Mostre

 



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Hedi Mertens, Unità quadrilatere uguali si incontrano in un quadrato centrale, 1969, olio su tela, Collezione privata 

 

Hedi Mertens "La logica dell’intuizione" al MASI di Lugano 

Il progetto espositivo restituisce al pubblico l'opera e la singolare storia di un’artista che partendo da una profonda conoscenza teorica ha trovato in Ticino le condizioni favorevoli per applicarla e sviluppare la propria arte.

Il Museo d'arte della Svizzera italiana presenta nella sede di Palazzo Reali la mostra "Hedi Mertens. La logica dell’intuizione." Il progetto espositivo restituisce al pubblico l'opera e la singolare storia di un’artista che partendo da una profonda conoscenza teorica ha trovato in Ticino le condizioni favorevoli per applicarla e sviluppare la propria arte.

Personalità estremamente versatile, Hedi Mertens (Gossau, 1893 – Carona, 1982) segue una formazione pittorica classica, ma inizia a dipingere con costanza soltanto negli anni Sessanta, in età ormai avanzata, dopo un percorso di vita ricco di esperienze ed incontri eccezionali in Svizzera e all’estero. Ciò nonostante riesce a sviluppare, in poco più di vent'anni, un corpus di opere di straordinaria intensità, da cui si sprigiona tutta l'energia e la forza di un lavoro giovanile. Nella sua ricerca Mertens abbraccia i principi dell'arte costruttivo-concreta svizzera, rispetto alla quale il suo lavoro si può considerare una “variante poetica”.

Attraverso una selezione di oltre 30 dipinti che coprono l'intero arco di produzione di Hedi Mertens dai primi anni Sessanta fino alla fine degli anni Settanta, l'esposizione al MASI ripercorre le diverse fasi e lo sviluppo dell'opera di quest'artista ancora poco nota al grande pubblico. Le analisi e le teorie compositive assimilate da Mertens grazie all’intenso scambio di idee con artisti e intellettuali vicini all’astrattismo e all’arte concreta svizzera sono rievocate in mostra da alcune opere puntuali dei quattro principali rappresentanti dell’arte concreta zurighese: Richard Paul Lohse, Max Bill, Camille Graeser e Verena Loewensberg.

Nella sua ricerca artistica Hedi Mertens riprende e indaga alcuni dei fondamenti dell’astrazione geometrica. Il quadrato, protagonista della sua produzione, le permette nella sua forma assoluta di coniugare la logica di infinite possibilità combinatorie con una certa libertà, che segue la sua intuizione personale. Un approccio che si riflette soprattutto nella scelta dei colori, per cui l'artista rinuncia a schemi rigidi e sceglie piuttosto contrasti e accostamenti cromatici guidati dalla propria sensibilità individuale. Nella fase finale del suo lavoro si riconosce un allontanamento dai modelli assimilati per approdare ad uno stile decisamente più personale. Negli ultimi dipinti è lo sfondo bianco a dominare sugli altri elementi: la tela risulta pervasa da una più profonda spazialità e da un'atmosfera meditativa, una condizione che ben rispecchia il periodo trascorso in Ticino dall’artista.

Nel percorso espositivo sono presentate anche alcune lettere, documenti e testimonianze sulle vicende biografiche dell'artista.

L’esposizione è realizzata in collaborazione con il Museum Haus Konstruktiv di Zurigo, dove verrà presentata nella primavera 2024. In occasione della mostra sarà pubblicato un catalogo bilingue italiano/tedesco edito da MASI Lugano / Museum Haus Konstruktiv / Scheidegger & Spiess / Edizioni Casagrande, con testi di Francesca Benini ed Evelyne Bucher e un saggio di approfondimento di Medea Hoch sull’opera di Hedi Mertens, come pure le immagini di tutte le opere esposte a Lugano e a Zurigo.

Il percorso

"Dipingo quadri simili ai suoi, ma solo in sogno!" (Ich male Bilder den Ihren verwandt aber nur in Traum!) scrive Hedi Mertens nel 1951 a Richard Paul Lohse, artista e teorico, tra i maggiori portavoce e promotori dell'arte concreta. Insieme all’artista Leo Leuppi, un altro importante esponente della scena artistica svizzera, Lohse è assiduo frequentatore del Bünishof, la villa nella periferia zurighese dove Mertens vive con il secondo marito e che negli anni trenta diventa un punto di ritrovo per importanti intellettuali e personalità di spicco dell’epoca, tra cui Carl Gustav Jung ed Hermann Hesse. Gli scambi e le preziose esperienze vissute da Hedi Mertens in questo periodo troveranno espressione nella sua ricerca artistica successiva, influenzata anche dal legame con l'India, nato attraverso il contatto con il santone indiano Shri Meher Baba e il viaggio durato due anni nel subcontinente indiano. Il trasferimento in Ticino nel 1952 – prima a Solduno e poi a Carona vicino a Lugano – risulta condizione ideale per l'ultimo progetto di vita di Mertens che, forse proprio grazie alla tranquillità trovata nel sud della Svizzera, riprende a dipingere nel 1960.

