Mostre

 



art week

 Lucio Fontana, Concetto spaziale, Natura, 1959-1960, bronzo, 65 x 63 x 53,5 cm © Fondazione Lucio Fontana, by SIAE 2023

 

Museo Novecento presenta Giacometti – Fontana 

Un progetto museale inedito presenta l'incontro ideale e il dialogo potente fra due giganti del Novecento, grazie al confronto straordinario fra capolavori in arrivo dall'Italia e dall'estero.

 

Giacometti – Fontana La ricerca dell'assoluto

Alberto Giacometti e Lucio Fontana per la prima volta insieme. Un progetto museale inedito presenta l'incontro ideale e il dialogo potente fra due giganti del Novecento, grazie al confronto straordinario fra capolavori in arrivo dall'Italia e dall'estero. Firenze ospita un doppio appuntamento ideato da Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento, che affonda nella ricerca inesausta e ostinata dei due maestri, protagonisti di un viaggio parallelo che intende suggerire nuove strade di analisi e sondare nuove interpretazioni.

La mostra Giacometti – Fontana. La ricerca dell'assoluto, a cura di Chiara Gatti e Sergio Risaliti (fino al 4 giugno 2023), sarà ospitata all'interno degli spazi monumentali del Museo di Palazzo Vecchio, in particolare nella Sala delle Udienze e nella Sala dei Gigli, dove oggi si conserva la celebre Giuditta di Donatello. Per la prima volta, infatti, saranno messe in relazione queste due colonne portanti del XX secolo, così distanti nelle attitudini e nella vita, ma altrettanto legate da una riflessione sulla verità nell'arte, conquistata attraverso l'esperienza della materia e insieme dell'immaginazione, in bilico fra la dimensione primordiale del tempo e quella cosmologica dello spazio. Un colloquio che vuole suscitare domande piuttosto che dare risposte, per stimolare il dibattito critico e inattese narrazioni attorno ad affinità di pensiero e riferimenti condivisi. Una mostra in cui le opere accostate acquistano la potenza evocativa di un sogno, la cui presenza va interpretata cercando risposte lontane nel tempo e nel futuro.   In concomitanza con questo grande progetto, il Museo Novecento dedicherà ben due piani delle ex Leopoldine alle sculture e ai disegni di Lucio Fontana. La mostra Lucio Fontana. L'origine du monde, (dal 2 marzo al 13 settembre 2023), nasce dalla volontà di esplorare alcuni aspetti ancora poco sondati dell'opera del maestro italo-argentino, tra gli autori più innovativi del secolo scorso, quali la relazione originaria tra creazione artistica, procreazione e nascita della vita nell'universo, e il rapporto tra mondo finito e infinito. Saranno presentati disegni, dipinti e sculture dal '46 fino agli ultimi anni della sua lunga carriera. "Questa esposizione ci offre un'occasione unica per provare a comprendere il rapporto tra passato e modernità e la continuità del dialogo interno al mondo dell'arte e degli artisti" dichiara Dario Nardella, Sindaco di Firenze. "Tutto si tramanda e si trasforma. Nella Sala dei Gigli l'umanità frastagliata di Giacometti si confronta con l'umanesimo di Donatello, espresso nell'imponente Giuditta appena sottoposta a cura e pulizia, mentre l'esperienza del rapporto tra uomo e cosmo definita da Fontana si rapporta con la geometria perfetta del soffitto e con l'enorme globo della Sala delle Carte geografiche poco più avanti, il perfetto riassunto della cosmogonia dei Medici. Siamo di fronte a un cortocircuito di storia, arte, sensazioni e percezioni che rende davvero inedito questo progetto e cha fa di Firenze ancora una volta non solo la naturale culla dell'arte ma anche sede perfetta dei tanti rinascimenti che si manifestano continuamente dal passato ad oggi". "Un inedito progetto espositivo che unisce due giganti del Novecento artistico" commenta Alessia Bettini, vicesindaca e assessora alla Cultura. "Per la prima volta le opere di Alberto Giacometti e Lucio Fontana saranno messe a confronto e dialogheranno con gli spazi monumentali di Palazzo Vecchio grazie a un allestimento straordinario. Una mostra unica e imperdibile".  "Questo progetto di mostra nasce da un sogno" spiega Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento e ideatore delle due mostre. "Un viaggio nel tempo più remoto e nel futuro più distante. Figure umane scarnificate, ridotte all'essenza, prosciugate ma erette in piedi o in cammino su un piano corrugato come di un pianeta ancora in via di formazione. E su questo terreno piccole e grandi forme vulcaniche simili a grandi polpette, rugose, plasmate da forze originarie, nel loro viaggio infinito nel cosmo prima di atterrare come meteoriti ai piedi di quei corpi antidiluviani, ominidi sulla soglia di vita e morte, di giorno e notte. Svegliatomi ho riconosciuto in quelle figure opere a me note di Alberto Giacometti e Lucio Fontana. L'Homme qui marche, la grande Femme debout, i Concetti spaziali in bronzo o terracotta. Da quel giorno sono passati molti anni. Ma il sogno non ha cessato di interrogarmi, di sollecitarmi fino a oggi. Finalmente l'immaginario si ricongiunge alla sua matrice onirica nella concretezza della mostra. Le opere di Giacometti e Fontana adesso stanno assieme, accostate nella mostra Giacometti – Fontana. La ricerca dell'assoluto all'interno delle sale di Palazzo Vecchio e ci invitano a interrogarci sul senso poetico emerso con questi accostamenti.  Un senso poetico ritrovato. Forse è questa la cifra dell'immortalità e dell'eternità di questi capolavori. Figure che interrogano il mistero dell'essere dell'uomo sulla terra e nel cosmo. Che si tratti di vita all'ennesima potenza, o dell'enigma dell'esistenza, lo capiremo anche di fronte alle opere di Lucio Fontana esposte in questa occasione al Museo Novecento. Il titolo della mostra, L'origine du monde, derivato dal celebre capolavoro di Courbet vuole dare senza mezzi termini indicazione del percorso scientifico che apre a nuove letture sull'opera di questo genio italo-argentino". "Per la prima volta due giganti del Novecento si incontrano e si toccano" dichiara Chiara Gatti, Direttrice del MAN di Nuoro e curatrice della mostra. "Non si tratta del solito dialogo ideale senza basi scientifiche, come spesso accade nel mondo delle mostre. Giacometti e Fontana si sfiorano nella storia, lavorano negli stessi anni, citano gli stessi maestri (Giotto fra tutti), percorrono le stesse rotte e, soprattutto, guardano nella stessa direzione: verso il vuoto, l'invisibile, il sacro, l'altrove fisico e mentale".

