza di vedere cose estremamente buffe.»

Corriamo, con la mente, indietro di 160 anni. Il primo Salon des Refusés sconvolse la pittura francese, trasformando in modo irreversibile lo sguardo, la mano e il pennello del pittore. Fu quello l'anno - per qualcuno il più probabile in cui far cominciare la pittura moderna - della svolta radicale negli equilibri. In un certo senso da sempre il sistema dell'arte, fa fronte all'avanzata sulla scacchiera mondiale di nuovi soggetti, nuove dinamiche e nuovi mercati.

Nello scenario di uno stabilizzato circuito galleria-collezionista-casa d'aste-museo, che si ammira e si rispetta, ARTbite Project pone in essere una nuova svolta, cercando una più ampia connessione con la realtà e mirando all'innovazione senza scandagliare il passato.

Salon Bite&Go apre le porte a nuove letture raggiungendo il pubblico, interessandolo e incuriosendolo, al di là del valore di ogni singola opera, con un approccio fresco che etichettare non si può. Identificarlo, per riconoscerlo, implica accettare che esso è il riflesso delle passioni e degli interessi di chi l'ha fondato. Lontano dalla prospettiva di un'attività per pochi privilegiati e dal sentimento di una dimensione solitaria, Salon è pensato per unire in nome dell'arte libera da qualunque tipo di dogma. Nella consapevolezza garantita, che ogni artista in mostra è selezionato da un board competente in materia di storia dell'arte.

Il progetto coinvolge artisti giovani, mid-career ed established, operanti ognuno con i diversi linguaggi dell'arte contemporanea, che saranno invitati a realizzare una nuova opera, di piccola dimensione, nella massima libertà di media e tema. Il percorso espositivo si articolerà in scale, che Bite&Go ha assunto come identità grafica dal 2021, tavoli e cavalletti che ricreeranno la dimensione più intima della creazione artistica: lo studio.

Sfumando i confini tra immaginazione e percezione, Salon Bite&Go vuole essere questo: la fusione di creazione e contaminazione.

Salon di Bite&go

Palazzo Lombardia, Spazio NP

Piazza Città di Lombardia - Via Restelli, Milano

Orari

opening: mercoledì 12 aprile, ore 18-20

aperture: dal 13 al 17 aprile, ore 11-18

aperture serali: dal 18 al 20 aprile, ore 18-21

 



art week

Installation views della mostra "Eve Arnold. L'opera 1950-1980" a CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia. Fotografie di Antonio Jordán.

 

Eve Arnold L’opera, 1950-1980 a CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia 

Eve Arnold, un’altra leggenda della fotografia del XX secolo, la prima donna, insieme a Inge Morath, a far parte della prestigiosa agenzia Magnum Photos nel 1951.

 

"Non vedo nessuno come ordinario o straordinario. Li guardo semplicemente come persone davanti al mio obiettivo". 

Eve Arnold

 

Dopo il grande successo di Robert Doisneau, CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia di Torino propone fino al 4 giugno 2023, un’altra leggenda della fotografia del XX secolo: Eve Arnold, la fotografa americana che ha saputo raccontare il mondo con un «appassionato approccio personale», unico strumento reputato da lei indispensabile per un fotografo.

Per intendere la sua importanza nella storia della fotografia, è sufficiente ricordare che Eve Arnold è stata la prima donna, insieme a Inge Morath, a far parte della prestigiosa agenzia Magnum Photos nel 1951.

Determinazione, curiosità e, soprattutto, la volontà di fuggire da qualsiasi stereotipo o facile categorizzazione le hanno permesso di produrre un corpus eclettico di opere: dai ritratti delle grandi star del cinema e dello spettacolo ai reportage d’inchiesta dove ha affrontato temi e questioni assolutamente centrali nel dibattito pubblico di ieri e di oggi.

L’esposizione, curata da Monica Poggi e realizzata in collaborazione con Magnum Photos, si compone di circa 170 immagini, di cui molte mai esposte fino ad ora, e presenta l’opera completa della fotografa a partire dai primi scatti in bianco e nero della New York degli anni Cinquanta fino agli ultimi lavori a colori, realizzati alla fine del secolo. Le opere selezionate affrontano temi e questioni come il razzismo negli Stati Uniti, l’emancipazione femminile, l’interazione fra le differenti culture del mondo. Anche se la sua fama planetaria è senza dubbio legata ai numerosi servizi sui set di film indimenticabili, dove ha ritratto le grandi star del periodo da Marlene Dietrich a Marilyn Monroe, da Joan Crawford a Orson Welles.