Come emerge dai primi lavori in mostra, realizzati all'inizio degli anni Sessanta, per le sue composizioni Mertens prende le mosse dai metodi sistematici elaborati dagli artisti concreti, che aveva analizzato a fondo. Il quadrato è il soggetto eletto a protagonista di tutte le sue opere, costruite su ordini pittorici spesso regolati da operazioni aritmetiche e geometriche come la divisione, la moltiplicazione, il contrasto, la centratura, la dispersione, la digressione, la progressione, la simmetria, l'intreccio, la rotazione, ecc.

Nei lavori delle fasi iniziali emergono chiare le influenze degli artisti concreti svizzeri, con cui si apre la prima sala della mostra. Ad esempio, l'opera Quadrato costituito da unità colorate, con quattro quadrati uniti a formare un blocco del 1965, evoca la struttura dei dipinti dell'artista Camille Graeser, che compone sulla tela strutture basate sull'equivalenza dei quanti, in cui quadrati di dimensioni diverse sono ordinati in modo da generare una progressione. La serie di opere intitolate Unità quadrilatere uguali è caratterizzata da griglie a unità quadrata e fitti reticolati che richiamano invece le composizioni di Richard Paul Lohse. Le opere concrete di Max Bill sembrano aver influenzato alcuni dipinti come Sequenza diagonale di quadrati con quadrato rosso del 1973, in cui Mertens applica la rotazione della tela di 90 gradi, che diventa così un rombo. Costantemente alla ricerca di nuove soluzioni formali, in quegli stessi anni l'artista sperimenta diversi motivi, come quello del quadrato nel quadrato, che sottintende il principio della cornice all’interno del dipinto, o quello della suddivisione della tela attraverso elementi a “L”.

“Una simbiosi di rigore quadrato e di cromaticità intuitiva” (eine Symbiose von quadratischer Strenge und intuitiver Farbigkeit), così è stata definita la sua opera dalla storica dell'arte Ludmila Vachtová. Al rigore dei sistemi per le sue composizioni basate sulla logica, Hedi Mertens accosta infatti una scelta dei colori più libera, passando da pastelli a toni intensi, da colori primari – integrando il bianco e il nero – a colori mescolati, creando contrasti chiaro-scuro o freddo-caldo che seguono un suo personale senso dei colori.

Avvicinandosi alle opere dell'ultimo periodo, le regole geometriche complesse che caratterizzavano i primi lavori dell'artista giungono a una semplificazione, per risolversi in un linguaggio più lirico e meditativo. Il colore bianco, che nei titoli viene definito dall’artista elemento muto della tela, prende il sopravvento sugli altri elementi: si genera così una spazialità più mistica, in cui le forme sembrano sospese nel campo pittorico e spesso sono raggruppate ai margini della tela (Quattro quadrati nello spazio). La tavolozza si fa più fredda, predilige le tonalità scure luminose e insieme una gamma cromatica opaca che conferisce maggiore solennità alla composizione. Una tensione verso l’armonia e la contemplazione, questa delle ultime opere, che caratterizza la cifra più autonoma della ricerca di Hedi Mertens e rimane come testamento di un'artista ancora troppo poco conosciuta, che con questa mostra si vuole far riscoprire.

 



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"Paolo Masi. Il nomade dell'arte" 

Una delle più significative fra le ville venete, restaurata per volontà dell'Amministrazione comunale.

"Paolo Masi. Il nomade dell'arte" in mostra, dal 2 al 30 aprile 2023, a Villa Brandolini di Pieve di Soligo (TV), una delle più significative fra le ville venete, restaurata per volontà dell'Amministrazione comunale.

La mostra è promossa dalla Galleria FerrarinArte di Legnago (VR), che da anni rappresenta l'artista Paolo Masi e ne promuove la ricerca, con il contributo della Città di Pieve di Soligo e la collaborazione di Fuori catalogo Circolo anche Culturale.