 

Lucio Fontana L'origine du monde

fontana3

Lucio Fontana, Ambiente spaziale, 1948, gouache su carta, 37,7 x 22,5 cm © Fondazione Lucio Fontana, by SIAE 2023

 

La ricerca dell'assoluto è il punto di contatto tra Giacometti e Fontana. Cercando l'assoluto entrambi hanno raggiunto l'essenziale rinunciando all'imitazione e superando i limiti della rappresentazione simbolica e figurativa con una pratica artistica che ha fatto perno sul gesto e la manipolazione, sulla concentrazione e la rinuncia alla forma definitiva. Mentre Lucio Fontana (1899-1968) cercava l'infinito della vita, tra mondo naturale e spazio cosmico, proiettando la mente oltre la superficie della tela e nella trasformazione pre-logica della materia, Alberto Giacometti (1901-1966) scrutava l'essenza dell'esserci, al di là della presenza, a partire da uno "stare sulla terra" di matrice heideggeriana, ma spogliando di ogni dato superfluo l'immagine, orfana di corporeità, sensualità, gravità, ridotta a uno stelo dell'anima, un concentrato in potenza di vita e, insieme, caducità. Mentre Fontana aspirava a quel punto di sutura dove inizio e fine coincidono e, dentro la materia oscura, cercava la luce affondando le mani nel cratere della germinazione per estrarne un bagliore, Giacometti era torturato dalla finitudine e viveva nell'ombra, sulla soglia in cui morte e vita si annullano. Figure dalle indoli opposte, ma accompagnate dalla stessa magnifica ossessione, quella per l'invisibile che è dentro e fuori di noi, nella carne e nel cosmo, nelle cellule e nelle stelle. Entrambi hanno lavorato la materia togliendone ingombro e opacità, mineralizzandola, alla ricerca dell'assoluto (teorizzata da Jean-Paul Sartre nel suo leggendario testo del 1948) dentro i volumi erosi della materia stessa, quella dell'eterno sigillato nei confini della forma. Il progetto Giacometti Fontana. La ricerca dell'assoluto offrirà un confronto mirato fra le loro opere, volto a dimostrare punti di tangenza e contatti virtuosi frutto di un sentimento condiviso sbocciato sullo sfondo di un'epoca afflitta dagli interrogativi sull'uomo e il suo ruolo nell'universo. Un' indagine antropologica lega le riflessioni dei due artisti: entrambi guardano al mondo come a un luogo di passaggio, di transito, e tentano di rappresentare l'immateriale attraverso la materia, logorata da Giacometti e forata da Fontana. Uno struggente senso del sacro nutre il loro slancio verso l'ineffabile e l'insondabile. Sempre a ricercare il mistero dell'esistenza e del senso della vita, spingendosi fino al prima della cultura e all'irraggiungibile dell'infinito, Fontana e Giacometti rimandano a un altrove da afferrare con le mani, da ghermire nella materia, da reificare in una immagine, in un corpo, in un volto o in un gesto.  Grazie a prestiti provenienti da importanti istituzioni e collezioni, fra cui la Fondazione Maeght di Saint-Paul-de-Vence e il Museo del Novecento di Milano, la mostra sarà articolata in un gioco tanto poetico quanto filologico di rimandi, dialoghi e citazioni, punteggiato di opere iconiche, quali L'Homme qui marche e una Femme debout di Giacometti, forme antediluviane che abitano il tempo, e i Concetti spaziali di Fontana, grumi di materia, coaguli prebiotici o meteoriti realizzati dallo scultore italo-argentino in bronzo o terracotta. Non mancherà di suscitare emozione e inedite riflessioni l'accostamento mai immaginato fra L'objet invisible di Giacometti e la Signorina seduta di Fontana: un confronto teso a studiare il valore formale e semantico del vuoto che le mani sfiorano e disegnano nello spazio, allegoria della presenza di un'assenza, di un peso immateriale, di un volume incorporeo, rappresentazione di un'attesa, di un desiderio e di una possibilità oltre il visibile.

