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Installation views della mostra "Eve Arnold. L'opera 1950-1980" a CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia. Fotografie di Antonio Jordán.

 

Eve Arnold L’opera, 1950-1980 a CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia 

Eve Arnold, un’altra leggenda della fotografia del XX secolo, la prima donna, insieme a Inge Morath, a far parte della prestigiosa agenzia Magnum Photos nel 1951.

 

"Non vedo nessuno come ordinario o straordinario. Li guardo semplicemente come persone davanti al mio obiettivo". 

Eve Arnold

 

Dopo il grande successo di Robert Doisneau, CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia di Torino propone fino al 4 giugno 2023, un’altra leggenda della fotografia del XX secolo: Eve Arnold, la fotografa americana che ha saputo raccontare il mondo con un «appassionato approccio personale», unico strumento reputato da lei indispensabile per un fotografo.

Per intendere la sua importanza nella storia della fotografia, è sufficiente ricordare che Eve Arnold è stata la prima donna, insieme a Inge Morath, a far parte della prestigiosa agenzia Magnum Photos nel 1951.

Determinazione, curiosità e, soprattutto, la volontà di fuggire da qualsiasi stereotipo o facile categorizzazione le hanno permesso di produrre un corpus eclettico di opere: dai ritratti delle grandi star del cinema e dello spettacolo ai reportage d’inchiesta dove ha affrontato temi e questioni assolutamente centrali nel dibattito pubblico di ieri e di oggi.

L’esposizione, curata da Monica Poggi e realizzata in collaborazione con Magnum Photos, si compone di circa 170 immagini, di cui molte mai esposte fino ad ora, e presenta l’opera completa della fotografa a partire dai primi scatti in bianco e nero della New York degli anni Cinquanta fino agli ultimi lavori a colori, realizzati alla fine del secolo. Le opere selezionate affrontano temi e questioni come il razzismo negli Stati Uniti, l’emancipazione femminile, l’interazione fra le differenti culture del mondo. Anche se la sua fama planetaria è senza dubbio legata ai numerosi servizi sui set di film indimenticabili, dove ha ritratto le grandi star del periodo da Marlene Dietrich a Marilyn Monroe, da Joan Crawford a Orson Welles.

«Metaforicamente parlando – ha affermato Robert Capa – il suo lavoro cade a metà fra le gambe di Marlene Dietrich e la vita amara dei lavoratori migranti nei campi di patate». Ed è proprio un servizio dedicato all’attrice tedesca, ottenuto quasi casualmente, ad accendere i riflettori sul suo talento, dandole accesso al mondo dello spettacolo. Gli scatti più noti sono quelli che hanno come soggetto Marilyn Monroe, con la quale stringe un vero e proprio sodalizio artistico dopo che la diva nel 1954 la avvicina a una festa dicendole: «Se sei riuscita a fare così bene con Marlene, riesci a immaginare cosa potresti fare con me?». Il rapporto con Marilyn fa nascere immagini passate alla storia soprattutto per aver raccontato la personalità dell’attrice celata dietro alla facciata da diva. Eve Arnold dimostra una straordinaria capacità di entrare in sintonia con i propri soggetti, abbattendo barriere e reticenze, anche attraverso gli iconici ritratti a personaggi come Joan Crawford, che si fa immortalare durante infiniti rituali di bellezza, o Malcolm X, che le concede di seguirlo a distanza ravvicinata durante i più importanti raduni dei Black Muslims e del quale realizza un ritratto che diviene subito una vera e propria icona.

