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 Portrait of Thomas J Price. Photo: Sim Canetty-Clark

Thomas J Price. The Space Between

Un'esplorazione della preoccupazione di lunga data dell'artista per le antiche tradizioni della scultura monumentale, insieme a una comprensione intrinseca del potere simbolico e della gerarchia dei materiali.

La pratica multidisciplinare di Thomas J Price si confronta con atteggiamenti pubblici preconcetti nei confronti della rappresentazione e dell'identità. Per la sua prima mostra personale in Svizzera, intitolata The Space Between, Price presenta una selezione di sculture di piccole e grandi dimensioni che coprono due decenni, insieme a due dei suoi lavori cinematografici che mostrano un'altra dimensione della sua pratica. La mostra è un'esplorazione della preoccupazione di lunga data dell'artista per le antiche tradizioni della scultura monumentale, insieme a una comprensione intrinseca del potere simbolico e della gerarchia dei materiali. Le sculture di Price raffigurano soggetti immaginati attraverso l'approccio ibrido dell'artista tra scultura tradizionale e tecnologia digitale intuitiva.

"Il mio lavoro fa riferimento alla storia dell'arte come mezzo per rivelare le nostre comprensioni apprese e gli atteggiamenti nei confronti della rappresentazione all'interno del canone tradizionale e dell'emarginazione sistemica al suo interno", afferma Price.

La mostra coincide con "Witness" al Marcus Garvey Park con lo Studio Museum Harlem, NY, fino a ottobre 2022, così come l'installazione della scultura "Reaching Out" a Chillida Leku, San Sebastian, in mostra fino a giugno 2022.

Price si riferisce ai suoi soggetti di fantasia come ritratti psicologici dello spettatore: "Lo spettatore si avvicina alle opere, portano le loro comprensioni, i loro schemi, il loro insieme di valori che usano per navigare nel mondo che li circonda". Le sue figure e teste sono fusioni di varie fonti, da individui osservati e stereotipi rappresentati nei media, a riferimenti a sculture antiche, classiche e neoclassiche. I materiali e i metodi utilizzati nella statuaria greca e romana sono combinati con la scansione e la modellazione 3D per generare forme transstoriche. In 'Numen (Shifting Votive 1, 2, 3)' (2016) Price combina il tradizionale processo di fusione a cera persa con l'alluminio, un materiale più comunemente associato all'ingegneria moderna, per presentare una serie di teste emblematiche sollevate all'altezza degli occhi su colonne di marmo.

Allo stesso modo, "Icon Series" (2017) adotta la doratura, una tecnica che risale all'antico Egitto e amplifica un senso di lusso e splendore, insieme alla stampa 3D per creare gli stampi di colata. Poste su plinti di quarzite, le sculture trasudano una potente risonanza culturale, sfidando la nostra consapevolezza dell'iconografia attuale e l'immediata immortalazione di figure trionfanti. Le icone di Price guardano oltre lo spettatore e sono consumate nei propri pensieri e mondi emotivi, riformulando l'immagine e le associazioni degli uomini di colore nella società contemporanea di oggi. Queste opere contemplative incarnano oggetti di culto per l'età moderna, mentre svelano le profondità aptiche della gamma in espansione di mezzi di Price.

 Questo tema è stato esteso in nuove modalità di visualizzazione sia in "Power Object (Section 1, No.1)" (2018) che in "Sonic Work (Collective Palette #01)" (2020/21). Le due opere in bronzo distintamente astratte condividono un'estetica dei maestri moderni del 20° secolo, criticando un canone storico artistico che ha contribuito all'interpretazione errata dell'identità maschile nera. Apparso inizialmente come un monumento astratto su un piedistallo in marmo di Carrara, "Power Object (Section 1, No.1)" raffigura la sezione trasversale di un inguine di una figura maschile in pantaloni da jogging. Price valuta se questo oggetto è potenza proiettante, o piuttosto assoggettata ad essa. Il titolo stesso rivela la disparità razziale della politica di arresto e ricerca della Gran Bretagna, "Sezione 1, n. 1".