L'inaugurazione si terrà domenica 2 aprile alle ore 16.30, alla presenza dell'artista, di Stefano Soldan, Sindaco del Comune di Pieve di Soligo, di Luisa Cigagna, Assessore alla Cultura, e di Carlo Vanoni, autore del testo critico in catalogo.

Il percorso espositivo comprende oltre 60 opere del maestro fiorentino, esponente della "Pittura Analitica" e protagonista indiscusso nel panorama artistico italiano. Accanto ai lavori storici, sarà esposto un cospicuo nucleo di opere di recente produzione, alcune delle quali inedite, che evidenziano la continuità di una ricerca avviata negli anni Sessanta e mai interrotta.

«Paolo Masi è il vagabondo dell'arte - scrive Carlo Vanoni - il viaggiatore che incarna un innegabile rischio morale, e ciò proprio in quanto portatore di novità. Perché l'artista, nella sua essenza, rappresenta l'irruzione, lo straripamento, ciò che prevedibile non è. In Paolo Masi nulla è prevedibile. Con i suoi cartoni ha dimostrato di essere sempre pronto al cambiamento. E allora qui, dentro la villa un tempo dimora della nobile famiglia veneta, ma di antiche origini forlivesi, Masi allestisce il suo accampamento con maestosi cartoni; con sentinelle (stele) che fanno la guardia; con dittici, trittici e polittici, che sono immagini indelebili dei suoi precedenti viaggi, sono il passaporto per accedere a nuove frontiere; con segni, tracce e colori che segnano il tempo che passa, dagli anni Sessanta fino a oggi».

Materiali d'elezione per Paolo Masi, un tempo "analitico" e oggi libero da qualsiasi etichetta, sono il cartone e il plexiglas, combinati al segno e al colore per dare vita ad una nuova sintassi. Caratteristica della mostra di Villa Brandolini è l'uso di cartoni di grandi dimensioni, lavorati appositamente per gli ampi spazi della dimora storica, un tempo abitata dalla nobile famiglia veneta.

Nel corso della mostra saranno presentati il libro "Paolo Masi. A modo mio", con testi di Giorgio Bonomi, Anthony Molino e Rosita Lappi, e il catalogo "Il nomade dell'arte", con il testo di Carlo Vanoni e la documentazione fotografica delle opere esposte.

La mostra è visitabile il sabato con orario 16.00-19.00, la domenica ore 10.00-12.00 e 16.00-19.00, gli altri giorni su appuntamento (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.), chiuso nelle giornate festive. Ingresso gratuito. Per informazioni e approfondimenti: T. +39 0442 20741, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., www.ferrarinarte.it.

