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CAVEA MARINI apre a Milano con le opere di Francesca Piovesan tra pietra e fotografia 

L'installazione Blocco, intesa nella sua totalità, è l'occasione per conoscere e ri-comporre il complesso apparato di senso e contenuto della ricerca artistica di Francesca Piovesan.

Con le inedite opere "ECO" di Francesca Piovesan apre oggi a Milano il nuovo spazio CAVEA Marini (via Alberico Albricci 1 -  Missori) per l'arte, il design e l'architettura. Sotto la direzione artistica di Sabino Maria Frassà e la collaborazione con CRAMUM la Marini Marmi porta nel cuore di Milano, a pochi passi dal Duomo, le pietre - Ceppo di Gré® e Nuvolato di Gré - della storica cava di famiglia, fondata nel 1897 alle pendici del Monte Clemo sulla sponda nord-occidentale del lago d'Iseo in provincia di Bergamo. Per l'apertura dello spazio, disegnato dall'architetto Giorgio Rava, Sabino Maria Frassà ha concepito BLOCCO, un'installazione artistica multisensoriale e pluridisciplinare fatta di arte, design e cioccolato: al fianco delle opere - tra fotografia e pietra - di Francesca Piovesan, sarà infatti presentato CAV(E)A, un portacandela a edizione limitata in Ceppo di Gré, e la pralina BLOCCO del pluripremiato maître chocolatier Guido Castagna.

Come spiega il curatore Frassà "l'installazione Blocco dà forma alla tensione in continuo divenire verso sempre nuovi equilibri tra esteriorità e interiorità, fulcro stesso del nostro vivere. L'idea è nata dall'analogia tra le pietre della Marini Marmi e l'epidermide umana impiegata nel lavoro di Francesca Piovesan. Il Ceppo di Gré è una pietra naturale di colore grigio-azzurro, formatasi 600.000 anni fa, che si trova nella parte più esterna della montagna. All'interno, nel cuore della terra, si trova il pregiato Nuvolato di Gré, antichissima pietra "madre" compatta formatasi 200 milioni di anni fa. Allo stesso modo Francesca Piovesan intende la pelle come contenitore e contenuto, come ciò che ci separa, unisce e protegge dall'altro da sé". 

Giulio Marini, Amministratore Delegato della Marini Marmi spiega così il progetto: "La Lombardia è stato il primo mercato della nostra cava. Milano racconta ed è raccontata dal Ceppo di Gré. Apriamo questo spazio a Milano con l'idea di creare cultura con e attraverso la pietra: da una collezione di opere d'arte realizzate ad hoc, al cibo, all'architettura. Oggi più che mai è importante creare contenuti di qualità e noi vogliamo fare la nostra parte in dialogo con la città".

 

ceppo gre 2

 

L'arte di Francesca Piovesan

I lavori di Francesca Piovesan non rappresentano mai la realtà, ma sono essi stessi scorci di realtà. Nelle sue opere c’è letteralmente il suo corpo: i grassi e i sali minerali dell’epidermide, reagendo con i sali d’argento, danno così vita a opere fotografiche (off-camera, ovvero senza l’ausilio della macchina fotografica). Le opere di Piovesan sono così fotografie fatte di realtà, in cui la pelle, catturata e scomposta, ci porta a riflettere più che sulla forma - il corpo - sul contenuto - l'essenza stessa e l'interiorità. Tutto nel nostro mondo ha una forma contenuta in qualcos'altro. Ogni cosa esiste in quanto ha una propria individualità, ovvero è separata dall'altro da sé. Il termine "blocco" indica così sia una grande massa uniforme (di pietra o di legno) che sembra inamovibile, sia l'atto forzato di fermare o essere imprigionato. Per tale ragione in mostra sono presentate opere inedite del ciclo ECO, che raccontano questi due aspetti dell'essere solo a prima vista antitetici. Alle pareti della Cavea Marini sono posizionate due lavori - i più grandi mai realizzati - del ciclo "Aniconico", ciclo presentato per la prima volta al Gaggenau di Roma nel 2021. A prima vista i due lavori bidimensionali sembrano mosaici in pietra. In realtà i tasselli sono frammenti di impronta del corpo dell'artista, che misura e registra con la propria epidermide il mondo esterno.