L'indagine sulle forze primigenie che sono all'origine del manifestarsi della vita sulla terra e nel cosmo e della stessa creazione artistica, sono il fulcro tematico della mostra Lucio Fontana. L'origine du monde. Il titolo evoca il celebre quanto scandaloso dipinto di Gustave Courbet e declina il significato gnoseologico di quel dipinto ottocentesco verso un'interpretazione archetipica dell'eros come forza generatrice della vita umana e del cosmo. Eros sempre in bilico tra l'alto del mondo platonico e il basso materialismo delle funzioni corporali sessuali.  La mostra intende proporre un'inedita riflessione sull'opera di Fontana, la cui arte appare essere non tanto maschile, vulcanica, demiurgica, come molta letteratura critica ha già sostenuto, quanto allusiva alla forza generativa femminile, che è attiva nella mente dell'artista come nella natura, nel cosmo e nel corpo fecondo della terra. Nuova luce può essere gettata sui suoi "tagli", i suoi "buchi", le sue rappresentazioni grafiche, eseguiti spesso con gesto primario, infantile, come una pulsione istintuale, prima ancora di essere progetto e riproduzione.  La mostra riunirà una serie di disegni e piccole sculture che permetteranno di interrogarsi sulla genesi degli Ambienti Spaziali, dei Concetti Spaziali e delle Nature, e sulle prefigurazioni in essi implicite. Com'è noto, la ricerca di Lucio Fontana si svolge all'insegna di una nuova esperienza e concezione non solo dello spazio, ma anche del tempo, colto in una doppia dimensione: verso il passato dei primordi, quello della nascita della Terra, e verso il futuro dell'Universo, quello della sua dimensione incalcolabile. La sua ricerca approfondisce la dimensione ctonia, originaria, tellurica di una materia appena generata, non in senso religioso ma cosmologico. Una dimensione che riporta il nostro immaginario agli inizi del creato, della Terra e della Luna, alla cui conquista Fontana fu sensibile, come se quegli ammassi di materia compatta e carica di energia, come meteore, o come se quell'insieme di perforazioni, in forma di spirali e vortici, fossero galassie in formazione. Una esplorazione che abbraccia e riunisce il micro e il macrocosmo, il livello più organico, primario, notturno della sessualità e quello diuturno dell'immaginazione concettuale.  

La mostra si avvale del supporto e del prestito di un consistente nucleo di opere della Fondazione Lucio Fontana.       

Un ringraziamento speciale alla Fondation Marguerite et Aimé Maeght e Giò Marconi. Si ringraziano inoltre Hotel Savoy della Rocco Forte Hotels e Ginori 1735.

 

Museo Novecento Tel. +39 055 286132 / Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. Piazza di Santa Maria Novella, 10 – Firenze 

www.museonovecento.it Orario: Lun – Mar – Mer – Ven – Sab – Dom | 11:00 – 20:00 Giovedì | chiuso

Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Museo di Palazzo Vecchio Tel. +39 055 2768224 / Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. Lun – Mar – Mer – Ven – Sab | 9:00 – 19:00 Giovedì | 9:00 – 14:00 Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura.

 



art week

 

Archivio Emilio Scanavino presenta EMILIO SCANAVINO. LUCE E MATERIA. Fotografie degli anni Sessanta 

Una mostra dedicata alle fotografie di uno dei protagonisti della generazione dell’informale e del movimento spazialista.

Inaugurato lo scorso anno in occasione del centenario della nascita dell’artista, l’Archivio Scanavino torna ad accogliere il pubblico nei suoi spazi con la mostra Emilio Scanavino. Luce e Materia, dedicata alla produzione fotografica dell’artista.

L’inaugurazione della mostra avverrà in occasione di Milano MuseoCity, con tre giorni di apertura straordinaria, venerdì 3, sabato 4 e domenica 5 marzo, dalle 10.00 alle 19.00.

La mostra rimarrà visibile, inoltre, dal 6 marzo al 23 aprile 2023 con ingresso libero e visita su prenotazione (scrivendo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.).

Emilio Scanavino. Luce e Materia presenta una selezione di scatti fotografici di Emilio Scanavino (1922-1986) realizzati negli anni Sessanta: immagini caratterizzate da inquadrature ravvicinate, che ritraggono particolari, tracce, elementi isolati su sfondi sconfinati e indefiniti, mostrando un’alfabetizzazione dei soggetti che vengono replicati più volte, con riprese diverse.

Pittore e scultore di origini genovesi, Scanavino è considerato uno dei protagonisti della generazione dell’informale e del movimento spazialista che si affermano in Italia alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

La ricerca artistica di Scanavino cerca di definire un nuovo alfabeto, una nuova lingua composta da segni grafici e plastici, fisiologici e tangibili, organici e astratti. Con questa mostra sarà possibile scoprire come, con la macchina fotografica, l’artista abbia “catturato la vita”, in emozioni, racconti e rivelazioni prodotte dalla luce.

Emilio Scanavino nasce a Genova nel 1922, dove dopo il liceo artistico si dedica sin da subito alla pittura, inaugurando nel 1942 la sua prima mostra personale con opere di matrice espressionista. Dopo un inizio figurativo, la pittura di Scanavino diventa sempre più vicina alle caratteristiche del postcubismo, con una graduale sintetizzazione delle forme fino alla loro dissoluzione.  Dopo i soggiorni a Milano, Parigi e Londra, nel 1950 lavora con Tullio Mazzotti alla sua Manifattura ceramica ad Albisola insieme a Lucio Fontana, Sebastian Matta, Guillame Corneille, Asger Jorn, Wilfredo Lam, Gianni Dova, Roberto Crippa, Enrico Baj. Nello stesso anno, espone alla XXV Biennale di Venezia e riceve ex-aequo il Primo Premio alla V Mostra regionale genovese. Negli anni successivi si avvicinò al gruppo milanese degli spazialisti esponendo nella Galleria del Naviglio di Venezia il primo Ambiente spaziale di Fontana. Nel 1954 espone ancora alla Biennale di Venezia dove parteciperà nuovamente nel 1958, vincendo il Premio Prampolini, nel 1960, con una sala personale e nel 1966, anno in cui consegue anche il Premio Pininfarina.