Paolo Masi è nato l'11 maggio 1933 a Firenze, dove vive e lavora. La sua azione artistica, strettamente legata a una continua sperimentazione sul modo di operare e trasformare i materiali, si muove in continua tensione verso nuove ricerche, individuando di volta in volta nuove soluzioni. Alla prima personale nel 1960 alla Strozzina a Firenze seguono numerose mostre nelle principali gallerie italiane ed europee: Numero (Firenze), Cenobio (Milano), L'Aquilone (Firenze), Schema (Firenze), Christian Stein (Torino), Lydia Megert (Berna), d+c Mueller Roth (Stoccarda), Thomas Keller (Monaco), Primo Piano (Roma), La Polena (Genova), Ariete (Milano), La Piramide (Firenze), Centro d'Arte Spaziotempo (Firenze), Galleria Studio G7 (Bologna), Fondazione Mudima (Milano). Dopo il confronto con le sperimentazioni post-informali e la ricerca nell'ambito dell'astrazione e del Neoconcretismo, si avvicina alle contestuali esperienze analitico-riduttive, scomponendo e riorganizzando sul pavimento e a parete aste di alluminio, specchi, fili o piccole stecche di plexiglas colorato che estendono anche alla terza dimensione la ritmicità dello "spazio-colore". Ritorna alla bidimensionalità attraverso il progetto "Rilevamenti esterni-conferme interne" (1974-76), sviluppato all'esterno con foto Polaroid di tombini, muri e pavimenti iniziate nel 1974 a New York e, contemporaneamente, all'interno dello studio con le "Tessiture" (tela grezza cucita) e i "Cartoni da imballaggio", dove utilizza per la prima volta adesivi trasparenti e coprenti, facendo emergere la struttura interna del materiale. Nel 1974 Masi è fondatore, insieme a Maurizio Nannucci e Mario Mariotti, di un collettivo che gestisce lo spazio no profit "Zona" a Firenze, esperienza che troverà la sua continuazione nel collettivo "Base" a partire dal 1998. Si ricordano le partecipazioni alle mostre collettive "I colori della pittura. Una situazione europea" (a cura di Italo Mussa, Roma 1976); XXXVIII Biennale di Venezia (1978); XI Quadriennale romana (1986); "Kunstlerbücher" di Francoforte; Erweiterte Photographie "Wiener Secession", Vienna (1980); "Livres d'artistes", Centre Georges Pompidou, Parigi, (1985); "Arte in Toscana 1945-2000", Palazzo Strozzi, Firenze, Palazzo Fabroni, Pistoia (2002), "Pittura Analitica. I percorsi italiani 1970-1980", Museo della Permanente, Milano (2007) e "Alla Maniera d'Oggi. Base a Firenze", Chiostro di San Marco, Firenze (2010); "La Torre di Babele", Ex fabbrica Lucchesi, Prato (2016), "Versus. La sfida dell'artista al suo modello in un secolo di fotografia e disegno", Galleria civica, Modena (2016), "Pittura Analitica. Ieri e oggi", Mazzoleni Art, Londra - Torino (2017); le personali a Bludenz (2014), al Museo d'Arte Contemporanea di Lissone (2014), alla Fondazione Mudima di Milano (2014). Nel 2013, in occasione della mostra allestita presso Frittelli arte contemporanea a Firenze, viene pubblicato il volume monografico "Paolo Masi. La responsabilità dell'occhio" a cura di Flaminio Gualdoni.Nel 2014 Masi presenta l'installazione "Riflessioni Riflesse" nel chiostro della Basilica di Sant'Ambrogio di Milano, quindi nel Cortile del Palazzo dell'Archiginnasio a Bologna (2015), in Piazza San Fedele a Milano (2016) e l'opera "Camminate come figli della luce" nella Chiesa di Sant'Eufemia a Verona (2016). Nel 2016 partecipa alla collettiva "Interrogare lo spazio" a cura di Luigi Meneghelli presso la galleria FerrarinArte di Legnago (VR) cui segue, nel 2017, organizzata dalla stessa galleria, la mostra "Pittura analitica origine e continuità" che, curata da Giorgio Bonomi con Michele Beraldo e Alberto Rigoni si tiene presso Villa Contarini a Piazzola sul Brenta, la Rocca di Umbertide Centro per l'Arte Contemporanea di Umbertide e la Rocca Roveresca di Senigallia. Nel 2018 il Museo MA*GA di Gallarate gli dedica la mostra antologica "Paolo Masi. Doppio Spazio", a cura di Lorenzo Bruni e "Le Murate. Progetti Arte Contemporanea", centro di arte contemporanea del Comune di Firenze, produce la mostra "Paolo Masi. QUI", a cura di Valentina Gensini, commissionando 12 opere monumentali appositamente concepite e realizzate per il complesso monumentale. La personale "Paolo Masi, Pittura, vibrazione e segno. 60 anni di ordinata casualità", organizzata da FerrarinArte e curata da Matteo Galbiati, ne celebra in modo antologico il lavoro con mostre presentate, tra il 2019 e il 2021, presso la Kromya Art Gallery di Lugano (Svizzera), Palazzo del Monferrato ad Alessandria, da FerrarinArte a Legnago - in questa occasione è stata editata l'omonima monografia per i tipi di Silvana Editoriale - presso la Rocca di Umbertide Centro per l'Arte Contemporanea di Umbertide e Palazzo Ravasio a Verona. Nel 2022 inaugura "La continuità del segno" presso Kromya Art Gallery di Verona, da cui il titolo della monografia pubblicata da Vanillaedizioni, successivamente presso il DAV - Dipartimento di Arti Visive di Soresina (CR) espone per la prima volta la serie scultorea "Steli" nella mostra "A Modo Mio", curata da Anthony Molino e da Francesco Mutti.

 



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SARENCO. La Platea dell'Umanità alla CAMeC di La Spezia 

Fra i più significativi interpreti del secondo Novecento italiano ed internazionale, Sarenco è stato poeta visivo, performer, esploratore, regista, editore, fotografo e organizzatore di eventi culturali internazionali.

Sarenco al CAMeC Centro Arte Moderna e Contemporanea della Spezia nel nome della Poesia Totale. S'intitola "La Platea dell'Umanità" la grande mostra antologica curata da Giosuè Allegrini, che dal 31 marzo 2023 al 14 gennaio 2024 sarà allestita al primo piano del museo.

Promossa dal Comune della Spezia, prodotta dal CAMeC e dalla Fondazione Sarenco, l'esposizione antologica sarà inaugurata venerdì 31 marzo alle ore 18.00.