ANICONICO: UN MOSAICO DI CORPO

(nelle parole del curatore Frassà)

La fisionomia umana nelle opere di ANICONICO non è mai riconoscibile nella sua soggettività: riusciamo a scorgere nell’opera frammenti di una figura umana, ma non comprendiamo chi sia. Ci troviamo di fronte a geometrici “mosaici di corpo”, che a prima vista sembrano fatti di pietra simile al travertino. I tasselli in realtà derivano dalla mappatura del corpo realizzata dall’artista attraverso il contatto tra la propria pelle e il nastro adesivo. Il corpo sembra quasi scomparire, così scomposto in frammenti. Solo l’orecchio, l’organo con cui ci mettiamo in contatto con gli altri, rimane sempre riconoscibile e in evidenza. I due nuovi grandi lavori presentati rappresentano un importante punto di arrivo della ricerca artistica di Piovesan, che cattura "in" e "attraverso" di essi la propria figura intera. Appare evidente in queste opere una forma di rielaborazione laica della geometria sacra - trasversale ai più importanti culti monoteisti; da sempre è la geometria a narrare la perfezione del “creato” qualora non si possa o voglia ricorrere a immagini figurative. In questi mosaici le ri-composizioni geometriche sono fatte di un corpo "universale" non (più) riconoscibile che richiama e tende a un nuovo ordine trascendente. È la straordinarietà di questa artista che riesce a impiegare l'epidermide umana per raccontare l’universalità a cui tendiamo. In fondo siamo tutti figli delle stelle. Siamo anche noi le stelle. Siamo noi con il nostro corpo l’opera d’arte.       

ECO, LE INEDITE "SCULTURE FOTOGRAFICHE" IN CEPPO DI GRE'®

(nelle parole del curatore Frassà)

A contraltare dell'infinitezza in noi racchiusa, "Blocco" ospita anche le inedite opere scultoree "Eco" di Francesca Piovesan, realizzate con la pietra Ceppo di Grè spazzolata. L'artista ha scelto di impiegare questa pietra perché costituisce lo strato esterno della montagna, che custodisce, come lo fa la nostra pelle, un contenuto prezioso: il Ceppo è così inteso come la pelle della montagna, quel "sottile" strato che unisce il mondo esterno alle viscere della Terra, al Nuvolato di Grè. Non a caso la finitura scelta è stata la pietra spazzolata, che rende il ceppo poroso, come se fosse segnato da rughe e pieghe epidermiche.

Il nuovo ciclo di opere parte dalla celebre serie “Specchianti” con cui l'artista catturava le impronte del proprio corpo su vetri che venivano poi specchiati. In "Eco" l’attenzione è posta su un altro aspetto della pelle, quello di essere strumento di "difesa" e forma di contenimento nei confronti di un mondo esterno, che molte volte non si comprende (più) pienamente. Il corpo si fa oggi pietra al fine di proteggersi. Tutto diventa stasi e quiete nell'immobilità. 

Queste nuove opere sono ispirate al mito della Ninfa Eco che si consumò per l'amore non corrisposto nei confronti del bellissimo Narciso. Tale fu il dolore che di lei rimasero solamente la voce e le ossa pietrificate. Gli specchi, impressi del corpo di Francesca, sono posti all’interno del guscio-corazza realizzato in ceppo di Grè, dando forma a un'eco infinita di caleidoscopici riflessi. Enigmatico, come sempre lo è il lavoro di Francesca Piovesan, Eco risulta un corpo in cui il dramma umano viene sublimato e regna il più totale silenzio. Di quell'amore così lontano rimane solo un ancestrale memoria, un bisbiglio infinito - sempre presente - in cui ci si perde. L'opera si presta a infinite interpretazioni e suggestioni: innanzi tutto l'impiego dello specchio e dell'immagine riflessa portano alla mente l'innamoramento mortale di Narciso per la propria immagine riflessa, ma anche la profezia di Tiresia sul fatto che sempre Narciso sarebbe vissuto a lungo "se non avesse mai conosciuto se stesso". Allo stesso tempo queste opere si mettono in chiaro dialogo con le sculture marmoree del Bernini: non solo e non tanto il corpo del Ratto di Proserpina quanto il capolavoro Apollo e Dafne realizzato dal Bernini nel 1625. Il corpo della Ninfa Dafne si trasforma in alloro, e quindi in pietra nelle mani dello scultore, per evitare di cadere vittima dell'amore non ricambiato per Apollo. Di nuovo il tema dell'amore sofferto, della difficoltà del dialogo con l'altro, onnipresente nella ricerca di Piovesan. L'opera del Bernini fu tra l'altro completata da un cartiglio moraleggiante che citava: «colui che ama e insegue i gaudi della bellezza fugace, colma la mano di fronde e coglie amare bacche».