Continua negli anni seguenti la sua attività espositiva internazionale che lo vede partecipare a diverse mostre a Londra, Parigi, Milano, Tokio, Città del Messico, etc.

Nel 1971, in occasione dell’invito per la XI Biennale di San Paolo del Brasile, insieme allo scultore Alik Cavaliere per Biennale di San Paolo del Brasile, crea la grande opera dedicata ai martiri per la libertà, ma non viene esposta per intervento delle autorità consolari che la censurano per il soggetto “di natura politica e quindi extra artistica”. Oggi l’opera è esposta al Museo della Permanente di Milano. Nel 1973 la Kunsthalle di Darmstadt presenta una sua vasta mostra antologica che, viene riproposta a Venezia a Palazzo Grassi e poi a Milano a palazzo Reale, nel 1974. Nel 1975 Partecipa alla X Quadriennale di Roma e l’anno successivo inizia la collaborazione a Milano con Giorgio Marconi. Alterna la sua attività tra l’Italia e Parigi, che è costretto a lasciare per motivi di salute alla fine degli anni ‘70. Vive e lavora tra Milano e Calice Ligure fino alla sua scomparsa nel 1986.

 



art week

 

Maurizio Cattelan La rivoluzione siamo noi DET

 

"Reaching for the Stars" testo a catalogo del direttore e curatore Arturo Galansino 

"Questo viaggio sarà lungo. Non resta che allacciarsi le cinture e partire per raggiungere le stelle"... "Reaching for the Stars", la collezione della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo in mostra a Palazzo Strozzi, visibile dal 3 marzo al 18  giugno.

Reaching for the Stars è un viaggio intergalattico nel cosmo dell’arte, un itinerario lungo e articolato, attraverso fenomeni e figure chiave del contemporaneo: le stelle che ci indicano il cammino. E proprio una stella è il simbolo della collezione formata da Patrizia Sandretto Re Rebaudengo di cui questa mostra celebra il trentennale, dalle prime acquisizioni nella Londra ruggente di inizio anni Novanta fino alle ultime commissioni agli artisti emergenti degli anni Venti del nuovo millennio. 

32DS 09135ElaBialkowskaOKNOstudio

Copyright ElaBialkowskaOKNOstudio.

 Palazzo Strozzi, con la sua storia secolare legata al mecenatismo e al collezionismo, è sicuramente il luogo ideale per festeggiare questo importante anniversario. Già nella Firenze del Quattrocento si cercavano le risposte alle proprie domande nello spazio infinito, indagando l’influenza sia delle “stelle fisse” che di quelle “erranti” sulla vita degli uomini: lo stesso Filippo Strozzi si affidò agli astri prima di avventurarsi nella costruzione del suo imponente palazzo. Seguendo le teorie degli antichi Romani, che pensavano fosse Mercurio a influenzare la creatività degli artisti, l’incisore fiorentino Baccio Baldini eseguì a bulino la serie dei Sette pianeti (1460 circa), raffigurando i Nati sotto Mercurio mentre dipingono, scolpiscono, cesellano, compongono musica, filosofeggiano, si interessano alle scienze, all’astronomia, all’astrologia, alla matematica: una varietà di attività, ricerche e interessi che appare perfettamente in linea con l’approccio multidisciplinare di questa poliedrica esposizione. Per il filosofo neoplatonico Marsilio Ficino, nel suo De triplici vita (1489), gli artisti erano invece “nati sotto Saturno” e venivano da lui descritti come lunatici, ribelli, licenziosi, stravaganti e soprattutto «melanconici»: una rappresentazione che avrà, secoli più tardi, il suo corrispettivo nel moderno mito dell’artista maudit.

Seppur le opere esposte a Palazzo Strozzi, a occupare le sale del Piano Nobile, gli spazi sotterranei della Strozzina e il cortile, rappresentino una parte infinitesimale della Collezione Sandretto Re Rebaudengo, questa selezione vuol rendere conto della varietà e ricchezza della raccolta torinese, attraverso temi e raggruppamenti inediti in grado di fornire al visitatore uno sguardo sulla produzione artistica internazionale degli ultimi decenni: una galassia all’interno della quale brillano gli astri più luminosi della collezione. Queste stelle dell’arte provengono da tutti i continenti, sono originarie di numerose nazioni, testimoniano linguaggi diversi, hanno affrontato nella vita esperienze antitetiche: così, se Hans-Peter Feldmann, il più anziano degli artisti qui esposti, appartiene alla generazione che ancora ha subito i drammi della Seconda guerra mondiale, Giulia Cenci, la più giovane del gruppo, è una millennial.

 02DS 08522photoElaBialkowskaOKNOstudio

Photo ElaBialkowskaOKNOstudio. 

La mostra comincia con l’imponente razzo di Goshka Macuga, posizionato nel cortile, che punta letteralmente alle stelle e sembra in attesa di venir lanciato. Evocando la speranza di salvezza del genere umano in altri mondi, Macuga vuole portarci verso nuovi pianeti, incoraggiandoci a guardare il cielo, a dirigere le nostre aspirazioni verso un orizzonte più ampio. Il razzo è però ancorato al terreno, senza motore, in un’ambigua staticità, mentre impazzano progetti privati di viaggi spaziali ed esplorazioni del cosmo elaborati da megalomani desiderosi di creare un nuovo ed elitario “turismo spaziale”, incuranti nello stesso tempo degli effetti dell’inquinamento e degli sprechi economici ed energetici sulla parte più povera della popolazione mondiale.