Fra i più significativi interpreti del secondo Novecento italiano ed internazionale, con presenze a Documenta 5 di Kassel e a varie edizioni della Biennale di Venezia, Sarenco è stato poeta visivo, performer, esploratore, regista, editore, fotografo e organizzatore di eventi culturali internazionali come la Biennale di Malindi, la cui terza e quarta edizione furono curate da Achille Bonito Oliva.

«Sarenco - scrive il curatore Giosuè Allegrini - è stato fra le figure più dotate, attive, imprevedibili ed esplosive della ricerca artistica contemporanea in Italia e non solo. Teoretico della Poesia Totale, l'idea creativa di Sarenco era quella di manifestare il fatto che ai poeti niente potesse essere precluso: la pittura, la scultura, la ceramica, la performance, i concerti, il teatro, il video e il cinema: da qui il concetto, appunto, di Poesia Totale. Ciò che desideriamo proporre, con questa mostra, è il "Sogno di Sarenco sull'Arte"; quella forma poetica anarchica e rivoluzionaria, al contempo pubblica, anticonformista e dissacrante, tramutato in realtà, ed attraverso di essa porre la luce dei riflettori sulla cultura italiana, europea e internazionale del secondo Novecento, in rapporto alla società dei consumi e della comunicazione e più in generale a tutti gli "ismi" condizionanti, a vario titolo, il mondo in cui viviamo».

Il percorso espositivo comprende circa 170 opere rappresentative di un percorso cinquantennale, a loro volta affiancate da immagini e documenti bibliografici e archivistici, rivelativi del particolare periodo storico vissuto (riviste di esoeditoria, manifesti, fotografie, locandine ecc), molti dei quali estremamente rari e alcuni anche inediti.

Un florilegio di opere, dai progetti visual-poetici del 1963, "Traditi", "Grande Strage", "Finalmente l'Avanguardia", governati dalla potenza paroliberista futurista e dagli echi grafici di Mallarmè, transitando per le tele emulsionate, ironiche e rivoluzionarie, come "Il popolo è forte armato vincerà" o "Avanti o popolo alla riscossa", in cui gli angeli oranti di Giotto, nella Cappella degli Scrovegni di Padova, si trasformano in coristi del ritornello di Bandiera Rossa. Altro esempio è costituito dal ciclo di lavori in cui Sarenco ironizza sulle nature morte di Morandi, il pittore di Grizzana, sbeffeggiando la loro freschezza e originalità con giochi di parole quali "Più morta che natura", "Mors tua natura mea", "Morituri te naturant". Seguono i collage e gli assemblage degli anni ‘70 e successivi, come "Poetical Licence" e i cicli "Tabù" e "Tempo"; quindi le grandi installazioni, come "I miei poeti": quattro gigantesche sculture bianche raffiguranti Marinetti, Breton, Tsara e Apollinaire, rappresentative della levatura infinita della poesia, o gli "Autoritratti africani", ironici e beffardi. Ecco poi comparire, il ciclo di opere legate ai ritratti delle "Poetesse" pellerossa di stirpe sioux, apache, comanche, navajo e in generale di tutti i popoli nativi dell'America, che rimandano al senso assoluto di libertà, di emancipazione da tutti i condizionamenti di ogni epoca e grado. Infine i cicli di opere "Il Poeta è nudo", "Solo come un poeta" e "Andiamo a scuola" danno palese evidenza di quanto Sarenco abbia caparbiamente rifuggito l'omologazione, nel corso dell'intera esistenza, sempre pronto a testimoniare attraverso l'azione poetica, creatrice e rivoluzionaria, provocatoria e dissacrante, il senso profondo della vita.

L'esposizione sarà visitabile fino al 14 gennaio 2024, da martedì a domenica dalle 11.00 alle 18.00, chiuso il lunedì, aperto il Lunedì di Pasqua e il 1° maggio, Natale e Capodanno. Ingresso intero euro 5, ridotto euro 4, ridotto speciale euro 3,50. Per informazioni: tel. +39 0187 727530, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., http://camec.museilaspezia.it.

Nel corso della mostra, la Fondazione Sarenco pubblicherà un catalogo bilingue italiano / inglese a cura di Giosuè Allegrini con fotoriproduzioni a colori delle opere e dei documenti esposti e saggi critici di vari autori: Giosuè Allegrini, Achille Bonito Oliva, Bernard Heidsieck, Oriano Mabellini, Enrico Mascelloni, oltre all'ultima intervista di Sarenco, rilasciata a Claudia Capelli.