Sebbene la maggior parte dell'opera di Price si riferisca più strettamente alla figura maschile, "Lay It Down (On The Edge of Beauty)" (2018), così come al suo lavoro più recente nella mostra, "Reaching Out" (2021), segnano un cambiamento commovente verso l'identità femminile e un'esperienza nera condivisa. "Lay It Down (On The Edge of Beauty)" estende la linea di indagine di Price sulle divinità, illuminando i fili universali all'interno della cultura popolare, dei media e della moda che si riferiscono ai significanti della femminilità nera. Price intende mettere in luce lo stigma associato alle acconciature e alle convenzioni formali di bellezza, nonché la mancanza di riconoscimento quando vengono riappropriate al di fuori della loro vera origine.

Sfruttare il potere narrativo di performance, film e animazione è stato un elemento coerente durante tutta la carriera dell'artista fino ad oggi. "Man 10" (2012), un'animazione in stop-motion, dimostra un precoce desiderio di rispondere alla storia della razzializzazione e amplifica la complessità delle profonde tensioni sociali. Attingendo alla propria esperienza vissuta e alle osservazioni comuni, Price eleva la nostra consapevolezza delle forme di comunicazione inconsce attraverso sottili cambiamenti nelle espressioni e nei movimenti facciali. Nella mostra è anche esposto l'ultimo film di Price "From the Ground Up" (2016), un'opera a due canali che presenta l'artista che allaccia e pulisce diversi paia di scarpe da una prospettiva fissa a volo d'uccello. Facendosi strada lentamente attraverso una vasta gamma di calzature, dalle scarpe da ginnastica bianche alle scarpe di pelle nera, Price esplora i temi della cultura materiale e del valore che diamo agli oggetti, nonché i segnali sociali che istigano.

A proposito dell'artista

Thomas J Price è diventato rapidamente uno dei più importanti artisti britannici contemporanei della sua generazione, sovvertendo le rappresentazioni stereotipate di figure che apprezziamo nella società e le strutture di potere tradizionali. Dopo aver studiato al Chelsea College of Art, ha completato il suo Master al Royal College of Art nel 2006 e ha iniziato a interrogare ulteriormente il linguaggio del monumentalismo per mettere in discussione lo status insito nelle sculture pubbliche. Price ha esposto ampiamente nel Regno Unito e a livello internazionale, comprese mostre personali allo Yorkshire Sculpture Park, West Bretton (2014), National Portrait Gallery, Londra (2016) e The Power Plant Contemporary Art Gallery, Toronto (2019).

Nel 2020, Price è stato incaricato dall'Hackney Council di creare le prime sculture pubbliche permanenti per celebrare il contributo della generazione Windrush e dei loro discendenti nel Regno Unito, che saranno svelate nel giugno 2022. Price si è unito a Hauser & Wirth Somerset come artista residente da luglio-ottobre 2021 in vista della sua mostra personale inaugurale con la galleria.

Hauser & Wirth St. Moritz
12 Febbraio – 18 Aprile 2022
Preview: 11 Febbraio 2022

 



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Spazio Choisi espone A FOLKTALE FROM VIETNAM: Speeding Motorcycle and Roasted Lemograss

Il progetto è il risultato di otto anni di ricerca e produzione di una serie di fotografie realizzate in Vietnam da Gianpaolo Arena. 

Spazio Choisi espone A FOLKTALE FROM VIETNAM: Speeding Motorcycle and Roasted Lemograss. Il progetto è il risultato di otto anni di ricerca e produzione di una serie di fotografierealizzate in Vietnam da Gianpaolo Arena negli anni 2013, 2015 e 2018, e che esaminano ilcomplesso legame tra paesaggio e civilizzazione, catturando gli usi e costumi della società contemporanea. Il fotografo indaga il presente e il futuro della città, il connubio e il dialogo di periodi e culture differentitra loro.

Tra segni di comunismo e desiderio di consumismo, negli ultimi vent’anni il Vietnam sta vivendo unadelle transizioni urbane più vigorose del sud est asiatico, legata ad uno straordinario e costantesviluppo economico che secondo le previsioni si rafforzerà ancora nei prossimi decenni. Se da unaparte la crescita economica del capitalismo asiatico ha portato numerosi benefici per l’intero paese,dall’altra sono sempre più evidenti tutte le fragilità che uno sviluppo urbano così repentino eaggressivo ha generato. Tuttavia, è proprio nelle contraddittorie intercapedini tra questi due aspettiche si sono definiti l’identità e il carattere urbano delle città vietnamite e dell’intero paese.

