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Baldo Pellegrini, apertura della Galleria Milano nella nuova sede, ingresso di via Turati, 1973 Courtesy Galleria Milano. 

 

Galleria Milano presenta Here. Between Not-yet and No-more. Ultima mostra site-specific negli spazi storici della galleria

 

Dopo quasi sessant’anni di attività, di cui quasi cinquanta nella sede di via Manin/via Turati, la Galleria Milano è costretta ad abbandonare i suoi spazi. 

La mostra collettiva site-specific Here. Between not-yet and no-more nasce dall’esigenza di riflettere su un luogo fondamentale per il mondo dell’arte milanese e non solo, un luogo che ha visto passare mezzo secolo di storia e dove si sono incontrate tante delle personalità che hanno rivoluzionato il linguaggio di quegli anni. Si tratta di un saluto corale, un momento collettivo non di addio, bensì di arrivederci con lo sguardo proiettato verso il futuro.

La mostra Here. Between not-yet and no-more, intende omaggiare lo spazio con interventi di circa quaranta artisti che sono stati invitati a dialogare con gli ambienti e il contesto della Galleria, nell’oggi, ma anche in virtù della memoria di ciò che è stato: tra il non ancora e il non più è l’adesso, l’istante nel mezzo, il momento sempre presente, precario e fragile perché in costante trasformazione, il qui da cui possiamo godere di uno sguardo privilegiato sul passato e il futuro che verrà. Le volte affrescate, il rumore dei passi sulle assi del pavimento, le maniglie, i dettagli liberty, i cornicioni, le sale, i due spazi di lavoro e i tanti dettagli dello spazio vengono rielaborati dallo sguardo attento e affettivo degli artisti, così come la memoria viva di ciò che è stato, il ricordo di Carla e l’odore persistente di sigaretta.

Era il 1973 quando Carla Pellegrini, insieme al marito Baldo, decideva di trasferire la Galleria Milano da via della Spiga all'attuale sede con doppio ingresso su via Manin e su via Turati. Se ora in via Turati le sedi delle case di moda fanno a gara per aggiudicarsi uno spazio, allora il contesto era ben diverso. C'erano i palazzi con le facciate in bugnato, gli uffici, le banche, i centri direttivi delle multinazionali, ma era anche un quartiere vivo, dove le persone erano parte di un tessuto sociale variegato ma dalle maglie salde. 

Non bastano i quarantanove anni di indefessa attività, non basta nemmeno il ruolo di riferimento che ha ricoperto e ricopre tuttora la Galleria Milano per l'arte contemporanea: la Galleria sarà costretta a chiudere i battenti della storica sede, ma pronta a reagire alle sfide sta preparando una nuova apertura.

Due uffici speculari, agli estremi opposti della galleria e due ampie sale espositive adiacenti, una delle quali con il soffitto affrescato dalla Scuola di Andrea Appiani tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento. Il parquet a spina di pesce antico e scricchiolante, le finestre altissime e piene di luce, la boiserie d'inizio Novecento, in quella che era in precedenza la sala da biliardo: tutt'altro che un white-cube, lo spazio della Galleria Milano ha ospitato negli anni più di trecento mostre con le opere di alcune delle voci che sono state in grado di aggiornare e cambiare il linguaggio dell'arte. Dalle personali di artisti con i quali ha stretto un sodalizio durato decenni, tra cui Enzo Mari (la sua Falce e martello del 1973 inaugurava lo spazio), Gianfranco Baruchello, Davide Mosconi, Vincenzo Ferrari, Valentina Berardinone, Grazia Varisco, Antonio Calderara, Luigi Veronesi, ma anche le collettive dedicate alla Pop Art inglese, alla Geografia e a tematiche urgenti, sempre in collaborazione con i critici e i curatori più affermati.

Guardare indietro è una vertigine: il lavoro di Carla Pellegrini è stato instancabile e coraggioso, attento non solo a ciò che avveniva nell'arte, ma nel mondo. L'impegno politico è stato esplicito e generoso e Carla ha sempre cercato di rendere la Galleria un luogo inclusivo seppure in un contesto privilegiato, ospitando serate aperte a tutti.

Quando Carla è mancata nel 2019, il figlio Nicola Pellegrini, insieme a Toni Merola e Bianca Trevisan, ha accolto un’eredità storica importante, onorandola nel segno del rinnovamento, alternando mostre di ricerca filologia sugli autori storici (Enzo Mari, Betty Danon, Shusaku Arakawa) a personali di alcune delle voci più interessanti a livello nazionale (Pierluigi Fresia, Francesco Voltolina, Giovanni Oberti, Daniela Comani, Riccardo Arena, Cesare Viel) insieme ad un’attività editoriale in collaborazione con Humboldt Books e Kunstverein Publishing Milano.