Sarenco, al secolo Isaia Mabellini (Vobarno, 1945 - Salò, 2017). Poeta visivo, performer, esploratore, regista, editore, fotografo, organizzatore: è stato fra le figure più dotate, attive, imprevedibili ed esplosive della ricerca artistica contemporanea in Italia e nel mondo. Frequenta il Liceo Classico "Arnaldo" di Brescia e studia Filosofia alla Statale di Milano. Nel 1961 inizia a scrivere le sue prime poesie lineari. A partire dal 1963 inizia ad occuparsi di ricerche poetico-visive stringendo i primi contatti con gli artisti del "Gruppo 70", nel quale entrerà ufficialmente l'anno successivo. Il suo contributo al movimento si contraddistingue per il tono graffiante e caustico con cui elabora testi epigrammatici che associa ad immagini di provenienza varia dal mondo della comunicazione a quello dell'arte. Servendosi delle tecniche del collage, dell'assemblage o della tela emulsionata ottiene opere di forte impatto, che utilizza come strumento di lotta politica e culturale. Nel 1965 comincia la sua attività espositiva, avendo al suo attivo oltre 50 mostre personali e circa 1000 esposizioni collettive. Svolge un'intensa attività editoriale e organizzativa. Fonda riviste fra cui "Amodulo" nel 1968 e "Lotta poetica" nel 1971 e case editrici quali Edizioni Amodulo nel 1969, SAR.MIC nel 1972 e Factotum Art nel 1977. Fonda gruppi come il Gruppo Internazionale di Poesia Visiva (o Gruppo dei Nove) e i Logomotives. Dal 1982 Sarenco intraprende numerosi viaggi fra Asia e Africa, immettendo energie nuove nelle sue creazioni cariche di ironia. Da questo momento il continente africano diventa protagonista all'interno della sua produzione artistica. è stato organizzatore di quattro edizioni della Biennale Internazionale d'Arte di Malindi, in Kenya (2006-2008-2010-2012). Scrive il suo primo soggetto cinematografico nel 1968, che poi girerà nel 1984 con il titolo "Collage". L'anno successivo viene invitato a presentare la pellicola al Festival del Cinema di Venezia. Seguiranno molti altri lungometraggi. Ha pubblicato oltre quaranta libri e realizzato quindici film. È stato regolarmente presente nelle più importanti rassegne d'arte internazionali, fra cui quattro edizioni della Biennale di Venezia (1972, 1986, 2001 - curatore Harald Szeemann, con Sala Personale - e 2011), Documenta Kassel (1972), la Biennale di Siviglia (2004, insieme a Cattelan), Stedelijk Museum di Amsterdam (1970), Centre Pompidou di Parigi (1989-1994), Museum of Modern Art di New York (1986), MART di Rovereto (2007-2013-2015), Museo del Novecento di Milano (2013). Nel 2018 alcune sue opere sono state esposte al CAMeC della Spezia nell'ambito della mostra "Poetry and Pottery. Un'inedita avventura fra ceramica e Poesia Visiva", a cura di Giosuè Allegrini e Marzia Ratti.

 



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Alle OGR Torino "Perfect Behaviors. La vita ridisegnata dall’algoritmo" 

La mostra collettiva a cura di Giorgio Olivero.

Mercoledì 29 marzo alle OGR Torino, cultura contemporanea e tecnologia si fondono con Perfect Behaviors. La vita ridisegnata dell’algoritmo la mostra collettiva a cura di Giorgio Olivero, che rappresenta un’indagine sul cambiamento dei comportamenti individuali e collettivi in una società in cui si è costantemente classificati, misurati, simulati e riprogrammati.

Per la giornata inaugurale della mostra, le OGR Torino propongono al pubblico un programma articolato, con un appuntamento del Public Program a cura della Fondazione per l'Arte Moderna e Contemporanea CRT dedicato al tema del metaverso; una serata di opening pubblico che lascia aperti i binari fino a mezzanotte, e una performance musicale live realizzata in occasione della mostra. Dopo la presentazione stampa della mattina, alle ore 18.00 nel Duomo, il pubblico è invitato a partecipare a Metaversando...prospettive e percorsi nei metaversi dell'arte contemporanea, incontro con Luisa Ausenda e Marco Mancuso, moderate da Ilaria Bonacossa, parte del progetto METAmorphosis. L'accesso è gratuito su prenotazione.