Proprio le immagini del controverso leader trovano posto in mostra insieme ai diversi servizi dedicati da Eve Arnold alla comunità nera e alle rivendicazioni degli afroamericani che negli anni Cinquanta stavano prendendo piede in tutti gli Stati Uniti. Il suo primo lavoro è, infatti, un reportage dai toni densi e fumosi dedicato alle numerose sfilate di moda di Harlem, organizzate nella totale indifferenza del mondo della moda bianca. Realizzato come esercitazione per un corso alla New School for Social Research di New York tenuto dal celebre Art Director di “Harper’s Bazaar”, Alexey Brodovitch, il progetto la trasforma in pochissimo tempo in una delle autrici più richieste da giornali e magazine internazionali. Questi scatti sono rivoluzionari sia per la scelta del soggetto che per lo stile: uscendo dall’estetica patinata dei magazine del periodo, Arnold racconta i momenti spontanei dietro le quinte, l’attesa prima dello spettacolo, l’impazienza del pubblico. Il lavoro è realizzato in situazioni di scarsa luminosità e, non volendo utilizzare il flash, Eve Arnold passa ore in camera oscura per esaltare l’atmosfera intima degli ambienti, ponendo le basi del suo particolare stile dove la teatralità di un’illuminazione naturale e la vicinanza emotiva ai soggetti sono imprescindibili. Il servizio è considerato troppo scandaloso per i giornali americani, tanto da venire pubblicato nel 1951 dal londinese “Picture Post” e poi da diverse riviste europee. A questo seguiranno numerosi altri reportages da tutto il mondo, come quelli realizzati in Cina nel 1979 e l’imponente progetto sull’uso del velo in Medio Oriente, avviato dopo aver assistito a un discorso del presidente tunisino Habib Bourguiba che esortava le donne a togliere il velo per entrare nella modernità: luoghi e temi in grado di aprire dibattiti anche sull’oggi.

La carriera di Arnold è a tutti gli effetti un inno all’emancipazione femminile. I suoi soggetti sono nella maggior parte dei casi donne: lavoratrici, madri, bambine, dive, suore, modelle, studentesse, immortalate senza mai scivolare in stereotipi o facili categorizzazioni, con il solo intento di conoscere, capire e raccontare. Questo principio la guida anche nelle fotografie più intime e delicate, come quelle realizzate all’interno dei reparti di maternità degli ospedali di tutto il mondo, soggetto a cui ritorna costantemente per esorcizzare il dolore subito con la perdita di un figlio avvenuta nel 1959.

La scelta e la disposizione delle immagini in mostra è finalizzata a restituire la ricchezza dell’opera di questa autrice, sottolineata anche attraverso numerosi documenti d’archivio, testi, provini di stampa, libri e riviste in grado di arricchire la scoperta di una vera e propria leggenda della fotografia.

L’esposizione è accompagnata dal catalogo “Eve Arnold”, edito dalla nuova casa editrice Dario Cimorelli editore.

 



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© Archivio dell'Arte | Luciano e Marco Pedicini

 

JAN FABRE Per Eusebia Il numero 85 (con ali d’angelo) 

Due importanti opere permanenti in corallo dell’artista fiammingo donate da Gianfranco D'Amato e Vincenzo Liverino alla Real Cappella del Tesoro di San Gennaro e alla Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco.

Da giovedì 2 marzo, due importanti opere d’arte arricchiscono la Real Cappella del Tesoro di San Gennaro e la Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, a Napoli. Si tratta di Per Eusebia e Il numero 85 (con ali d’angelo), due installazioni permanenti dell’artista fiammingo Jan Fabre, realizzate grazie alla donazione dell’artista stesso insieme a Gianfranco D’Amato e Vincenzo Liverino.

L’allestimento delle opere, a cura di Melania Rossi, porta Per Eusebia al Duomo di Napoli, nella Cappella dedicata al Santo Patrono della città, accanto a opere pittoriche di Domenichino e Lanfranco, a più di cinquanta sculture e statue di santi compatroni e ai quattro quintali d’argento dei cosiddetti Splendori della Cappella del Tesoro di San Gennaro.

La seconda scultura, Il numero 85 (con ali d’angelo), occupa invece una nicchia a sinistra dell'altare della Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio, contribuendo a sottolineare l’aura mistico-sacrale dell’ambiente circostante.

Per Eusebia (2022) è un mirabile pannello completamente realizzato in un cesellato mosaico di corallo rosso del Mediterraneo, allestito nell’Antisacrestia in cui sono custodite le chiavi che aprono la cassaforte contenente l’ampolla con il sangue di San Gennaro, oggetto di culto e devozione popolare.

L’artista ha scelto di richiamare l’inizio della storia di questo culto ricordando la pia donna, parente o nutrice del Santo, che per prima ne raccolse il sangue dopo il martirio nel 305 d.C.: ancora una volta un omaggio, come in altre opere di Jan Fabre, a donne che hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia collettiva o nella sua personale.