Si può immaginare di salire a bordo del missile per dirigersi verso il remoto angolo dell’universo disseminato di stelle luminosissime fotografato da Thomas Ruff, attraversare campi magnetici balenanti di colori come le pennellate di Albert Oehlen e le aurore spaziali di Greifbar 48 di Wolfgang Tillmans, imbattersi nelle creature ancestrali di Thomas Schütte, nei replicanti ibridi di Avery Singer, negli incroci zoomorfi di Paola Pivi e ritrovarsi a viaggiare nel tempo, fino alle archeologie post-apocalittiche di Marc Manders e alla vanitas di rovine erose e catalizzate dal tempo di Adrián Villar Rojas. Il razzo di Macuga ci parla anche del nostro momento storico e della caducità della condizione umana al tempo dell’onda lunga post-pandemica, con i cambiamenti provocati e le incertezze lasciate, in uno scenario inquietante di disastri ambientali che stanno mettendo in dubbio la possibilità per gli esseri umani di continuare a vivere sulla Terra. Anche le opere di Damien Hirst) alludono alla nostra fragilità, con l’illusoria immortalità ricercata attraverso i processi di imbalsamazione o attraverso le fredde teche disertate dalla presenza umana. Le sigarette, presenti spesso nei suoi lavori sono una breve esplosione di piacere che porta alla morte, «la corruzione assoluta della vita». Evoca la precaria condizione umana anche Viral Research di Charles Ray, tavolo di laboratorio predisposto per una lezione sul fenomeno dei vasi comunicanti ed espressione figurata della società, dove i vasi di vetro, diversi per forma e dimensione e collegati da tubi in cui scorre un inchiostro nero e denso, veicolano sensazioni di “contaminazione” suscitate dalla minacciosa sostanza vischiosa abbinata alla fragilità del vetro.

Anche Maurizio Cattelan, indefesso provocatore e protagonista dello star system dell’arte, gioca sul tema del memento mori con Bidibidobidiboo, la scena surreale di uno scoiattolo appena suicidatosi, che rovescia il rassicurante immaginario disneyano in una totale perdita di speranza. Un’opera che trasuda amara ironia e, come tutte quelle dell’artista, aperta alle più varie e personali interpretazioni. Spiazzante è anche La rivoluzione siamo noi, autoritratto iperrealista dello stesso Cattelan, che ci guarda attraverso gli occhi del suo pupazzo-caricatura, appeso a un appendiabito modernista e vestito di un abito di feltro, attributo tipico dello “sciamano” Joseph Beuys, figura iconica degli anni Settanta ed evocato pure dal titolo. Un autoritratto è anche quello di Pawel Althamer che ha usato cera, grasso, capelli e intestino animale per affrontare un soggetto centrale nel suo lavoro.

L’artista, che si è invec chiato e imbruttito, si offre nudo allo sguardo del pubblico per osservarsi dall’esterno e indagare il tema dell’alienazione e della solitudine. Drammaticamente ironico è Lullaby, opera ancora di Cattelan, sacco che raccoglie macerie dell’attentato mafioso del luglio 1993 al PAC di Milano, costato la vita a cinque persone. Altri temi di dolorosa attualità sono trattati da Josh Kline con le sue sculture iperrealistiche che alludono al dramma della disoccupazione, di chi è stato respinto dalla società: i due lavoratori, chiusi in un sacco di plastica e pronti per essere gettati nell’immondizia, prefigurano un futuro distopico in cui si assisterà alla cancellazione della dignità delle persone, “forza lavoro” eliminata e sostituita da macchinari e dall’intelligenza artificiale.

 shirirn

Shirin Neshat, (Qazvin, IR, 1957, vive e lavora a New York), Faceless from Women of Allah Series, 1994 stampa fotografica, inchiostro; cm 149 x 107 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. 

Temi sociali, in particolare legati alla condizione della donna, sono affrontati da alcune star della “Pictures Generation”, come Cindy Sherman, Barbara Kruger, Sherrie Levine, e da diverse female artists appartenenti a diverse generazioni. La serie di Sherman Untitled Film Stills, che ha dato inizio alla pratica performativa e concettuale in ambito fotografico, riflette in particolare su tematiche quali la rappresentazione e l’identità, essendo le fotografie ricostruzioni fittizie di scene cinematografiche che ci sembra di riconoscere come reali, perché ispirate a immaginari e sguardi ormai introiettati attraverso i media. 

Se Sherman trasforma la propria persona assumendo fattezze sempre diverse e atteggiamenti contrastanti, Vanessa Beecroft pone al centro del suo lavoro la rappresentazione del corpo femminile, in una sperimentazione continua tra performance – che attingono, oltre che all’attualità sociopolitica, alla storia dell’arte con citazioni di opere del passato – e la pratica disegnativa, come attesta il Disegno qui esposto. Il laconico titolo indica il punto di partenza del modus operandi dell’artista, che nella figura anoressica pone l’accento sul tema del rifiuto del proprio corpo.

Sherman ha influenzato direttamente Sarah Lucas, Young British Artist della prim’ora che con due opere in mostra, Love Me e Nice Tits, si oppone all’immagine della donna oggetto secondo i tradizionali stereotipi maschili. Love Me gioca in modo ambivalente: sulla parte inferiore di un corpo femminile, seduto con le gambe aperte in una posa invitante, è sovrapposto un collage composto da immagini di occhi e bocche, che alludono all’intercambiabilità tra «bocche e orifizi sessuali, sguardo e atto sessuale», in bilico «tra fisicità e simbolismo». Fa pensare, invece, a un’era preistorica la Femme sans tête di Berlinde De Bruyckere, in cui un corpo femminile brutalmente mutilato viene messo “in vetrina”, in una oggettivazione di dolore, paura, lacerazione e vulnerabilità: emozioni che toccano soprattutto le donne, maggiormente vittime di violenza. 

sherman

Cindy Sherman, (Glenn Ridge, USA, 1954, vive e lavora a New York), Untitled Film Still #24, 1978, stampa fotografica; cm 20 x 25,5, Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Photo: Sebastiano Pellion di Persano. 