L'installazione Blocco, intesa nella sua totalità, è l'occasione per conoscere e ri-comporre il complesso apparato di senso e contenuto della ricerca artistica di Francesca Piovesan: se il corpo è il fulcro e punto di partenza di ogni suo gesto artistico, il dialogo con la propria interiorità e con il mondo esterno sono il forte fil-rouge che negli anni ha accompagnato l'evoluzione - non solo personale - dell'artista. Il corpo nella sua individualità viene negato: esiste "soltanto" una materia universale, di cui siamo tutti fatti e in cui non possiamo che riconoscerci, ma esiste anche un'impalpabile individualità sofferta, profonda, difficile da scoprire e condividere con gli altri. Le opere di Francesca Piovesan finiscono così per essere fonte continua di riflessione per ricongiungere e cicatrizzare queste ferite interiori, ma non sono né vogliono essere risolutive. Del resto, l'arte è intesa dall’artista quale strumento per misurarsi e conoscersi meglio... un viaggio al di là del "blocco" che non ha mai fine, ma che non possiamo che continuare a percorrere.

 

Info

BLOCCO - Francesca Piovesan

a cura di Sabino Maria Frassà

In collaborazione con CRAMUM

presso: CAVEA MARINI, via Alberico Albricci, 1

17 aprile - 31 luglio

Visite su appuntamento da lunedì a venerdì.

Apertura straordinaria durante la DesignWeek: spazio aperto tutti i giorni dalle 13:00 alle 19:00.

Opening 14 aprile dalle ore 17:00 alle ore 21:30.

 



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Copyright Gaggenau.

 

Al via "NO, NO? NO. NO!" personale di H.H. Lim 

Il legame tra scrittura, arte e materia e indagano il valore dell'esperienza come forma di apprendimento.

Apre a Milano, in occasione della Design Week, la personale “NO, NO? NO. NO!” di H.H.Lim e seconda mostra del ciclo “Scripta?”.

“NO, NO? NO. NO!”, a cura di Sabino Maria Frassà, affronta il tema irrisolto e sempre attuale della parola e della comunicazione nella contemporaneità. Quante parole pronunciamo in un giorno? Quante sono necessarie a esprimere e catturare il flusso dei nostri pensieri? E a quante saremmo disposti a rinunciare in un ipotetico esercizio di “digiuno della parola”? A un mondo “urlato”, l’artista malese risponde con un silenzio che riempie lo spazio. Ambiguità, contraddizione, gioco e ironia sono gli strumenti utilizzati da Lim per mettere lo spettatore nelle condizioni di individuare un punto di rottura ed elaborare un pensiero critico, come nel caso delle famose sitting sculptures: sedie con la seduta in alluminio su cui sono incise delle parole, su cui l’artista invita il pubblico a sedersi e a interrogarsi per poter costruire la propria prospettiva.

Con il nuovo progetto artistico “Scripta?”, Gaggenau e CRAMUM raccontano il legame tra scrittura, arte e materia e indagano il valore dell'esperienza come forma di apprendimento.

La scrittura, così come il prodotto artistico, nasce dal gesto fluttuante della mano ed è traccia di idee e memoria di un passaggio. Da questa premessa nasce una riflessione sull’esperienza estetica della parola scritta e del linguaggio nell’arte, punto di partenza del ciclo di mostre che animerà gli showroom Gaggenau DesignElementi di Milano e Roma per tutto il 2023. Dalle opere tattili e inclusive di Fulvio Morella, arricchite da segni in braille, fino all’uso contrastato delle immagini in

relazione al testo scritto dell’artista malese H.H. Lim, passando per le riflessioni sul gesto della scrittura negli ultimi lavori a inchiostro di Marta Abbott e i Calendari di Letizia Cariello, che con il suo filo scrive e cuce insieme oggetti, materie e spazi. In scena un viaggio unico che parte dalla materia, interpretata dal genio umano, per arrivare a tessere luoghi dell’anima, ribaltando il senso secolare della locuzione latina “verba volant, scripta manent”.