Dalle ore 20.00 alle ore 24.00 i Binari 1 e 2 si aprono per il lungo opening della mostra collettiva. Fino al 25 giugno l’esposizione presenta opere di Universal Everything (Regno Unito), Paolo Cirio (Italia), Eva e Franco Mattes (Italia), Brent Watanabe (Stati Uniti), Geumhyung Jeong (Corea del Sud) e James Bridle (Regno Unito) orientate al raggiungimento di un obiettivo comune: restituire al visitatore narrazioni alternative al determinismo tecnologico dominante, contribuendo a rendere visibile ciò che è invisibile, anche se vicino. In un contesto in cui la quantificazione della vita quotidiana è ad opera di sistemi sempre più sofisticati di raccolta dati, la mostra mette in discussione l’idea di intelligenza artificiale come potente creatura autonoma all’interno di opache scatole nere, sottolineando invece come, dietro agli strumenti di misurazione delle interazioni, ci sia sempre l’intervento di qualcuno.

Dalle 21.00 alle 21.45 nel Binario 3Lorem, artista visivo e musicista,  presenta in occasione dell’opening il nuovo live AV, Tesh. Versione performativa del nuovo capitolo dell'opera Distrust Everything, il live combina trascrizioni di sogni e letteratura weird attraverso l'uso di sistemi di machine learning, intrecciando elementi sonori e narrativi all'interno dell'immaginario distorto e onirico tipico della sua produzione. Tesh è un inno all'immaginazione come via di fuga dal realismo che grava sul nostro linguaggio e sulla nostra esperienza del mondo. Accesso gratuito su prenotazione.

 



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 At the studio, veduta dell’allestimento, Collezione Giancarlo e Danna Olgiati © Agostino Osio

 

"At the Studio" alla Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, Lugano 

Racconta in modo autobiografico lo sguardo dell’artista verso le grandi avanguardie del passato e nello specifico del suo amore per la pittura del ’600.

Dal 26 marzo all’11 giugno 2023, la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, proseguendo il lavoro di ricerca e presentazione della loro raccolta, allestisce una mostra dal titolo At the Studio a cura di Danna Olgiati con un saggio di Alberto Salvadori.

Partendo dal titolo dell’opera di Ilya Kabakov, che racconta in modo autobiografico lo sguardo dell’artista verso le grandi avanguardie del passato e nello specifico del suo amore per la pittura del ’600, la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati come di consueto presenta nella primavera del 2023 una mostra dedicata principalmente ad opere, molte delle quali di recente acquisizione, in dialogo costante tra presente e passato dove il concetto di studio d’artista si esplicita attraverso varie forme e media.

At the Studio

At the Studio variation n.3 2021 di Ilya Kabakov dà inizio alla stagione espositiva 2023 organizzata dalla Collezione Olgiati rivolta ad indagare e interrogare il percorso che ha generato una delle maggiori raccolte d’arte della Svizzera. Questo progetto nasce dalla volontà di Danna e Giancarlo Olgiati di muoversi all’interno di uno spazio fisico e mentale ben definito, quello dello studio, della casa scrigno, dei due collezionisti dalla forte attitudine umanista. Nel corso degli anni per loro vivere con e per l’arte li ha portati verso quella situazione dove lo sguardo dell’uomo si spegne e si illumina quello dell’artista.

La grande tela dell’artista ucraino, punto di partenza dell’intero progetto, fa emergere composizioni sontuosamente cariche d’allusioni con l’uso dolcemente desueto del riferimento alla grande pittura del passato. In quest’opera di Kabakov, carica di simboli e significati doppi, grazie all’escamotage dello specchio non è soltanto un trucco del mestiere, per le possibilità formali e figurative che consente e per le deformazioni, i ribaltamenti, ma anche un oggetto d’affezione. Lo schema è quello reso celebre da Velazquez nel suo capolavoro Las Meninas 1656, probabilmente uno dei dipinti più studiati di sempre, grazie al quale viene introdotta una nuova possibilità del vedere e dell’essere in dialogo con l’opera d’arte, facendo sì che il pubblico divenisse la figura sovrana nel rapporto con l’opera. Il quadro nel quadro. Nel dipinto At the Studio variation n.3 Ilya Kabakov mescola l’allusione alla tradizione classica della figura dell’artista con la presenza della bambina in azione - in attesa, inattiva, come in Velazquez - che con la sua acerba e istintiva propensione alla creazione infrange qualsiasi regola. In mostra convivono opere molto diverse tra loro come il mosaico settecentesco, destinato ad una visione privata e rimasto in tale condizione per molti secoli, sorgente di devozione papale, fino a quella di un prelato molto importante come Rosmini, passando poi agli avi del collezionista, con quelle di artisti perfettamente aderenti al nostro tempo, contemporanei, attuali. L’attraversamento di uno studio d’artista vuol dire incontrare qualcosa che forse ci aspettiamo ma che non conosciamo.