Simona Galateo da Vietnam: lo sviluppo urbano fra tradizione e globalizzazione.

Il libro, a cura di Chiara Capodici, è stato pubblicato nel 2021 dall'editore berlinese The Velvet Cell, fondato da Eanna de Freine.

Gianpaolo Arena (1975, Italia) sviluppa progetti di ricerca su tematiche ambientali, documentarie esociali. Il suo lavoro utilizza il paesaggio e il ritratto come modalità per investigare la rappresentazionedegli spazi antropizzati e la sostenibilità delle città contemporanee. Dal 2010 è curatore del magazinedi fotografia internazionale Landscape Stories e organizza workshop, progetti editoriali ed espositivi.È co-fondatore di CALAMITA/Á (2013-ongoing). Nel 2016 è stato nominato tra i curatori del Padiglione Venezia per la Biennale di Architettura. Nel 2020 è curatore del progetto MH ART PROJECT. Il lavoro di Arena è stato esposto in numeroseistituzioni e festival fotografici nazionali (Triennale di Milano; MACRO — Museo d’ArteContemporanea di Roma; SI Fest) ed internazionali (X Biennale di Architettura di San Paolo, Brasile con lo studio Latitude Platform; Alt+1000, Rossinière, Svizzera).

INFO

Inaugurazione: 29.01.2022, ore 15:00

Inaugurazione: 29.01.2022, ore 15:00

Primo piano di Via Pelli 13, 6900 Lugano

Periodo di esposizione 29.01.2022 - 26.03.2022

 



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Cesare Viel, Massi da scogliera, 2021, Courtesy Cesare Viel e Galleria Milano

 

La Galleria Milano è lieta di presentare "Condividere frasi in un campo allargato", mostra personale di Cesare Viel

Artista tra i  vincitori della X edizione dell'Italian Council.

La Galleria Milano è lieta di presentare Condividere frasi in un campo allargato, mostra personale di Cesare Viel, tra i vincitori della X edizione dell'Italian Council.

Il progetto ha un’anima dialogica: l’artista, tra la fine del 2020 e la fine del 2021, ha invitato amici e colleghi a scrivere una frase per loro significativa, particolarmente adeguata allo specifico vissuto del momento presente, e quindi condividerla con lui. Le frasi vengono poi trascritte a mano dall’artista su singoli fogli. Il risultato è un’installazione lungo tutto lo spazio espositivo della galleria, un mare metaforico attraverso il quale camminare percorrendo passerelle rialzate. Dall’incontro tra soggettivo e plurale, personale e collettivo scaturisce un momento immersivo di riflessione sul tempo che stiamo vivendo e i processi trasformativi da esso scaturiti. Questo paesaggio di frasi, da intendersi come un campo allargato, secondo la prospettiva di Rosalind Krauss, si sviluppa volutamente secondo una linea orizzontale, che ne riflette la coralità, in contrasto con la verticalità dell’impostazione autoriale. A far da contraltare alle parole altrui sono infatti alcuni fogli incorniciati e appesi alle pareti, questa volta con scritti composti e pensati da Viel stesso.

In dialogo con l’installazione sono alcuni disegni a grafite raffiguranti massi da scogliera utilizzati come moli o barriere anti-erosione sulla costa e in alcune spiagge del Ponente Ligure, tra cui Noli, Sanremo e Spotorno. Ancora una volta un paesaggio, vasto, familiare, privato e collettivo insieme, ligure come l’artista, che vive da molti anni a Genova, ma anche trentino, dolomitico, un luogo affettivo, il “paesaggio essenziale” dei suoi genitori. Come racconta l’artista, “guardare i disegni di questi massi, una volta finiti, produce in me una dolcezza intensa, imprevista, in contrasto con la durezza reale della pietra, ma solo apparentemente, perché in fondo, in questo caso, dolcezza e durezza si accoppiano e si mescolano in un nuovo ulteriore orizzonte”.

La mostra è realizzata in collaborazione con la Galleria Pinksummer di Genova.