“NO, NO? NO. NO!” - mostra personale di H.H. Lim

a cura di Sabino Maria Frassà

Dal 17 aprile al 13 ottobre 2023, lunedì-venerdì ore 10:00 - 18:30

Gaggenau DesignElementi Hub

Corso Magenta 2 (cortile interno), Milano

 



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Copyright foto Sarah Jaquemet.

 

“DA ÜN GIACOMETTI E L’ALTAR” Mostra realizzata dall’Espace des Inventions di Losanna in collaborazione con il Centro Giacometti di Stampa 

Una mostra che presenta in modo originale, grazie a giochi, postazioni interattive e molte riproduzioni, la storia della famiglia Giacometti.

Dall’1 aprile 2023 il Museo in erba ospita una mostra che presenta in modo originale, grazie a giochi, postazioni interattive e molte riproduzioni, la storia della famiglia Giacometti.

Quando si dice Giacometti, solitamente il primo nome a cui si pensa è quello di Alberto, con le sue famose sculture filiformi. Non tutti sanno che della stessa famiglia fanno parte anche altri grandi artisti: Giovanni, padre di Alberto, è un celebre pittore del suo tempo; Diego, fratello e fedele assistente di Alberto, è noto per le sculture, le lampade, gli arredi; Bruno, fratello minore di Alberto e Diego, è architetto e progettista di molti edifici in Svizzera. Infine, Augusto, cugino di secondo grado di Giovanni, pittore innamorato del colore, ha realizzato importanti vetrate e i bellissimi dipinti murali all’interno della stazione di polizia di Zurigo.

La Val Bregaglia ha dato i natali ai Giacometti, vera e propria dinastia di artisti proveniente dal piccolo villaggio di Stampa. La bellezza della natura, dei paesaggi, dei boschi e delle montagne di questa terra ha ispirato Giovanni, Augusto, Alberto, Diego e Bruno e molti altri pittori, scrittori e poeti per secoli. I Giacometti, pur varcando i confini Svizzeri alla scoperta di città d’arte dove apprendere tecniche e stili nuovi, hanno mantenuto un legame forte e indissolubile con la terra d’origine tanto da compiere frequenti viaggi di ritorno in patria.

L’esposizione, con le sue diciannove postazioni, propone una “passeggiata” ideale nei luoghi della selvaggia valle dei Grigioni, alla scoperta delle opere più significative, passando proprio “Da ün Giacometti e l’altar”, da un Giacometti all’altro: un percorso ludico per giocare con paesaggi, sculture, colori e architetture.

I giovani visitatori (e non solo) hanno qui l’occasione di familiarizzare con diverse tematiche, tra cui: luce e natura nei dipinti di Giovanni, equilibrio e movimento nelle sculture di Alberto, flora e fauna nelle decorazioni che Diego inserisce nei suoi mobili e ancora, funzione di un’architettura, attraverso il lavoro di Bruno.

Si parte dall’albero genealogico dei Giacometti per scoprire i volti degli artisti e del loro entourage, il primo “passo” per orientarsi all’interno di una grande famiglia.

Si prosegue poi in un percorso che permette ai bambini di approfondire e riconoscere tratti comuni e differenze tra i diversi artisti.

Alberto è presentato con le riproduzioni di alcune sue sculture: Il naso, opera del periodo surrealista, invita i visitatori a riflettere su sentimenti ed emozioni ma anche a giocare con nasi e busti di gommapiuma per trovare l’equilibrio del personaggio. L’uomo che vacilla, invece, è filiforme e lotta per non cadere nel vuoto ma, grazie a un sistema di corde da tirare, ci si diverte a riportare la figura nella sua posizione originale.