L’artista smaterializza l’immagine del Santo, che rappresenta in una sintesi poetica di vari oggetti legati al culto del sangue miracoloso: la mitra, realizzata con un tripudio di rametti di corallo e circondata da lingue di fuoco, con grandi tessere di corallo che richiamano i 3328 diamanti, 198 smeraldi e 168 rubini che la adornano; nella parte alta del pannello due chiavi, identiche a quelle usate per aprire la cassaforte che custodisce il sangue, si protendono verso le due ampolle realizzate con cornetti rossi, simboli di fertilità e prosperità. La composizione offre una sensazione di movimento in cui le chiavi toccano i balsamari da dove gocce di sangue rosso scuro scendono simultaneamente ai lati della mitra, formando grappoli di mezze perle e cilindri di eccellente manifattura. Lo sfondo è un infinito chiaroscuro di rosso corallo, un monocromo formato da variazioni naturali di tonalità e conformazioni composto dall’assemblaggio di roselline, cornetti, foglioline simili a piccole stelle marine, che richiamano l’habitat naturale di questo straordinario materiale.

Il numero 85 (con ali d’angelo) (2022) è un’altra scultura in corallo rosso del Mediterraneo che non poteva che essere concepita per la chiesa napoletana delle Anime del Purgatorio ad Arco, in cui Fabre sembra essere entrato in sintonia con quelle rappresentazioni di morte in vita e della vita in morte che sono l’anima del barocco napoletano. L’opera, che sembra una diretta discendente di un’altra scultura custodita nella chiesa, il cosiddetto Teschio Alato realizzato da Dionisio Lazzari per l’altare maggiore nel 1669, è composta da un teschio umano da cui lati spuntano delle lunghe e affusolate ali; sulla fronte il numero 85, il cui significato numerologico è da ricondursi alle anime del Purgatorio, e che stabilisce un contatto diretto con il culto dei morti, o meglio delle anime. L’opera è una sorta di meditazione anatomica in cui si può cogliere la forma della vita che si disfa in altre forme viventi, rivelando la grande passione per la trasformazione di questo visionario artista-entomologo fiammingo, costantemente in bilico tra Bosch, Artaud e Cuvier. Ma è anche un invito a un viaggio iniziatico, a un innalzamento purificativo, richiamato dalle ali tese verso l’alto, che augura la guarigione dell’anima e segue l’idea ascensionale dello stesso Dante Alighieri nel Purgatorio della Divina Commedia.

Per Eusebia e Il numero 85 (con ali d’angelo) sono accompagnate da un catalogo con saggi di Angela Tecce, Melania Rossi, Marino Niola, Sara Liuzzi, Francesco Imperiali di Francavilla e Francesca Amirante, edito da Electa e realizzato grazie al contributo di Studio Trisorio.

 



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OGR Torino. Photo Simone Spada for OGR Torino. Courtesy OGR Torino

 

Tutta l’arte delle OGR Torino 

Un programma espositivo di respiro internazionale che conferma l’attenzione ai linguaggi più innovativi e sperimentali della scena contemporanea.

Le OGR Torino, tra i centri di produzione e sperimentazione culturale più dinamici in Europa, dopo la mostra RHAMESJAFACOSEYJAFADRAYTON, prima personale in un’istituzione italiana dedicata all’artista statunitense Arthur Jafa, presentano per il 2023 un programma espositivo di respiro internazionale che conferma l’attenzione ai linguaggi più innovativi e sperimentali della scena contemporanea.

Il 29 marzo le OGR inaugurano Perfect Behaviors. La vita ridisegnata dell’algoritmo una mostra collettiva a cura di Giorgio Olivero, un’indagine sul cambiamento dei comportamenti individuali e collettivi in una società in cui si è costantemente classificati, misurati, simulati e riprogrammati.

A settembre 2023 la programmazione artistica prosegue con la mostra collettiva Mutating Bodies, Imploding Stars, a cura di Samuele Piazza. A partire dall’ecologia femminista e dalla teoria degli affetti queer, la mostra espande le possibili nozioni del concetto di corpo, accettando la vulnerabilità e il desiderio come fattori centrali della relazione con l’altro.

A novembre 2023, in concomitanza con Artissima e la Torino Art Week, le OGR presentano due mostre personali dedicate a Sarah Sze e Sara Enrico, entrambe artiste impegnate in una riflessione sui limiti della scultura, con un vocabolario personale in grado di creare forme, spesso instabili, che invitano il pubblico a riconsiderare il modo in cui percepiamo la realtà.