Cesare Viel (Chivasso, 1964) vive e lavora a Genova, dove insegna all’Accademia Ligustica di Belle Arti. Espone in Italia e all’estero dalla fine degli anni Ottanta in gallerie private, musei e fondazioni. Nel 1991 si laurea in Lettere Moderne all’Università di Genova. Nel 1998 vince il “Premio Francesca Alinovi”. Nel 1999 partecipa al progetto collettivo Oreste alla Biennale, in occasione della 48esima edizione della Biennale d’Arte di Venezia. La sua prima retrospettiva, nel 2008, si è tenuta al Museo d’Arte Contemporanea-Villa Croce di Genova; nel 2019 il PAC, Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano, gli ha dedicato una personale, con un catalogo monografico edito da Silvana Editoriale. Nel 2020 espone presso la Galleria Pinksummer di Genova con una mostra dal titolo “Scrivere il giardino”. Nel 2021 risulta tra i vincitori della X edizione dell’Italian Council.

 

 



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1970, Viaggio in Italia.

 

GióMARCONI presenta Emilio TADINI Viaggio in Italia

Durante l'inaugurazione verrà presentata la nuova pubblicazione Emilio Tadini. La realtà dell'immagine 1968-1972 di Francesco Guzzetti, edita da Fondazione Marconi / Mousse Publishing in collaborazione con l'Archivio Emilio Tadini.

A vent’anni dalla scomparsa di Emilio Tadini, dal 4 febbraio al 5 marzo 2022 Gió Marconi ospita Viaggio in Italia, una mostra con opere dell'omonima serie dei primi anni Settanta dell'artista milanese, esposte per la prima volta nel 1971 dallo Studio Marconi. In occasione della mostra, sarà presentata la nuova pubblicazione Emilio Tadini. La realtà dell'immagine 1968-1972 di Francesco Guzzetti, edita da Fondazione Marconi / Mousse Publishing in collaborazione con l'Archivio Emilio Tadini.

L'intera opera di Emilio Tadini, apparentemente semplice e immediata, offre molteplici livelli di lettura: le immagini emergono in un procedimento freudiano di relazioni e associazioni tra elementi onirici, oggetti quotidiani, personaggi anonimi e spesso senza volto. Considerato una delle figure più originali del dibattito culturale del secondo dopoguerra italiano, Tadini ha adottato aspetti del linguaggio Pop quando il movimento era già in declino, ma il suo interesse per l'inconscio e l'irrazionale lo ha indotto a rappresentare scene di frammentazione e alienazione che ricordano il Surrealismo, con riferimenti tanto alla Metafisica di de Chirico quanto alla psicanalisi di Lacan e Freud. Nasceva così il suo Realismo Integrale.

Tadini ha sempre avuto un approccio seriale alla pittura: da un’immagine ne scaturiscono altre, per progressive modificazioni e alterazioni. Ogni volta l’artista produce un racconto, tanto che la sua pittura cresce a cicli, come una serie di romanzi a puntate, in cui le leggi di spazio e tempo e quelle della gravità sono totalmente annullate. Onnipresenti nella serie Viaggio in Italia sono le figure solitarie e senza testa, già protagoniste di alcuni suoi primi cicli di lavori, come L'uomo dell'organizzazione (1968) o Vita di Voltaire (1967). Le creature di Tadini sono costituite da corpi, movimenti e gesti ma non hanno né volti né teste: ricordando il teatro epico di Brecht, aggiungono un effetto di alienazione delle sue opere.

Per un intellettuale come Tadini sembra quasi impossibile guardare Viaggio in Italia senza pensare all'omonimo diario di viaggio di Johann Wolfgang Goethe, in cui l'autore descrive il suo soggiorno italiano dal settembre 1786 al maggio 1788. Una notevole somiglianza tra i due Viaggi in Italia è che Goethe, così come Tadini, fa molto affidamento sulle immagini autoprodotte e sui propri repertori visivi: mentre visita l'Italia, Goethe disegna e produce numerosi acquerelli, mentre Tadini per i suoi quadri si rifà a una miriade di immagini fotografiche che ha scattato e archiviato ordinatamente. I disegni preparatori e le fotografie sono i primi riferimenti di ciò che alla fine sarà tradotto in testo e su tela.