Nel modulo dedicato a Diego si scopre il meraviglioso mondo della natura che popola i mobili da lui fabbricati. La sfida? Trovare l’intruso senza guardare ma solo toccando gli animali nascosti nel gioco.

Si continua poi con Augusto, con le sue “fantasie cromatiche” e la vetrata realizzata per la Fraumünster di Zurigo: si possono combinare colori e texture per creare composizioni originali e si prova a ricostruire una vetrata con i pezzi a disposizione, seguendo il modello o in modo libero e personale.

Poi c’è Bruno che stimola la curiosità verso l’architettura e invoglia a mettersi alla prova con le fotografie di alcuni suoi edifici e le linee di un labirinto per scoprire se si tratta di una casa, una dogana, una scuola o altro.

Infine s’incontra Giovanni, padre di Alberto, Diego e Bruno, pittore sensibile agli effetti della luce e delle emozioni sulla natura. Anche i bambini sono invitati a trasformare un paesaggio in bianco e nero scegliendo i colori che preferiscono per rappresentare montagne, foreste, prati.

In generale, con “la passeggiata in Bregaglia”, i giovani visitatori, con la scuola o in famiglia, sperimentano in prima persona diverse attività che avvicinano in modo semplice e divertente alla produzione artistica. “Chi trova un Giacometti, trova un tesoro”, verrebbe da dire di fronte a un simile bagaglio di stili, generi, tecniche e materiali da scoprire!

La mostra, già proposta a Stampa, Losanna e Martigny, arriva a Lugano dunque per coinvolgere anche il pubblico ticinese, e non solo, in un’esperienza ludica e originale: un’occasione imperdibile per conoscere e apprezzare i protagonisti, la storia e l’opera di una straordinaria famiglia di artisti svizzeri.

 



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 Attasit Pokpong, Transition Time, 2023, olio su tela. 79,5 × 129 cm. ©Attasit Pokpong

 

La personale di ATTASIT POKPONG uno dei maggiori esponenti dell'arte contemporanea thailandese 

La rassegna inaugura il progetto Global Aesthetics del MUSEC, dedicato all’esplorazione del rapporto tra l’arte contemporanea e il contesto ideologico e culturale in cui essa si muove.

Il MUSEC ospita dal 7 aprile all’11 giugno 2023 la personale di Attasit Pokpong (Bangkok, 1977), uno dei maggiori esponenti dell’arte contemporanea thailandese.

L’esposizione dal titolo The Presence, curata da Giancarlo Ermotti, Paolo Maiullari e Nora Segreto, raccoglie 29 dipinti a olio di grandi dimensioni e 22 acquerelli raffiguranti volti di donna. È questo il soggetto che, dopo la ricognizione sui paesaggi naturali della Thailandia e su quelli urbani di Bangkok, è diventato l’elemento più caratteristico della produzione di Pokpong tra il 2008 e il 2023, nella quale l’artista elabora uno stile tutto personale, diventando anche il precursore di un nuovo modo di proporre il ritratto femminile. Nei primi mesi del 2023 l’artista ha creato 14 nuove opere appositamente pensate per essere esposte nello Spazio Cielo del MUSEC.

La donna di Attasit Pokpong, i cui lineamenti sono ispirati a quelli della moglie, è quasi sempre impassibile, ritratta in primo piano e frontalmente. Il taglio netto dei capelli incornicia il viso, dove si distinguono le labbra dai toni accesi che sottolineano il suo fascino e i tratti orientali dell’ovale rendono il suo sguardo penetrante, capace di comunicare con lo spettatore.L’artista thailandese definisce il suo lavoro “un’arte della presenza”, dove la mediazione della figura femminile testimonia l’incontro tra le molteplici specificità del mondo. Per Pokpong, il volto femminile è il simbolo assoluto dell’emozione e la forma comunicativa per antonomasia, nonché il veicolo espressivo ideale della sua2arte, in quanto capace di affascinare e inquietare il suo mondo interiore, accrescendone le potenzialità creative.