Nel 2023 le OGR Torino proseguono con forza e ambizione il lavoro avviato negli anni precedenti: esplorare le nuove frontiere dell’espressione artistica e amplificare la capacità collettiva di analisi e lettura del presente per acquisire una prospettiva più profonda sul futuro” - dichiara Massimo Lapucci, CEO delle OGR Torino. Questo processo si consolida con l’esplorazione di nuovi megatrend quali l’ArTechnology - coniato proprio alle OGR - per esprimere il punto di vista strategico tra cultura, arte e tecnologia. Con Perfect Behaviors l’attività dell’area espositiva delle OGR aggiunge una preziosa ed energica nota umanistica al lavoro portato avanti dalle OGR Tech, dove una costante attività di ricerca e numerosi programmi di accelerazione sostengono l’innovazione con l’obiettivo di stimolare la crescita e orientarne l’impatto positivo sulle persone.”

La sperimentazione artistica è una forma di rivoluzione culturale e sociale. Esprime l’esigenza umana di esplorare, di cercare la relazione con l’altro per poi attivare ulteriori ricerche: per questo è significativo che si soffermi su temi di grande attualità come le intelligenze artificiali, dove l’incertezza di quelli che saranno gli sviluppi futuri può farci interrogare e attirarci allo stesso tempo. Accettare questa vulnerabilità è un fattore centrale nel nostro essere umani, e mostre come Perfect Behaviors – che ci mettono di fronte a domande, non a soluzioni o interpretazioni – svolgono un ruolo sociale importante nell’attivare un pensiero in linea con principi non solo artistici e culturali, ma umani, afferma Fulvio Gianaria, Presidente delle OGR Torino.

La mostra offre uno spazio di indagine sul cambiamento dei comportamenti individuali e collettivi in una società in cui si è costantemente classificati, misurati, simulati e riprogrammati. Fino al 25 giugno 2023, nei Binari 1 e 2 delle ex officine, Perfect Behaviors presenta opere di Universal Everything (Regno Unito), Paolo Cirio (Italia), Eva e Franco Mattes (Italia), Brent Watanabe (Stati Uniti), Geumhyung Jeong (Corea del Sud) e James Bridle (Regno Unito) orientate al raggiungimento di un obiettivo comune: restituire al visitatore narrazioni alternative al determinismo tecnologico dominante, contribuendo a rendere visibile ciò che è invisibile, anche se vicino. In un contesto in cui la quantificazione della vita quotidiana è ad opera di sistemi sempre più sofisticati di raccolta dati, la mostra mette in discussione l’idea di intelligenza artificiale come potente creatura autonoma all’interno di opache scatole nere, sottolineando invece come, dietro agli strumenti di misurazione delle interazioni, ci sia sempre l’intervento di qualcuno.

A settembre 2023, la mostra collettiva Mutating Bodies, Imploding Stars, a cura di Samuele Piazza, prosegue alcune ricerche avviate dalle OGR nel 2018 con il progetto dancing is what we make of falling. Le opere di Eglė Budvytytė (Lituania), Guglielmo Castelli (Italia) e Raúl de Nieves (Messico), attraverso media e linguaggi che spaziano dalla pittura alla videoinstallazione, indagano nuove forme di soggettività in costante evoluzione. A partire dall’ecologia femminista e dalla teoria degli affetti queer, la mostra espande le possibili nozioni del concetto di corpo, accettando la vulnerabilità e il desiderio come fattori centrali della relazione con l’altro. La mostra prende il titolo da uno dei lavori esposti, Song For a Compost di Eglė Budvytytė: un’esplorazione video ipnotica che affronta alcuni temi centrali del progetto come la riflessione sull’interdipendenza, l’abbandono, la morte e l’idea di decadimento, attraverso forme di coscienza non umane annidate all’interno di un sistema simbiotico.