In opposizione a ogni corporeità prorompente, Fiona Tan offre col suo raffinatissimo video Saint Sebastian uno sguardo su una femminilità eterea e insieme carica di tensione: le due facce dello schermo presentano visioni antitetiche della cerimonia di iniziazione del Toshiya, ambedue giocate sull’eleganza degli abiti, delle acconciature e dei gesti, ma in cui l’intimità composta di un lato si fronteggia con l’energia fremente dell’altro. Il riferimento nel titolo al santo martirizzato dalle frecce vuole congiungere cristianesimo occidentale e filosofia buddhista, mentre la gara di tiro con l’arco rappresentata nell’opera mostra la spiritualità zen di questa pratica tradizionale, che prevede «l’arte del respirare, tendere l’arco, rimanere in tensione, scoccare» (come afferma Eugen Herrigel in Lo Zen e il tiro con l’arco, Milano, 1975). L’ampia rassegna di videoinstallazioni comprende anche un lavoro dell’artista di origine iraniana Shirin Neshat, che ci parla della condizione delle donne sotto una teocrazia dittatoriale e il loro ambiguo essere state allo stesso tempo protagoniste e vittime della rivoluzione khomeinista, e un video dell’egiziano Wael Shawky, che rilegge le Crociate da un’ottica musulmana, trasformando la narrazione in uno spettacolo musicale di marionette grottesche.

Anche Andra Ursuţa indaga e den uncia gli stereotipi culturali e razziali con la sua straniante scultura, che critica le discriminazioni subite dalla popolazione rom, mentre Lynette Yiadom-Boakye, figlia della diaspora africana in Inghilterra, rilegge il genere tradizionale del ritratto attraverso personaggi di colore fittizi, per sottolineare l’esclusione dei neri dall’immaginario storico-artistico. Questioni e soprusi razziali sono denunciati anche dal «carbone animato» di William Kentridge sulla segregazione in Sudafrica. 

lynette

Lynette Yiadom-Boakye, (Londra, UK, 1977, dove vive e lavora), Switcher, 2013, olio su tela; cm 150 x 140, Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. 

Una domanda di fondo sottende una mostra su una delle più importanti raccolte europee di arte contemporanea: come fa un collezionista a puntare alle stelle? La storia di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo può essere d’ispirazione per cercare, nei cieli dell’arte, una risposta a questo impossibile interrogativo. Una grande collezione si forma grazie a una irrefrenabile passione, seguendo le proprie intuizioni, spinti da una pantagruelica curiosità, oltre che, ovviamente, dalla propria cultura e dal proprio gusto. Una collezione è fatta di scoperte e anticipazioni, ma è anche frutto di errori, occasioni mancate e può comprendere qualche assenza ingombrante. L’universo dell’arte è infinito e ogni velleità di completezza resterà disattesa anche dal più instancabile esploratore spaziale; importante è che sia chiara la rotta e che il radar funzioni bene.

Questo viaggio sarà lungo. Non resta che allacciarsi le cinture e partire per raggiungere le stelle. 

 

Arturo Galansino

 

 



art week

 

ARTE AGLI ANTIPODI La Collezione Brignoni al Musec di Lugano 

Al Museo delle Culture di Lugano la grande mostra temporanea dedicata alla collezione di capolavori di arte dei Mari del Sud di Serge Brignoni.  

Si è aperta al Museo delle Culture di Lugano la grande mostra temporanea dedicata alla collezione di capolavori di arte dei Mari del Sud di Serge Brignoni. A 120 anni dalla nascita dell’artista surrealista e collezionista svizzero, il MUSEC celebra la passione e la visionarietà di colui che, donando alla Città di Lugano oltre 650 opere di assoluto livello mondiale, portò a metà degli anni ‘80 alla nascita del Museo delle Culture.Si è aperta al Museo delle Culture di Lugano la grande mostra temporanea dedicata alla collezione di capolavori di arte dei Mari del Sud di Serge Brignoni. A 120 anni dalla nascita dell’artista surrealista e collezionista svizzero, il MUSEC celebra la passione e la visionarietà di colui che, donando alla Città di Lugano oltre 650 opere di assoluto livello mondiale, portò a metà degli anni ‘80 alla nascita del Museo delle Culture.

ARTE AGLI ANTIPODI è la prima grande mostra che il MUSEC dedica interamente alla Collezione Brignoni nella nuova sede di Villa Malpensata. L’esposizione è un ulteriore tassello del lavoro condotto dal 2005, inizio della fase di rilancio del MUSEC, per realizzare pienamente il sogno di Brignoni all’origine della decisione di donare la sua collezione. L’intenzione di Brignoni era quella di far comprendere alle generazioni future quanto la scoperta delle arte etniche avesse trasformato per sempre i linguaggi delle Avanguardie, e come le opere che aveva collezionato con passione per oltre sessant’anni fossero delle fonti illustri per comprendere le trasformazioni dell’arte del ‘900.

Curata da Francesco Paolo Campione, direttore del MUSEC, l’esposizione temporanea racchiude 73 capolavori dal Sud-Est asiatico e dall’Oceania, tra cui piccole e grandi sculture, maschere, scudi, elementi architettonici che rappresentano l’eccellenza di ciascun genere e di ciascun stile. Oltre a presentare alcune opere mai esposte nella sede originaria del Museo (l’Heleneum), per la prima volta la mostra riunisce opere donate alla Città di Lugano nel 1985 a sculture del piccolo nucleo che Brignoni aveva destinato al Kunstmuseum di Berna il quale, a sua volta, lo ha ceduto al MUSEC nel 2018.