 

at the studio

At the studio, veduta dell’allestimento, Collezione Giancarlo e Danna Olgiati © Agostino Osio

 

La mostra si svolge in un susseguirsi di stanze nelle quali artisti di differenti epoche convivono in un dialogo ricco di assonanze e rimandi visivi, concettuali e sentimentali nei quali si incrociano livelli di pensiero differenti. Pietro Roccasalva che ben dialoga con i due fratelli più inafferrabili, disgreganti, del ‘900 italiano e non solo, De Chirico e quel genio di Savinio. A seguire una riuscita combine che vede assieme Rachel Whiteread con i suoi pieni del vuoto, in questo caso espressione di un sentimento di morandiano sapore, che ben si armonizzano con la natura morta di Severini affiancata dagli oggetti biomorfi presentati in fotografia da Nairy Baghramian. Questa immagine ci porta verso la regina di un surrealismo al femminile: Louise Bourgeoispresente in mostra con la scultura Petit Object VII 1966, della quale viene presentata una carta dal disegno labirintico e spiraliforme, ben ci introduce alla gioia di vivere, di esistere, alla musicalità di un maestro come Melotti. Questa stanza appare come un regalo da parte dei collezionisti al pubblico. Una serie di sculture fino ad oggi custodite e godute solamente in ambito privato sono presenti in mostra: Tempo felice del 1983, Lager del 1972, Mediterraneo 1975, New Orleans phantasie 1979 e i Centauri 1969. A seguire la presenza fantasmatica, dolce e conturbante di Marisa Merz e la pacatezza classica, piena di significati delle Notti Bianche di Giulio Paolini, felicemente affiancato da delle perle vere, rosa, di Paola Pivi. Poi Il sogno e colto riferimento di Emilio Isgrò con il suo Johanna Juditha (la veglia di Bach) 1985 ci immette nell’ambito dell’onirico, dove realtà e immaginazione convivono creando una nuova dimensione esemplificata da campi di colore, ambienti e architetture effimere, mentali, e viaggi interiori all’interno del corpo umano grazie a Pamela Rosenkranz e Henrik Olesen. Architetture che trovano compimento nelle visioni e nella scultura di Tatiana Trouvé, che con la sua luminescenza definisce lo spazio fisico e mentale della nostra presenza fisica. Lo spazio fisico innestato dall’artista franco italiana serve anche a ritrovare un sentimento necessario, quello dell’amicizia, della condivisione, del fare assieme. Ugo Mulas con le sue fotografie ce lo mostra. Le immagini che vediamo nascono dallo speciale rapporto di amicizia che si era stabilito tra lui e un gigante del ‘900 come Calder. Gli scatti vennero fatti durante uno dei soggiorni di Mulas presso la casa studio di Calder e a seguire l’intimità delle immagini di Cy Twombly nelle quali la predominante estetica compositiva trasmette un sentimento di grazia e piacere visivo assoluto. Camminando nella mostra appare il Violoncellista del 1931 del più grande scultore italiano dell’epoca Arturo Martini. La passeggiata finisce incontrando due camei, una foto graffia di Vincenzo Agnetti, irriverente, caustico, poetico, apodittico e profondamente colto e l’altro prezioso inserto è il senza titolo di Franco Vimercati; una zuppiera fotografata nella sua fissità atemporale e quintessenza del concetto di natura morta o piuttosto di still life, che restituisce al meglio la sua vita interiore. Questo è l’attraversamento di uno studio, pensato e costruito tra lo scrittoio dello studiolo e la pratica quotidiana di condivisone con gli artisti e con le loro opere, al fine di poter vivere una vita piena di significati. Tornando ai Kabakov, artisti concettuali per eccellenza, sanno benissimo che il quadro non è uno specchio che riflette tutto quanto essi hanno vissuto ma hanno la consapevolezza che è un oggetto potente, espressivo.

Artiste e artisti in mostra: Vincenzo Agnetti, Nairy Baghramian, Louise Bourgeois, Giorgio de Chirico, Emilio Isgrò, Ilya Kabakov, Arturo Martini, Fausto Melotti, Marisa Merz, Ugo Mulas, Henrik Olesen, Giulio Paolini, Paola Pivi, Pietro Roccasalva, Pamela Rosenkranz, Alberto Savinio, Gino Severini, Tatiana Trouvé, Cy Twombly, Franco Vimercati, Rachel Whiteread.