«Metaforicamente parlando – ha affermato Robert Capa – il suo lavoro cade a metà fra le gambe di Marlene Dietrich e la vita amara dei lavoratori migranti nei campi di patate». Ed è proprio un servizio dedicato all’attrice tedesca, ottenuto quasi casualmente, ad accendere i riflettori sul suo talento, dandole accesso al mondo dello spettacolo. Gli scatti più noti sono quelli che hanno come soggetto Marilyn Monroe, con la quale stringe un vero e proprio sodalizio artistico dopo che la diva nel 1954 la avvicina a una festa dicendole: «Se sei riuscita a fare così bene con Marlene, riesci a immaginare cosa potresti fare con me?». Il rapporto con Marilyn fa nascere immagini passate alla storia soprattutto per aver raccontato la personalità dell’attrice celata dietro alla facciata da diva. Eve Arnold dimostra una straordinaria capacità di entrare in sintonia con i propri soggetti, abbattendo barriere e reticenze, anche attraverso gli iconici ritratti a personaggi come Joan Crawford, che si fa immortalare durante infiniti rituali di bellezza, o Malcolm X, che le concede di seguirlo a distanza ravvicinata durante i più importanti raduni dei Black Muslims e del quale realizza un ritratto che diviene subito una vera e propria icona.

Proprio le immagini del controverso leader trovano posto in mostra insieme ai diversi servizi dedicati da Eve Arnold alla comunità nera e alle rivendicazioni degli afroamericani che negli anni Cinquanta stavano prendendo piede in tutti gli Stati Uniti. Il suo primo lavoro è, infatti, un reportage dai toni densi e fumosi dedicato alle numerose sfilate di moda di Harlem, organizzate nella totale indifferenza del mondo della moda bianca. Realizzato come esercitazione per un corso alla New School for Social Research di New York tenuto dal celebre Art Director di “Harper’s Bazaar”, Alexey Brodovitch, il progetto la trasforma in pochissimo tempo in una delle autrici più richieste da giornali e magazine internazionali. Questi scatti sono rivoluzionari sia per la scelta del soggetto che per lo stile: uscendo dall’estetica patinata dei magazine del periodo, Arnold racconta i momenti spontanei dietro le quinte, l’attesa prima dello spettacolo, l’impazienza del pubblico. Il lavoro è realizzato in situazioni di scarsa luminosità e, non volendo utilizzare il flash, Eve Arnold passa ore in camera oscura per esaltare l’atmosfera intima degli ambienti, ponendo le basi del suo particolare stile dove la teatralità di un’illuminazione naturale e la vicinanza emotiva ai soggetti sono imprescindibili. Il servizio è considerato troppo scandaloso per i giornali americani, tanto da venire pubblicato nel 1951 dal londinese “Picture Post” e poi da diverse riviste europee. A questo seguiranno numerosi altri reportages da tutto il mondo, come quelli realizzati in Cina nel 1979 e l’imponente progetto sull’uso del velo in Medio Oriente, avviato dopo aver assistito a un discorso del presidente tunisino Habib Bourguiba che esortava le donne a togliere il velo per entrare nella modernità: luoghi e temi in grado di aprire dibattiti anche sull’oggi.

La carriera di Arnold è a tutti gli effetti un inno all’emancipazione femminile. I suoi soggetti sono nella maggior parte dei casi donne: lavoratrici, madri, bambine, dive, suore, modelle, studentesse, immortalate senza mai scivolare in stereotipi o facili categorizzazioni, con il solo intento di conoscere, capire e raccontare. Questo principio la guida anche nelle fotografie più intime e delicate, come quelle realizzate all’interno dei reparti di maternità degli ospedali di tutto il mondo, soggetto a cui ritorna costantemente per esorcizzare il dolore subito con la perdita di un figlio avvenuta nel 1959.

La scelta e la disposizione delle immagini in mostra è finalizzata a restituire la ricchezza dell’opera di questa autrice, sottolineata anche attraverso numerosi documenti d’archivio, testi, provini di stampa, libri e riviste in grado di arricchire la scoperta di una vera e propria leggenda della fotografia.

L’esposizione è accompagnata dal catalogo “Eve Arnold”, edito dalla nuova casa editrice Dario Cimorelli editore.