Le OGR Torino accolgono nel Binario 1 la prima mostra personale in un’istituzione italiana, di Sarah Sze (Massachusetts, Stati Uniti), a cura di Samuele Piazza. Dalla fine degli anni Novanta, l’artista americana ha sviluppato un linguaggio visivo caratteristico che sfida la staticità della scultura. In concomitanza con l’esplosione di informazioni che caratterizza il nostro presente, il lavoro di Sze sembra navigare e simultaneamente rimodellare l’incessante flusso di informazioni della vita contemporanea. Attraverso complesse costellazioni di oggetti e una proliferazione di immagini, l’artista rielabora la mole di narrazioni visive che immagazziniamo quotidianamente, dalle riviste, dalla televisione, dagli smartphone, dal cyberspazio e dalla realtà materiale. La sua pratica evoca il processo generativo della creazione di immagini in un mondo in cui il consumo e la produzione sono sempre più interdipendenti e in cui, in un continuum, la scultura dà origine alle immagini e le immagini alla scultura. Parte centrale della mostra in Italia sarà una nuova opera co-commissionata e co-prodotta dalle OGR Torino, Artangel, Londra e ARoS, Aarhus Art Museum, con il supporto della Victoria Miro Gallery.

La mostra personale di Sara Enrico (Italia), a cura di Samuele Piazza, presentata nel Binario 2 delle OGR è prodotta con il supporto di Fondazione Sviluppo e Crescita CRT – sostenitrice di una fellowship a favore di artisti piemontesi per un periodo di residenza all’American Academy di Roma. Le opere dell’artista, realizzate tramite una sofisticata manipolazione di materiali, dal tessuto al cemento fino alla gommapiuma, vengono allestite in un’ideale processione lungo il percorso espositivo. Il rapporto con la superficie degli oggetti, le tensioni delle strutture e le interconnessioni tra elementi eterogenei invitano a riconsiderare le canoniche categorie percettive immergendo i visitatori in un’esperienza sensoriale, visiva ma quasi tattile.

 



rita ackerm

Rita Ackermann, Mama, Yves’s Mask, 2021, Acrilico, olio, pigmenti e matita grassa su tela. Daniel Xu and Flora Huang Collection ©Rita Ackermann. Courtesy of the artist and Hauser & Wirth. Foto: François Fernandez.

 

"HIDDEN", RITA ACKERMANN da New York a Lugano 

Al MASI di Lugano dal 12 marzo fino al 13 agosto una cinquantina fra dipinti e disegni realizzati da Ackermann negli ultimi 30 anni a New York.

“Rita Ackermann. Hidden” si concentra su una selezione di dipinti recenti legati all’opera giovanile dell’artista a partire dagli anni ’90 e presenta una cinquantina fra dipinti e disegni realizzati da Ackermann negli ultimi 30 anni a New York.

Nata a Budapest nel 1968, Rita Ackermann vive e lavora a New York. Fra il 1989 e il 1992, studia all’Università ungherese di Belle Arti di Budapest e al New York Studio School of Drawing, Painting and Sculpture.

Ackermann inventa immagini che si traducono in sensazioni istantanee, le sue ragazzine conturbanti oggi appartengono a un universo visivo globale. I disegni e i dipinti realizzati fra il 1993 e il 1995 (e presenti in mostra) sviluppano composizioni di figure femminili adolescenti moltiplicate come cloni e intente a diverse attività autodistruttive e rischiose. Con la loro presenza ambigua, le sue prime opere fungono da ponte fra cultura alta e cultura bassa, proprio come i miti e le leggende popolari che spesso le valorizzano.

Vent’anni dopo Ackermann abbandonerà la figura, rimuovendo così il vero fulcro del proprio lavoro. Nella serie “Mama” linee e gesti, figure e motivi affiorano in superficie solo per dissolversi e riapparire di nuovo, ma altrove. Una stratificazione complessa del linguaggio visivo, che oscilla fra astrazione e figurazione in un dispiegarsi inconscio della forma – nascosta in profondità nell’astrazione dell’onnipresenza. Nei primi mesi del 2022, Ackermann avvia le sue serie di dipinti più recenti, intitolate “War Drawings”. Olio, matita grassa e acrilico sono densamente lavorati dentro la superficie di tela grezza. Le figure si perdono e le linee sono raschiate e abrase per dar luogo a composizioni frammentate. Ogni dipinto si piega al disastro come elemento purificatore verso un’inevitabile armonia.

L’esposizione sarà accompagnata da un catalogo bilingue (italiano e inglese) pubblicato in collaborazione con MOUSSE Publishing.