In uno dei dipinti di grandi dimensioni della serie Viaggio in Italia, Tadini cita il noto acquerello di Johann Heinrich Wilhelm Tischbein Goethe am Fenster der römischen Wohnung am Corso, raffigurante Goethe in piedi di spalle che guarda fuori dalla finestra. La versione di Tadini mostra sia le finestre aperte che quelle chiuse e conferisce alla figura, in piedi senza testa, lo stesso identico outfit dell’originale – calze lunghe, un paio di pantaloni alla zuava e camicia. Nel suo diario, Goethe è stato particolarmente attento all'architettura antica italiana, alla geografia, geologia e botanica della penisola, e ha riportato molteplici osservazioni mineralogiche. Tadini sembra rispecchiare quell'interesse nelle sue rappresentazioni ricorrenti di forme architettoniche, cilindri, cubi e piramidi di diversi tipi di marmi e rocce. 

Come in precedenti lavori, Tadini utilizza motivi ricorrenti: un elemento piramidale a strisce bianche e nere, una figura femminile in piedi senza testa, un telefono, un cappello coloniale o un rossetto rosso. Attraverso la scelta degli oggetti rende il suo viaggio più concreto. Il suo viaggio italiano riguarda la vita quotidiana contemporanea, come suggeriscono il telefono, le lettere (ci)nema, gli eleganti abiti femminili, i vari oggetti di design o la scultura di Calder.

Pur includendo riferimenti all'antichità, Viaggio in Italia di Tadini tocca anche i campi del design, dell'arte, della cultura, della moda e dello stile. La sua visione italiana unisce il passato con la modernità. Questo punto di vista strettamente oggettuale, in cui la riflessione su diversi tipi di oggetti porta a una migliore conoscenza di sé, avvicina il Viaggio in Italia di Goethe a quello di Tadini che sosteneva “L'arte come mezzo per intensificare la percettibilità delle cose”. Georg F. Schwarbaner lo riassume in poche parole: “Ogni oggetto, ogni simbolo, ogni frammento di una frase e di una parola ha il suo significato specifico. Le opere di Tadini somigliano a un'enciclopedia di immagini del nostro secolo”.

 

 



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© JOEL-MEYEROWITZ, NEW YORK CITY 1974.

 

JOEL MEYEROWITZ. Leica Hall of Fame 2016

L’esposizione presenta cinquanta fotografie che ripercorrono la carriera di uno dei massimi protagonisti della street photography, tra i primi a fare del colore un elemento essenziale del suo linguaggio.

Dal 25 gennaio al 2 aprile 2022, Leica Galerie Milano, in via Giuseppe Mengoni 4 (angolo piazza Duomo), ospita una mostra dedicata a Joel Meyerowitz (New York, 1938), grande maestro della fotografia contemporanea, uno dei massimi protagonisti della street photography, tra i primi a fare del colore un elemento essenziale del suo linguaggio artistico negli anni sessanta e settanta del secolo scorso, premiato con il Leica Hall of Fame 2016, riconoscimento che celebra autori che hanno contribuito all’evoluzione del linguaggio fotografico e che hanno dato prestigio al marchio Leica.

L’esposizione, curata da Karin Rehn Kaufmann, art director Leica Galleries International, con l’adattamento di Denis Curti e Maurizio Beucci, presenta cinquanta fotografie capaci di ripercorrere i periodi più decisivi della sua carriera, scattate in diversi paesi e in molte città.

Dalle immagini catturate tra le strade di New York, ambiente perfetto per osservare le vicende della varia umanità che popola la grande città, a quelle raccolte durante un viaggio di un anno attraverso l’Europa a cavallo tra il 1966 e il 1967. Da quelle scattate a Parigi, tra cui spicca quella che ritrae la scena dell’uomo che sviene nella quasi indifferenza totale delle persone che gli stanno attorno, ai paesaggi spagnoli catturate attraverso il filtro del vetro dell’automobile in corsa; da Napoli a Malaga, dall’Irlanda alla Bulgaria, alla Germania, fino alla serie di Londra e del Regno Unito.

Il percorso prosegue inoltre con le fotografie, nuovamente colte negli Stati Uniti, in cui il colore divenne per lui un elemento ancora più importante.