 



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L'opera di Serena Vestrucci "Batter d’occhio" (2021) sarà acquistata dal Trust per l'Arte Contemporanea

 

L’opera di Serena Vestrucci Batter d’occhio (2021) sarà acquistata dal Trust per l’Arte Contemporanea per essere donata alla collezione permanente del MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna. 

La galleria Renata Fabbri arte contemporanea è lieta di annunciare che l’opera di Serena Vestrucci, Batter d’occhio, 2021 (tecnica: battiti di ciglia su tela, tempera, tre settimane, 170 x 210 cm) è stata scelta tra le cinque opere che saranno acquisite dal Trust per l'Arte Contemporanea tra quelle esposte alla 45ma edizione di Arte Fiera, per essere destinate alle collezioni permanenti del MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna

La selezione è stata effettuata dal Comitato Collezioni Pubbliche del Trust composto da Sarah Cosulich, Chiara Parisi e Claudio Spadoni, per un investimento totale di 30.000 euro. Il Trust per l’Arte Contemporanea, primo esempio realizzato in Italia in questo ambito, ha dato vita a un fondo dedicato all’arte del presente ed è costituito dalle risorse economiche messe a disposizione dai tre disponenti BolognaFiere, Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, dal donatore principale Gruppo Unipol e dal donatore sostenitore Emil Banca Credito Cooperativo.

A proposito di questo lavoro, l’artista dichiara: “Batter d’occhio è un disegno corale: una moltitudine di tracce di battiti di ciglia replicati e fermati su ampie superfici. Ho sempre pensato alle ciglia come pennelli che ognuno ha costantemente a disposizione e che, nel loro incessante movimento, lasciano segni incontrollati che graffiano l’aria. Il loro battito, istantaneo e inafferrabile, rimanda alla durata rapida e transitoria che intercorre tra uno sguardo e l’altro, allo stesso modo in cui è la nostra presenza: momentanea e fuggevole. Un richiamo alla collettività.”

Serena Vestrucci è nata a Milano nel 1986. Dopo la laurea triennale presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, si trasferisce a Venezia, dove nel 2011 vince la residenza presso gli atelier della Fondazione Bevilacqua La Masa e nel 2013 consegue la laurea magistrale in Progettazione e Produzione delle Arti Visive all’Università IUAV di Venezia.

Ha esposto il proprio lavoro in mostre personali presso numerose istituzioni italiane tra cui: Galleria Renata Fabbri, Milano (2021); Galleria FuoriCampo, Siena (2018); Galleria d’Arte Moderna, Verona (2017); Museo Archeologico Salinas, Palermo (2017); Marsèlleria Permanent Exhibition, Milano (2016); Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce, Genova (2015); Galleria Ottozoo, Milano (2013).

Tra le mostre collettive: Fondazione Stefan Gierowski, Varsavia (2022); Fondazione Made in Cloister, Napoli (2022); Fondazione Imago Mundi, Treviso (2021); Fondazione Pastificio Cerere, Roma (2020); Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce, Genova (2020 e 2015); Palazzo Del Medico, Carrara (2020); Museo della Fondazione Michetti, Francavilla al mare, Chieti (2020); Casa Testori, Novate Milanese (2019); Blitz, Valletta, Malta (2019); Istituto Italiano di Cultura, New York (2018); Istituto Italiano di Cultura, Londra (2018); Museo Santa Maria della Scala, Siena (2018); Palazzo Reale, Milano (2017 e 2015); Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2017, 2012 e 2010); FRISE Künstlerhaus, Amburgo (2014); Casa Masaccio, San Giovanni Valdarno (2014); Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino (2014); Galleria d’Arte Moderna, Milano (2012); Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia (2012); Stedelijk Museum, ‘S–Hertogenbosch (2011).

Nel 2017 vince la diciottesima edizione del Premio Cairo e viene selezionata dal Comune di Milano per la realizzazione di un’opera pubblica permanente nell’ambito della commissione di arte pubblica ArtLine Milano.

 



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 © Matteo Piazza.