Una delle cifre più riconoscibili del lavoro di Pokpong è anche il colore. Dopo un primo periodo in cui l’impatto dei ritratti di donna era centrato sulle labbra, la vividezza cromatica si è estesa a tutto il volto, fino a impossessarsi della superficie intera della tela nelle opere più recenti. Un tale cambiamento corrisponde a un’espansione dell’indagine dell’artista che, attraverso l’estetica femminile, indaga anche la società contemporanea. Le cromie dei suoi dipinti attingono i significati dai colori della storia, della società, della politica e della cultura sia thailandesi sia del mondo globalizzato, assumendo la funzione di un codice che celebra la diversità e auspica un presente di convivenza rispettosa. Pokpong ha recentemente sperimentato un nuovo registro comunicativo costituito dal riflesso di persone e cose sulle lenti degli occhiali da sole delle sue protagoniste. I soggetti non mostrano solamente la realtà sensibile, ma anche quella interiore, fatta di passato e presente, radici e nuove identità. Attraverso lo specchio Pokpong evoca la società contemporanea, il passato, l’altro, il futuro, il cambiamento e invita lo spettatore a posizionarsi fisicamente dinanzi all'opera e calarsi direttamente nei temi proposti.

La rassegna inaugura il progetto Global Aesthetics del MUSEC, dedicato all’esplorazione del rapporto tra l’arte contemporanea e il contesto ideologico e culturale in cui essa si muove. I primi appuntamenti si soffermano in particolar modo all’Asia e all’Africa, oggi vivaci laboratori di sperimentazione artistica. “Le categorie che hanno sino a oggi circoscritto i diversi generi di museo risultano sempre più insufficienti per definire il complesso delle trasformazioni che investe la cultura - afferma Francesco Paolo Campione, direttore del MUSEC. L’approccio antropologico, alla base del progetto Global Aesthetics, prevede per sua natura il confronto e l’interazione delle diverse discipline con cui leggere la creatività contemporanea e si offre così come una sperimentata metodologia in grado di conciliare le diverse prospettive in gioco”.Accompagna la mostra un catalogo in lingua inglese pubblicato dalla Fondazione culture e musei.

Attasit Pokpong. Note biografiche

Attasit Pokpong è nato a Bangkok nel 1977. Sin da giovane è attirato verso il disegno, che approfondisce frequentando la Rajamangala University of Technology di Bangkok, dove si diploma in Belle arti nel 1998. La sua carriera inizia subito dopo gli studi. Dal 1999 prende parte a numerose mostre collettive e nel 2009, nella capitale thailandese, apre la Magic Gallery al fine di disporre di uno spazio permanente dove presentare i suoi lavori. Dal 2009 in poi espone in numerose mostre personali che lo portano oltre i confini della Thailandia e dell’Asia, in Paesi quali Cambogia, Cina, Corea, Taiwan, Belgio, Francia, Italia e gli Stati Uniti. L’esposizione del MUSEC è la sua prima personale in Svizzera.Sensibile al riconoscimento di una nuova realtà multiculturale e conscio dell’apporto costruttivo che l’artista può dare all’attuale contesto segnato da molte fragilità, nel 2012 Pokpong ha inaugurato il progetto V64 Art Studio, un punto d’incontro a disposizione della comunità artistica thailandese, un “luogo della creatività” ben visibile e aperto al mondo.ATTASIT POKPONG. The PresenceMUSECVilla Malpensata (via Giuseppe Mazzini 5), Lugano7 aprile – 11 giugno 2023Con il sostegno diCittà di LuganoRepubblica e Cantone Ticino, Fondo SwisslosFondazione Ada Ceschin e Rosanna Pilone, Zurigo.

 



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"Paolo Masi. Il nomade dell'arte" 

Una delle più significative fra le ville venete, restaurata per volontà dell'Amministrazione comunale.

"Paolo Masi. Il nomade dell'arte" in mostra, dal 2 al 30 aprile 2023, a Villa Brandolini di Pieve di Soligo (TV), una delle più significative fra le ville venete, restaurata per volontà dell'Amministrazione comunale.

La mostra è promossa dalla Galleria FerrarinArte di Legnago (VR), che da anni rappresenta l'artista Paolo Masi e ne promuove la ricerca, con il contributo della Città di Pieve di Soligo e la collaborazione di Fuori catalogo Circolo anche Culturale.