 



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Installation view: sub, 2023, MACTE, Termoli. @ Gianluca Di Ioia

 

MACTE Museo di Arte Contemporanea di Termoli presenta "sub" 

Il MACTE presenta un originale progetto espositivo che propone uno sguardo inedito su posizioni tangenti la scena dell’arte italiana.

Betty Danon, Antonio Dias, Jorge Eduardo Eielson, Hsiao Chin, Tomás Maldonado, Roberto Sebastián Matta, Carmengloria Morales, Hidetoshi Nagasawa, e Joaquín Roca-Rey sono tutti artisti nati in Asia o in Sud America; nel secondo dopoguerra hanno trascorso soggiorni più o meno lunghi in Italia e, in alcuni casi, vi ci sono definitivamente trasferiti.

Fino al 14 maggio 2023 con la mostra sub a cura di Michele D’Aurizio, il MACTE Museo di Arte Contemporanea di Termoli presenta un originale progetto espositivo che, attraverso le opere di questi artisti e artiste, propone uno sguardo inedito su posizioni tangenti la scena dell’arte italiana, considerate a torto periferiche rispetto alle influenze europee e statunitensi, e apre al dialogo con esperienze radicate in altre geografie.

La mostra nasce da due anni di ricerca di D’Aurizio, invitato nel 2020 dalla appena nominata direttrice Caterina Riva, a concepire una mostra per il museo che tenesse conto della sua posizione geografica e della sua collezione legata al Premio Termoli.

Oggi siamo felici di presentare al pubblico i frutti di quel processo di attenta ricerca e curatela. – commenta Caterina Riva, direttrice del MACTE – sub racconta storie di migrazione incarnate in oggetti e opere d'arte e rimescola le categorie solitamente applicate alla storia dell'arte in una proposta originale pensata in relazione alla posizione del MACTE.

sub ipotizza che le ricerche dei nove artisti e artiste invitati, anche laddove siano legate alla tradizione artistica occidentale, abbiano radici lontane, in culture visive emerse alla periferia del mondo globalizzato. Affiliati a importanti movimenti culturali quali l’Arte Concreta, l’Arte Povera, il Femminismo, le Nuove Tendenze, la Pittura Analitica, e il Design Radicale, questi artisti sono stati raramente riconosciuti per i contributi che vi hanno apportato. Le loro opere hanno scosso i fondamenti teorici dell’arte moderna e contemporanea italiana rivelandone l’impostazione eurocentrica.

In dialogo con la collezione del MACTEafferma Michele D’Aurizio, curatore della mostra - sub crea nuove sinergie e nuovi sincretismi. La mostra invita i visitatori a cogliere questi dialoghi tra linguaggi e tematiche e a ragionare su come forme che possono apparire già viste, in realtà riflettono la differenza etnica e culturale dei singoli artisti.

Il titolo della mostra evoca una dimensione sotterranea, con riferimento diretto alla posizione marginale a cui molti di questi artisti e artiste sono stati relegati dalle politiche culturali del sistema dell’arte italiano. Tuttavia, la mostra considera la “sotterraneità” come una condizione che può essere stimolo e motore della creazione artistica, un indice delle peculiari esperienze storico-biografiche e geo-politiche degli artisti e artiste invitati.

Nelle ricerche degli artisti esposti le topografie dell’arte italiana si espandono e stratificano: arrivano a includere terre d’origine a Sud dell’equatore, si intrecciano alle politiche culturali del Terzomondismo e dei movimenti di decolonizzazione, investono riflessioni sulla condizione di subalternità rispetto a un passato di colonialismo politico e a un presente segnato dalla struttura coloniale del potere, abbracciano preoccupazioni politiche, estetiche e spirituali spesso estranee alle conversazioni dominanti nella società italiana dell’epoca.

Michele D'Aurizio è curatore, critico, e dottorando in storia dell’arte presso la University of California a Berkeley. I suoi studi esplorano la storia sociale dell’arte moderna e contemporanea in Italia e nel mondo; la storia dell’architettura moderna, del disegno industriale, e dell’artigianato; e le tradizioni teoriche del marxismo e della filosofia della tecnologia. Ha studiato al Politecnico di Milano e alla Nuova Accademia di Belle Arti (NABA) a Milano. È stato editor della rivista d’arte contemporanea Flash Art (2014–18) e co-curatore della 16ª Quadriennale d’Arte (2016). È fondatore dello spazio progetto Gasconade a Milano.