 

Tiziana Lorenzelli "Naturalismo Cosmico" alla Cortesi Gallery

 

Trasforma gli spazi della galleria in un universo di installazioni metalliche e brillanti, alcune appositamente progettate per gli ambienti della Cortesi Gallery: Lava (2022) e Cobalt Blue Aluflexia Site Specific (2022).

Cortesi Gallery di Lugano è lieta di presentare Naturalismo Cosmico, mostra personale di Tiziana Lorenzelli a cura di Vera Canevazzi.

Artista eclettica e trasversale, Tiziana Lorenzelli (Lecco, 1961) trasforma gli spazi della galleria in un universo di installazioni metalliche e brillanti, alcune appositamente progettate per gli ambienti della Cortesi Gallery: Lava (2022) e Cobalt Blue Aluflexia Site Specific (2022). La mostra si sviluppa principalmente intorno al tema della Natura, intesa in tutte le sue forme terrestri e cosmiche, nei meccanismi di forze che la regolano e nella necessità, oggi sempre più impellente, di tutelarla. Questo legame viene evidenziato anche dalla scelta dei titoli delle opere, come Lugano Lake (2022), Lugano Moon (2022) e Cosmic Treasure (2022).

La Natura è concepita nella sua mutevolezza, nel suo continuo trasformarsi ed evolversi in relazione agli altri elementi, allo spazio che la circonda, alla luce e a noi spettatori che assistiamo a una cosmogonia dell’universo, al suo stesso crearsi e farsi mondo celeste. È proprio questa dimensione cosmico-spaziale dominata da campi di forze che Tiziana Lorenzelli vuole ricreare, facendoci immergere in vere e proprie costellazioni scultoree in cui ogni opera è studiata e realizzata insieme all’ambiente circostante, come nell’installazione Gold Fractalis (2021), composta da diciotto pepite dorate cucite tra di loro da sottili fili dorati.

Il tema della Natura, al centro della riflessione dell’artista da più di quarant’anni, è sempre stato veicolato dall’utilizzo di metalli, di recupero o di nuova produzione. Negli ultimi dieci anni l’attitudine alla sperimentazione di Tiziana Lorenzelli si è concentrata su un nuovo materiale, Aluflexia® Recyclable Alluminium, da lei stessa inventato: un sandwich di alluminio, al 100% riciclabile, flessibile e leggero, facilmente modellabile, in grado di mantenere la sua forma finale.

Con questo nuovo metallo Tiziana Lorenzelli ha creato tutte le opere in mostra, dalle grandi installazioni site-specific, alle piccole sculture “volanti”, ai Gold Contraction (2022), in cui le lamine dorate sono accartocciate in telai di ferro che le riportano a una dimensione di “quadro”, fino al Cobalt Blue Table (2022), in cui Aluflexia® blu è piegata e disposta all’interno di un tavolo-teca in plexiglass che richiama l’ex-voto donato a Santa Rita da Cascia da Yves Klein, artista molto amato dalla Lorenzelli.

Nel lavoro della Lorenzelli la ricerca formale è sempre stata arricchita dalle sperimentazioni sulle nuove tecnologie. Da anni è ad esempio concentrata sull'utilizzo dei magneti, con cui affigge le sculture al muro, arrivando fino alle sospensioni gravitazionali delle Flying Sculptures. 

Recentemente ha inoltre realizzato delle opere in NFT: una serie di disegni “stroboscopici” trasformati in crypto arte e l’opera Cobalt Blu Door (2022), video in cui l’omonima installazione in Aluflexia® blu si trasforma ed evolve in un flusso denso e magmatico.