“Spesso si parla di pionieri in fotografia – afferma Maurizio Beucci, ma ciò che va riconosciuto a Meyerowitz è invece un ruolo più simile a quello dell’esploratore. Se da un lato il pioniere si insedia dopo la scoperta, dall’altro Meyerowitz ha invece cambiato continuamente direzione nell’arco della sua straordinaria carriera. Un esploratore in tal senso, un uomo che non appena scoperto un luogo ne ha lasciato agli altri il presidio, cercando la strada per ribellarsi a ogni forma di sospensione artistica o espressiva. Linguaggio, evocazione e poetica del comune restano gli unici tratti persistenti e distintivi del suo fotografare”.

Figura preminente della cosiddetta street photography, Meyerowitz ha ispirato generazioni di artisti contemporanei. Decisivo, per il suo ingresso nel mondo della fotografia, fu l’incontro con Robert Frank nei primi anni sessanta, che conobbe nel corso del suo lavoro come art director per un’agenzia pubblicitaria.

A partire dal 1962, Meyerowitz comprese la portata rivoluzionaria che il colore, a quel tempo ritenuto un elemento superficiale e uno strumento nelle mani dei fotoamatori, introdusse nella fotografia per documentare fatti particolarmente importanti della società, come avvenimenti politici, eventi sportivi, ma anche momenti di contraddizione, così come di gioia e di entusiasmo nei confronti della vita.

Grazie alla sua intuizione, anche la carta stampata, che fino ad allora era solita utilizzare immagini in bianco e nero per illustrare gli articoli pubblicati, si converte al colore riconoscendogli una forte capacità di cogliere i momenti della quotidianità che si svolgeva tra le strade delle metropoli, dei grandi temi come la solitudine, l’incomunicabilità, degli scontri e delle proteste sociali.

Meyerowitz sfugge a qualsiasi collocazione storica. Capostipite della street photography più moderna, ne riscrive i codici linguistici che, all’interno di un apparente disordine, descrivono con armonia la vita e la quotidianità e soprattutto le contraddizioni e le paure ma anche la gioia di vivere.

Note biografiche
Joel Meyerowitz è nato a New York nel 1938 ed è cresciuto nel Bronx. Ha studiato pittura e inizialmente ha lavorato come art director pubblicitario. Meyerowitz iniziò a utilizzare le pellicole a colori 35 mm nel 1962. L’anno successivo, le alternò al bianco e nero prima di tornare alla ricchezza della narrazione a colori. New York è sempre rimasta l’obiettivo dominante della sua vita di fotografo, dai suoi primi lavori degli anni ‘60 alle sue immagini evocative scattate a Ground Zero all’indomani dell’11 settembre. Meyerowitz vive e lavora a New York e in Toscana.

 

 



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Derry, 1972. Barricate nel quartiere cattolico di Bogdside, copyright Gian Butturini.

 

GIAN BUTTURINI LONDRA 1969 – DERRY 1972. UN FOTOGRAFO CONTRO

L’obiettivo di uno dei fotoreporter italiani più originali racconta, attraverso 50 fotografie, le contraddizioni della capitale inglese alla fine degli anni sessanta e le tensioni politiche e sociali nell’Irlanda del Nord nei primi anni del decennio successivo, a cinquant’anni dal Bloody Sunday.

Dal 27 gennaio al 6 marzo 2022, STILL Fotografia a Milano (via Zamenhof 11) rende omaggio a Gian Butturini (1935-2006), uno dei fotoreporter italiani più originali e apprezzati a livello internazionale.

La rassegna, curata da Gigliola Foschi e Stefano Piantini, promossa dall’Associazione Gian Butturini, presenta cinquanta fotografie, tratte da due suoi lavori e suoi libri più famosi – London by Gian Butturini e Dall’Irlanda dopo Londonderry – che raccontano, da un lato, le contraddizioni di Londra alla fine degli anni sessanta, nel periodo passato alla storia come quello della Swinging London, quando cioè la capitale inglese era diventata un crogiuolo di nuove tendenze legate alla moda, alla musica, all’arte e alla cultura in genere, dall’altro, le tensioni politiche e sociali nell’Irlanda del Nord, seguiti al Bloody Sunday, la strage avvenuta a Derry il 30 gennaio 1972 quando l’esercito inglese fece fuoco sulla folla di manifestanti, uccidendone quattordici.

Butturini, che iniziò a scattare immagini sul conflitto nordirlandese una settimana dopo i fatti di Derry, testimonia la radicalizzazione della situazione politica e militare in quel paese.