L’originalità del percorso, che si snoda nelle 13 sale dello Spazio Mostre, sui due piani nobili di Villa Malpensata, sta nell’attenzione rivolta allo “sguardo surrealista” che guidò l’artista svizzero nella costituzione della sua collezione. Serge Brignoni (1903-2002) apparteneva infatti alla generazione di artisti europei delle Avanguardie che, tra le due guerre, scelsero di vivere a Parigi. Lì condivisero il desiderio di oltrepassare definitivamente i confini del realismo dell’arte occidentale e nella loro ricerca di nuove soluzioni estetiche finirono per “innamorarsi” di opere d’arte venute da lontano. Gli artisti le scoprirono dapprima nei musei etnografici ma presto iniziarono a ricercarle ardentemente, acquistandole da mercanti e antiquari delle grandi città europee e scambiandosele tra loro. Erano spinti dal desiderio di circondarsi di oggetti misteriosi e un po’ magici, in grado di accendere e stimolare la loro personale e fervente creatività. Una creatività che avrebbe mutato profondamente l’arte di tutto il Novecento, ben oltre la cerchia dei movimenti avanguardistici.

Lo stesso Brignoni amava ricordare che il suo primo incontro fatale con l’arte etnica avvenne all’età di otto anni, nelle sale del Museo storico di Berna, la città dove la famiglia si era trasferita dal Ticino. Il maestro aveva accompagnato la classe a vedere gli Indiani d’America, ma il piccolo Sergio era stato rapito dalle proporzioni inusuali e dalla prorompente carica espressiva di alcune sculture dell’Oceania che intravide in quelle sale. La mostra si apre proprio con una rievocazione dello spazio museale in cui ebbe luogo l’incontro di Brignoni con l’arte etnica, da cui tutto ebbe inizio.Nelle sale successive, le opere sono raggruppate secondo la loro provenienza geografica e culturale: Nuova Irlanda, Nuova Guinea, Borneo, Golfo di Papuasia, Nuova Caledonia, Sulawesi, Nagaland, Bali. Ma il filo conduttore del percorso espositivo resta la relazione interiore di Brignoni con l’arte etnica: i pensieri, le emozioni e i mondi interiori generati dal rapporto tra l’artista-collezionista e le sue opere.3Una relazione all’arte etnica, quella di Brignoni, che si inserisce in una più vasta interpretazione surrealista del ruolo della creatività. Questa visione è esplicitata in una delle prime sale dalla grande riproduzione della mappa del “Mondo al tempo dei surrealisti”. Pubblicata in origine nel 1929 su una rivista belga, la mappa restituisce la dimensione delle varie aree del mondo sulla base del tasso di “surrealtà” dell’arte dei popoli che le abitano. E allora, ecco come la Nuova Irlanda, la Nuova Guinea, il Borneo e le Isole del Pacifico sono rappresentate deformate e ingigantite, perché tanta è la potenza della loro arte nell’esprimere l’estasi, il sogno, l’allucinazione, l’ibridazione delle forme care al Surrealismo e a un artista come Brignoni.

L’allestimento immerge le opere nell’atmosfera delle avanguardie parigine di inizio ‘900. I colori delle sale via via manifestano una gamma cromatica vivace e sorprendente, liberamente ispirata alle opere pittoriche di Brignoni e di altri esponenti del Surrealismo. Il visitatore è accompagnato durante la visita dalle note delicate della “Gymnopédie n. 1” di Erik Satie (1866-1925), il compositore e pianista che partecipò attivamente al fermento creativo delle avanguardie artistiche nella Parigi dei primi due decenni del ‘900, collaborando tra gli altri con Pablo Picasso, Juan Picabia e Jean Cocteau.

ETHNOMANIA

In occasione di ARTE AGLI ANTIPODI, il MUSEC proporrà ETHNOMANIA, un programma di incontri, degustazioni e atelier ispirati alle culture del Sud-Est asiatico e dell’Oceania. I diversi appuntamenti saranno comunicati sul sito del Museo: www.musec.ch

 



art week

©Francesca Piovesan - Courtesy Fulvio Morella, Gaggenau e Cramum; (Lelièvre Paris per le opere tessili)

 

"Romanitas" A Roma dal braille alle stelle 

Romanitas è il primo appuntamento del progetto artistico e culturale “Scripta?” concepito da Sabino Maria Frassà per Gaggenau e CRAMUM: un ciclo di quattro mostre che indagano il legame tra scrittura, arte e materia. 

Dopo l'Istituto dei Ciechi Museo Braille di Milano "l’arte tra le dita" di Fulvio Morella arriva al Gaggenau DesignElementi di Roma con la mostra Romanitas in occasione della XVI Giornata nazionale del braille (21 febbraio 2023). Curata da Sabino Maria Frassà, l'esposizione rimarrà aperta fino al 31 luglio e ospiterà, oltre ai noti quadri scultura del ciclo Blind Wood, le inedite opere tessili dell'artista che ha trasformato il braille in arte.

Romanitas è il primo appuntamento del progetto artistico e culturale “Scripta?” concepito da Sabino Maria Frassà per Gaggenau e CRAMUM: un ciclo di quattro mostre che indagano il legame tra scrittura, arte e materia. Le opere tessili di Fulvio Morella sono realizzate su tessuti donati da Lelièvre Paris, partner della mostra insieme a DesignElementi.