Tiziana Lorenzelli (Lecco, 1961) è un’artista, architetto, designer, autrice e docente. Laureatasi in Architettura al Politecnico di Milano nel 1984, dal 1990 al 1992 si trasferisce a Los Angeles, per insegnare Disegno Industriale all’Università di California (UCLA) e all’Art Center College of Design di Pasadena. Giornalista pubblicista dal 1989, scrive per il quotidiano digitale «Il Giornale d’Italia», ha collaborato con riviste specializzate tra cui «Abitare», «Domus», «Interni», «Modo» e «Ottagono» e ha pubblicato diversi libri. Svolge attività professionale come architetto e come designer, i suoi progetti sono stati insigniti con diversi premi e menzioni ed è titolare di alcuni brevetti. Sin dalla metà degli anni Ottanta affianca alla sua produzione progettuale quella artistica, concentrandosi sul tema della Natura attraverso l’utilizzo di metalli di recupero o di nuova produzione. Così tra il 1985 e il 1993 crea gli Alberi Elettrologici, serie di sculture ispirate alla Natura e al tema del riciclo, composte da scarti metallici trovati nei cassoni delle industrie lecchesi. Queste opere sono state pubblicate su diverse riviste dell’epoca ed esposte per la prima volta nel 1989 alla Biennale dei Giovani Artisti al Castello di Sartirana e a Villa Bernocchi. Dal 1997 Tiziana Lorenzelli comincia a insegnare Disegno Industriale con continuità alla Facoltà di Design del Politecnico di Milano e dal 2008 presso la Facoltà di Ingegneria di Brescia. In questi anni prosegue la sua ricerca sulle potenzialità di nuovi materiali sia nel design che nell’arte. Nel 2009 elabora un nuovo materiale molto sofisticato, Aluflexia®, inizialmente concepito dall’artista per il vaso FOIL (oggetto di design premiato nel 2011 all’International Design Award di Los Angeles) e successivamente utilizzato per una nuova serie di sculture ispirate alla Natura e al Cosmo, esposte per la prima volta nel 2012 nella mostra 100% Recyclable allo spazio MEAND a Saint Moritz. Nel 2019 Lorenzelli inserisce alcune di queste opere nella collettiva The Nascence presso la Oblong Contemporary Art Gallery di Dubai a cui farà seguito nel 2021 la personale Goldish nella sede di Forte dei Marmi, esposizione che ha visto il coinvolgimento dell’artista Agostino Ferrari, maestro che assegna alla ricerca di Tiziana Lorenzelli la definizione di “Naturalismo Cosmico”. Lorenzelli ha partecipato a diverse mostre collettive, tra cui Architect’s Art nella Gallery of Functional Art a Santa Monica (Santa Monica, 1992), Arte a Bordo, 41 Artisti per Costa Diadema (2014) e Surprise allo Superstudio Più (Milano, 2021).

 



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Fondazione Pastificio Cerere presenta "The world that I dream"

 

La mostra presenta una riflessione sulla natura dell’architettura in relazione all’azione astratta del montaggio e al ruolo dell’archivio, inteso come strumento di progettazione.

Lunedì 16 maggio 2022 la Fondazione Pastificio Cerere presenta The world that I dream, la personale di Luca Galofaro a cura di Abdelkader Damani, aperta al pubblico da martedì 17 maggio a mercoledì 20 luglio 2022 e secondo appuntamento di “The Archive Project”, un programma di mostre a cura di CAMPO.

The world that I dream presenta una riflessione sulla natura dell’architettura in relazione all’azione astratta del montaggio -considerato come un metodo per definire le possibilità che si aprono allo sguardo dell’architetto-  e al ruolo dell’archivio, inteso come strumento di progettazione.

La mostra è una raccolta di immagini di tipo diverso, alcune inviolate altre profanate, che si trasformano in modelli e danno forma ad un’idea di mondo: ogni architetto definisce la propria visione attraverso una ricomposizione di segni e forme che ha collezionato nel tempo. Quest’insieme di frammenti è custodito nella memoria di ognuno. Il progetto è la risultante di un montaggio inconsapevole. L’archivio gioca un ruolo essenziale nello sviluppo del lavoro che concorre alla costituzione dell’architettura, permette da una parte di custodirne la memoria, dall’altra contribuisce a creare un immaginario. Galofaro compie un’azione di riscrittura delle narrazioni del passato e Abdelkader Damani la definisce come un'utopia mnemonica, una Metopia, in quanto introduce nuovi assemblaggi narrativi, liberandosi da ogni forma codificata in precedenza.

Il percorso espositivo si articola in tre stanze, nella prima sono esposte Postcards (2010-2022), una serie di cartoline in cui i luoghi rappresentati assumono un ruolo chiave nella definizione dei montaggi: alcune non vengono modificate e sono la testimonianza di edifici che non esistono più, altre incontrano frammenti di architetture e oggetti che si trasformano in un flusso in cui i significati nascono da ciò che apparentemente non è correlato. Le cartoline perdono il loro status di corpo monumentale e di fonte documentale. Un modo per pensare assieme tempo e immagine non come palinsesti interpretativi diversi ma congiunti, l'immagine diventa il centro di una riflessione sul tempo del progetto.

Nella seconda stanza si incontrano le Immagini trovate, montaggi di fotografie estratte da libri che non hanno nessun legame diretto con l’architettura, sono frutto di un incontro accidentale e, catalogate per temi, contribuiscono a sperimentare luoghi e forme.