L'inaugurazione si terrà domenica 2 aprile alle ore 16.30, alla presenza dell'artista, di Stefano Soldan, Sindaco del Comune di Pieve di Soligo, di Luisa Cigagna, Assessore alla Cultura, e di Carlo Vanoni, autore del testo critico in catalogo.

Il percorso espositivo comprende oltre 60 opere del maestro fiorentino, esponente della "Pittura Analitica" e protagonista indiscusso nel panorama artistico italiano. Accanto ai lavori storici, sarà esposto un cospicuo nucleo di opere di recente produzione, alcune delle quali inedite, che evidenziano la continuità di una ricerca avviata negli anni Sessanta e mai interrotta.

«Paolo Masi è il vagabondo dell'arte - scrive Carlo Vanoni - il viaggiatore che incarna un innegabile rischio morale, e ciò proprio in quanto portatore di novità. Perché l'artista, nella sua essenza, rappresenta l'irruzione, lo straripamento, ciò che prevedibile non è. In Paolo Masi nulla è prevedibile. Con i suoi cartoni ha dimostrato di essere sempre pronto al cambiamento. E allora qui, dentro la villa un tempo dimora della nobile famiglia veneta, ma di antiche origini forlivesi, Masi allestisce il suo accampamento con maestosi cartoni; con sentinelle (stele) che fanno la guardia; con dittici, trittici e polittici, che sono immagini indelebili dei suoi precedenti viaggi, sono il passaporto per accedere a nuove frontiere; con segni, tracce e colori che segnano il tempo che passa, dagli anni Sessanta fino a oggi».

Materiali d'elezione per Paolo Masi, un tempo "analitico" e oggi libero da qualsiasi etichetta, sono il cartone e il plexiglas, combinati al segno e al colore per dare vita ad una nuova sintassi. Caratteristica della mostra di Villa Brandolini è l'uso di cartoni di grandi dimensioni, lavorati appositamente per gli ampi spazi della dimora storica, un tempo abitata dalla nobile famiglia veneta.

Nel corso della mostra saranno presentati il libro "Paolo Masi. A modo mio", con testi di Giorgio Bonomi, Anthony Molino e Rosita Lappi, e il catalogo "Il nomade dell'arte", con il testo di Carlo Vanoni e la documentazione fotografica delle opere esposte.

La mostra è visitabile il sabato con orario 16.00-19.00, la domenica ore 10.00-12.00 e 16.00-19.00, gli altri giorni su appuntamento (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.), chiuso nelle giornate festive. Ingresso gratuito. Per informazioni e approfondimenti: T. +39 0442 20741, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., www.ferrarinarte.it.