Lo spazio romano di Gaggenau "diventa ancora una volta un luogo di esperienze condivise di bellezza, per ritrovare una comunicazione più autentica con sé stessi e con gli altri attraverso l’arte,” commenta Sabino Maria Frassà, curatore della mostra. “Quello che resterà sarà un’esperienza sul doppio piano, visivo e percettivo, attraverso il connubio tra segni, immagini e materiali preziosi, tra vista e tatto”. Uno spirito alla base della ricerca artistica di Fulvio Morella, che integra la percezione visiva dell’opera d’arte con gli altri sensi, principalmente il tatto, e che proprio attraverso l’atto di tornire il legno, eliminando gli strati più superficiali, indaga l’essenza della realtà.

Fulvio Morella ha concepito la mostra Romanitas come un progetto di ricerca quasi ontologico. Il fine è riflettere sul futuro, fondendo in modo pluridisciplinare e multisensoriale la visionaria e profetica filosofia di Friedrich Nietzsche con il valore emblematico dell’Antica Roma. Nelle inedite opere tessili, come in quelle in  legno e braille, la Città Eterna diventa metafora dell’esistenza umana in bilico tra gravitas e vanitas, che sempre ritornano. Tutto si ripete e la nostra libertà consiste, secondo Fulvio Morella, proprio nel comprendere "tale eterno ritorno".

Non a caso l'artista sceglie l'oro e il colore porpora del legno amaranto per evocare la forte dimensione spirituale, emotiva ed empatica di queste nuove opere. Non solo, Morella menziona esplicitamente il filosofo tedesco Nietzsche in diverse opere scegliendo come immagine simbolo della mostra la clessidra. Sulla Clessidra in legno così come sulla grande opera "Sipario di stelle", realizzata su un tessuto donato da Lelièvre Paris, l'artista riporta la massima di Nietzsche: "L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!".

 

morella stelle 2

 

Queste nuove "rivoluzionarie" opere tessili di Morella sono l'altro elemento distintivo del percorso espositivo Romanitas. Lo spettatore non si trova così di fronte o sotto le dita "solamente" una scritta in braille, tipica dei lavori precedenti, bensì un insieme di stelle ricamate. Ogni stella sostituisce un punto dell'alfabeto braille; le frasi vanno perciò a costituire sui tessuti Lelièvre Paris quasi una costellazione. Come spiega il curatore Frassà “Attraverso queste opere Fulvio Morella dà forma compiuta a un’evoluzione quasi futurista del braille, ricca di significati e suggestioni. L'artista ci fa vedere le stelle: non più soltanto su legno ma anche su tessuto siamo spinti a scoprire in un cielo stellato nascosti e seducenti messaggi in braille”.

La memoria e il rapporto tra passato e futuro, tra rovina e rinascita sono elementi trasversali a tutte le opere in mostra “Romanitas”. Non c’è alcuna nostalgia nei confronti di un glorioso passato, bensì la consapevolezza che, prima o poi, il passato tornerà. Del resto, cosa ha reso “eterna” Roma se non la capacità di valorizzare il genio umano in tutte le sue forme? Le opere in mostra permettono così di tratteggiare un ideale percorso fatto di simboli: dopo il Pantheon e il Mausoleo di Augusto, in mostra per la prima volta un’opera che reinterpreta l’Anfiteatro Flavio, ma anche immagini archetipiche come quella della clessidra che rimanda al fluire ininterrotto del tempo e che in forme e materiali diversi sarà presente sia in apertura che a chiusura della mostra.

Se le armoniche forme geometriche rimangono la cifra caratteristica dell’artista, è sempre più forte nella sua produzione la dimensione concettuale: Morella intende coinvolgere in modo attivo lo spettatore. La tornitura del legno è così integrata all’esperienza tattile del braille, fino a diventare il punto di partenza per sperimentare insieme al pubblico nuove prospettive e visioni sul futuro: la vera sfida che l’artista ci propone è proprio quella di non fermarci alla superficie delle opere, abbracciando un’esperienza multisensoriale che permetta di scoprire cosa si cela “oltre al sipario”... dal braille alle stelle.

Fulvio Morella dal 2018 porta avanti il Progetto Blind Wood con cui ha introdotto la scrittura in braille all’interno della sua ricerca artistica. L'artista impiega il braille da un lato come elemento decorativo e, dall’altro, come chiave per comprendere e interpretare la forma delle opere, che, a prima vista astratte, rileggono in chiave contemporanea monumenti, luoghi storici e simboli di un’antichità oggi ancora viva come antichi teatri (Ferentino, Tuscolo e Ostia) e maschere della commedia romana.

Nella mostra romana l'artista ha spinto la sua ricerca oltre, trasformando l'alfabeto braille in costellazioni di stelle, non solo ricamate, ma anche protagoniste della prima opera NFT di Morella intitolata ROMANITAS NFT. Infine nella giornata del Braille - 21 febbraio - 21 persone sono state selezionate e invitate a prendere parte alla performance "ROMANITAS": guidati dall'artista, dopo esser stati bendati, i partecipanti sono stati invitati a superare il "Sipario di stelle" per vedere con le mani le opere e riflettere insieme sulle emozioni e i ricordi suscitati da tale esperienza.

 

"Romanitas"

mostra personale di Fulvio Morella a cura di Sabino Maria Frassà

Dal 21 febbraio al 31 luglio 2023

lunedì-venerdì ore 10:30 - 13:00 / 15:30 - 19:00

Gaggenau DesignElementi

Lungotevere de’ Cenci 4, Roma

Visite aperte al pubblico solo su appuntamento previo contatto e-mail o telefonico.

E-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

T. +39 06 39743229, +39 371 1733120