La terza stanza ospita What's left of the world (2019-2022) e The hidden memory of images (2021-2022), immagini dialettiche che diventano modelli con un carattere seriale. L’accostamento delle immagini, per quanto differenti siano, crea sempre una trasformazione, un’apertura del nostro sguardo. Il montaggio è usato come sistema d’annotazione di idee, produce strategie narrative attraverso operazioni semplici: moltiplicazione di segni, cambi di scala, inversioni, innesti, sovrapposizioni, cancellazioni. Operazioni utili per porsi delle questioni relative al progetto che solo in un secondo tempo possono essere applicate all’architettura. 

Il mondo che si crea quando sogno è un mondo dove le immagini si incontrano e diventano le parole di un discorso sull’architettura” così Luca Galofaro indica poeticamente il suo metodo di ricerca e lavoro, che accosta rappresentazioni trovate nei mercati, estratte dai libri e fotografie scattate durante i viaggi, a forme, oggetti e architetture appartenenti al suo archivio personale. Le immagini in mostra definiscono una strategia operativa piuttosto che una teoria.

Biografie

Luca Galofaro, architetto, è professore associato presso l'Università di Camerino. Tra i fondatori dello studio LGSMA e IaN+, con il quale Ha vinto la Medaglia d’Oro dell’architettura Italiana per l’opera prima (2006) ed è stato tra i finalisti dell’Aga Khan Award (2013) e dello Iakov Chernikhov International Prize (2010). Ha esposto i suoi lavori in sette edizioni della Biennale di Venezia, alcuni dei sui progetti e disegni sono parte della collezione permanente del Frac Centre val de Loire e della collezione del MAXXI di Roma.  La sua ricerca si concentra sulla relazione fra l’architettura, la teoria e la pratica curatoriale.  Nel 2017 e 2019 è curatore di due diverse edizioni della Biennale di Architettura di Orleans al Frac Centre val de Loire. Nel 2015 è tra i fondatori della piattaforma di ricerca CAMPO. Tra le sue pubblicazioni Artscapes. Art as an approach to contemporary landscape (Editorial Gustavo Gili, 2003),  An Atlas of Imagination (DAMDI, 2015), Marcher dans le rave d’un autre (Les presses du reel 2017),Years of solitude (Les presses du reel 2019), Questo non è un manifesto (Letteraventidue, 2021)

Abdelkader Damani, storico dell’arte e architetto, è direttore del Frac Centre-Val de Loire  ad Orléans dal 2015 e ha realizzato la prima Biennale d'Architettura di Orléans nel 2017. Nel 2019, è stato il curatore della prima Biennale di Rabat e il co-curatore della seconda Biennale di Architettura di Orléans. Tra il 2007 e il 2015 ha guidato il programma "VEDUTA" alla Biennale d'Arte Contemporanea di Lione. Nel 2014, ha co-curato la Biennale di Dakar (Our Common Futur, Dak'ART 2014).

CAMPO è uno spazio per discutere, studiare e celebrare l’architettura fondato a Roma nel 2015 da Gianfranco Bombaci, Matteo Costanzo, Luca Galofaro e Davide Sacconi. www.campo.space

 



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Carlo Valsecchi, # 01135 Rotzo, Vicenza, IT. 2020, C-Print, plexiglass con/with dibond, 180 x 220 cm © Carlo Valsecchi

Collezione Maramotti presenta Bellum di Carlo Valsecchi

 

Un nuovo progetto artistico commissionato a Carlo Valsecchi.

In occasione del Festival di Fotografia Europea 2022, dedicato al tema “un’invincibile estate” – tratto da “Ritorno a Tipasa” di Albert Camus, un inno alla capacità di resistere alle avversità e alla creazione di nuove reazioni e considerazioni sull’esistenza umana – Collezione Maramotti presenta Bellum, un nuovo progetto artistico commissionato a Carlo Valsecchi.

Le quarantaquattro fotografie di grande formato che costituiscono Bellum – tutte presenti nel volume che accompagna la mostra, e di cui una ventina in esposizione – raccontano il conflitto ancestrale tra uomo e natura e tra uomo e uomo; l’uso della natura come difesa dall’altro uomo e parimenti la difesa dell’uomo dalla natura. Con la montagna come sua simbolica rappresentazione – espressione naturale estrema e insieme luogo dell’ultima guerra di posizione – il progetto origina da un’esplorazione dei territori e delle costruzioni fortificate del nord-est italiano legati al primo conflitto mondiale, uno degli ultimi momenti nella storia dell’umanità occidentale in cui il destino e l’esperienza dell’uomo erano strettamente connessi all’ambiente naturale, alla sua conformazione, alle sue leggi e al suo controllo. Cosa resta di quel paesaggio di un secolo fa? Quali sono le tracce del patto che l’umanità aveva stretto, in quel momento storico, con la natura?