Butturini non cerca di creare immagini volutamente forti, fissando azioni belliche o di protesta, quanto, da vero fotoreporter, far vedere e far capire ciò che sta accadendo. E lo fa con grande capacità di testimonianza, di composizione fotografica unite a una altrettanto notevole sensibilità politica e umana. Nelle atmosfere così cupe e minacciose, tra barricate, cavalli di frisia, fili spinati, soldati armati di mitragliatori, auto bruciate ai lati delle strade, Butturini ritrae i bambini, vittime innocenti in un drammatico conflitto.

La sezione dedicata a Londra racconta la capitale inglese da una prospettiva nuova, critica, non patinata e documenta le incursioni di Butturini tra le strade londinesi popolate da ragazze in minigonna, immigrati, junkie, emarginati, abitanti della City che sembrano vivere in un mondo a parte. È una Londra fuori dagli stereotipi quella che emerge dai suoi scatti, cogliendone tutte le contraddizioni con un occhio innovativo, dove indagine documentaria, interventi grafici e pagine scritte si coniugano a fini espressivi.

“Questa è una mostra – afferma Gigliola Foschi – in difesa della libertà di parola, immagine e pensiero. Una mostra contro una cancel culture che, senza confronto e senza discussione, nella liberale Inghilterra ha fatto ritirare dal commercio il libro London by Gian Butturini e infangato la figura di un uomo che per tutta la vita si era impegnato contro ogni forma di razzismo e d’ingiustizia”.

Fu infatti una doppia immagine con una donna di colore che vende i biglietti della metro chiusa dentro un bugigattolo e un gorilla in gabbia che, invece di suscitare indignazione nei confronti delle condizioni di due esseri viventi, entrambi giustamente intrappolati e discriminati, com’era nell’intento di Butturini, ha scatenato un’accusa di “razzismo conclamato”, costringendo l’editore a togliere il volume dalle librerie.

La mostra si chiude idealmente con una decina di gruppo di collage situazionisti, opere in cui Butturini, fotografo, ma anche grafico, interviene con colori e scritte graffianti su strisce di fumetti degli anni settanta. Batman o Nembo Kid, ad esempio, si trasformano in eroi della controcultura che rovesciano e stravolgono, in modo provocatorio, i significati proposti dalla cultura dominante.

Accompagna la mostra un libro edito STILL/Pazzini Editore con un testo di Gigliola Foschi.

Note biografiche

Gian Butturini (1935 – 2006), fotoreporter internazionale, poliedrico artista della comunicazione, si afferma da giovane a Brescia come designer e architetto d’interni. Nel 1969 pubblica London by Gian Butturini; nel 2017 esce il reprint del libro (Damiani editore) con prefazione di Martin Parr, successivamente ritirato dal commercio con l’accusa di “razzismo conclamato”, senza che questa potesse essere discussa. Ha realizzato quaranta libri fotografici, tra i quali Cuba 26 luglio, Dall’Irlanda dopo Londonderry, Tu Interni Io Libero con Franco Basaglia, C’era una volta il Muro; DONNE lo sguardo, le storie con introduzione di Carla Cerati e due volumi dedicati alla storia cilena. Nell’autobiografico DAIQUIRI (Edizioni Mimesis) ha narrato le cronache dei suoi reportage. Sue foto sono state esposte in Strange and Familiar al Barbican Centre di Londra, alla Manchester Art Gallery e alla Somerset House in occasione di PHOTO LONDON 2018. In qualità di regista ha prodotto documentari, tra i quali Crimini di Pace, con musiche di Luigi Nono, e Bologna, 10.15 strage. Ha inoltre realizzato il film Il Mondo degli Ultimi con Lino Capolicchio, premiato in vari festival internazionali. Il lascito culturale dell’autore è attualmente promosso dall’Associazione Gian Butturini. www.gianbutturini.com.

 

GIAN BUTTURINI. LONDRA 1969 – DERRY 1972. UN FOTOGRAFO CONTRO.

Dalla Swinging London al Bloody Sunday

Milano, Still Fotografia (Via Zamenhof, 11)

27 gennaio - 6 marzo 2022

Orari: martedì-venerdì, 10-18; giovedì, 10-19.30; sabato, 15-19

Informazioni: Tel. 02.36744528; Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Sito internet: www.stillfotografia.it/