Paolo Masi è nato l'11 maggio 1933 a Firenze, dove vive e lavora. La sua azione artistica, strettamente legata a una continua sperimentazione sul modo di operare e trasformare i materiali, si muove in continua tensione verso nuove ricerche, individuando di volta in volta nuove soluzioni. Alla prima personale nel 1960 alla Strozzina a Firenze seguono numerose mostre nelle principali gallerie italiane ed europee: Numero (Firenze), Cenobio (Milano), L'Aquilone (Firenze), Schema (Firenze), Christian Stein (Torino), Lydia Megert (Berna), d+c Mueller Roth (Stoccarda), Thomas Keller (Monaco), Primo Piano (Roma), La Polena (Genova), Ariete (Milano), La Piramide (Firenze), Centro d'Arte Spaziotempo (Firenze), Galleria Studio G7 (Bologna), Fondazione Mudima (Milano). Dopo il confronto con le sperimentazioni post-informali e la ricerca nell'ambito dell'astrazione e del Neoconcretismo, si avvicina alle contestuali esperienze analitico-riduttive, scomponendo e riorganizzando sul pavimento e a parete aste di alluminio, specchi, fili o piccole stecche di plexiglas colorato che estendono anche alla terza dimensione la ritmicità dello "spazio-colore". Ritorna alla bidimensionalità attraverso il progetto "Rilevamenti esterni-conferme interne" (1974-76), sviluppato all'esterno con foto Polaroid di tombini, muri e pavimenti iniziate nel 1974 a New York e, contemporaneamente, all'interno dello studio con le "Tessiture" (tela grezza cucita) e i "Cartoni da imballaggio", dove utilizza per la prima volta adesivi trasparenti e coprenti, facendo emergere la struttura interna del materiale. Nel 1974 Masi è fondatore, insieme a Maurizio Nannucci e Mario Mariotti, di un collettivo che gestisce lo spazio no profit "Zona" a Firenze, esperienza che troverà la sua continuazione nel collettivo "Base" a partire dal 1998. Si ricordano le partecipazioni alle mostre collettive "I colori della pittura. Una situazione europea" (a cura di Italo Mussa, Roma 1976); XXXVIII Biennale di Venezia (1978); XI Quadriennale romana (1986); "Kunstlerbücher" di Francoforte; Erweiterte Photographie "Wiener Secession", Vienna (1980); "Livres d'artistes", Centre Georges Pompidou, Parigi, (1985); "Arte in Toscana 1945-2000", Palazzo Strozzi, Firenze, Palazzo Fabroni, Pistoia (2002), "Pittura Analitica. I percorsi italiani 1970-1980", Museo della Permanente, Milano (2007) e "Alla Maniera d'Oggi. Base a Firenze", Chiostro di San Marco, Firenze (2010); "La Torre di Babele", Ex fabbrica Lucchesi, Prato (2016), "Versus. La sfida dell'artista al suo modello in un secolo di fotografia e disegno", Galleria civica, Modena (2016), "Pittura Analitica. Ieri e oggi", Mazzoleni Art, Londra - Torino (2017); le personali a Bludenz (2014), al Museo d'Arte Contemporanea di Lissone (2014), alla Fondazione Mudima di Milano (2014). Nel 2013, in occasione della mostra allestita presso Frittelli arte contemporanea a Firenze, viene pubblicato il volume monografico "Paolo Masi. La responsabilità dell'occhio" a cura di Flaminio Gualdoni.Nel 2014 Masi presenta l'installazione "Riflessioni Riflesse" nel chiostro della Basilica di Sant'Ambrogio di Milano, quindi nel Cortile del Palazzo dell'Archiginnasio a Bologna (2015), in Piazza San Fedele a Milano (2016) e l'opera "Camminate come figli della luce" nella Chiesa di Sant'Eufemia a Verona (2016). Nel 2016 partecipa alla collettiva "Interrogare lo spazio" a cura di Luigi Meneghelli presso la galleria FerrarinArte di Legnago (VR) cui segue, nel 2017, organizzata dalla stessa galleria, la mostra "Pittura analitica origine e continuità" che, curata da Giorgio Bonomi con Michele Beraldo e Alberto Rigoni si tiene presso Villa Contarini a Piazzola sul Brenta, la Rocca di Umbertide Centro per l'Arte Contemporanea di Umbertide e la Rocca Roveresca di Senigallia. Nel 2018 il Museo MA*GA di Gallarate gli dedica la mostra antologica "Paolo Masi. Doppio Spazio", a cura di Lorenzo Bruni e "Le Murate. Progetti Arte Contemporanea", centro di arte contemporanea del Comune di Firenze, produce la mostra "Paolo Masi. QUI", a cura di Valentina Gensini, commissionando 12 opere monumentali appositamente concepite e realizzate per il complesso monumentale. La personale "Paolo Masi, Pittura, vibrazione e segno. 60 anni di ordinata casualità", organizzata da FerrarinArte e curata da Matteo Galbiati, ne celebra in modo antologico il lavoro con mostre presentate, tra il 2019 e il 2021, presso la Kromya Art Gallery di Lugano (Svizzera), Palazzo del Monferrato ad Alessandria, da FerrarinArte a Legnago - in questa occasione è stata editata l'omonima monografia per i tipi di Silvana Editoriale - presso la Rocca di Umbertide Centro per l'Arte Contemporanea di Umbertide e Palazzo Ravasio a Verona. Nel 2022 inaugura "La continuità del segno" presso Kromya Art Gallery di Verona, da cui il titolo della monografia pubblicata da Vanillaedizioni, successivamente presso il DAV - Dipartimento di Arti Visive di Soresina (CR) espone per la prima volta la serie scultorea "Steli" nella mostra "A Modo Mio", curata da Anthony Molino e da Francesco Mutti.