Attraverso un lavoro durato circa tre anni, Valsecchi ha percorso quelle montagne con il suo banco ottico, dall’inverno alla primavera si è messo in ascolto di quei luoghi per affacciarsi sull’abisso di un conflitto cieco, sublimando nei suoi scatti una realtà cruda in forma spesso astratta, intimamente estetica e assoluta nella sua essenza. Le immagini di Bellum diventano squarci, portali fatti di luce e composizione, sospesi in un tempo senza termine tra silenzio, isolamento e attesa.

Stretti passaggi e cunicoli, trincee abitate da corpi perduti e rinata vegetazione; interstizi e fenditure, cavità rocciose, lacerazioni interne e interiori; forti militari e i loro resti, intrappolati tra il bianco compatto della neve e il bianco abbacinante della luce, sipari tra la realtà presente e un indefinibile oltre, un orizzonte negato; arche-rifugio e luoghi di morte, piattaforme di artiglieria, cupole metalliche, grotte e pareti bruciate da centinaia di esplosioni, riconquistate da muschi e concrezioni organiche e minerali, (di)segnate dall’umidità; boschi evanescenti velati dalla nebbia o dall’aria fitta della neve, schermi di rami intricati che occultano il paesaggio retrostante; pozzanghere e specchi d’acqua opaca che riflettono, metallici, il cielo sopra la montagna. In questa serie di fotografie di Valsecchi, densa di analogie visive e concettuali, la natura talvolta si fa architettura o si antropomorfizza, mentre il costruito si ibrida con l’ambiente naturale in un processo di scambio e mimesi reciproci, in cui tuttavia risuonano silenziosi i cicli della natura e lo scorrere del tempo – il lento processo di mutamento e di cancellazione del passaggio dell’uomo e dei suoi segni inesorabilmente effimeri sulla terra.

In occasione della mostra sarà pubblicato un libro omonimo con testi di Florian Ebner, curatore capo del Cabinet de la Photographie del Centre Pompidou di Parigi, e Yehuda E. Safran, critico d’arte e di architettura e professore presso il Pratt Institute di New York.

1° maggio – 31 luglio 2022

Visita con ingresso libero negli orari di apertura della collezione permanente.

Giovedì e venerdì 14.30 – 18.30
Sabato e domenica 10.30 – 18.30

L’apertura al pubblico della Collezione e della mostra è soggetta alle disposizioni governative per il contenimento della pandemia.

Per accedere alla Collezione è necessario indossare la mascherina di tipo chirurgico o superiore.
 

Note biografiche

Carlo Valsecchi (nato a Brescia nel 1965) vive e lavora a Milano.

Dopo essere stato selezionato per la Biennale di Architettura di Venezia nel 1992, il suo lavoro è stato esposto in numerose istituzioni in tutto il mondo. Tra le ultime mostre personali: The Open Box, Milano (2019); Salone degli Incamminati, Pinacoteca Nazionale di Bologna (2019); Ex Ospedale dei Bastardini, Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro, Bologna (2017); Galerie Walter Keller, Zurigo (2013); Mart, Rovereto (2011); Galleria Carla Sozzani, Milano (2011); Musée de l’Elysée, Losanna (2009). Ha inoltre preso parte a numerose mostre collettive, tra cui di recente: MMCA Seoul (2018); Fondazione MAST, Bologna (2016, 2015); Palazzo Da Mosto, Festival di Fotografia Europea, Reggio Emilia (2015); Museo della Merda, Piacenza (2015); Somerset House, Londra (2013); Ivorypress, Madrid (2012).

 



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 Maria Cristina Carlini, Prometeo, legno di recupero, copyright Mimmo Capurso.

 

Maria Cristina Carlini "La forza delle idee"

 

In mostra alla Fondazione Stelline una personale di Maria Cristina Carlini con sculture monumentali e opere inedite di piccole e grandi dimensioni presenti nella Sala del Collezionista e nel Chiostro della Magnolia.

Torna la grande scultura alla Fondazione Stelline con la mostra Maria Cristina Carlini La forza delle idee, a cura di Vittoria Coen. Si tratta di una nuova prestigiosa personale presentata nella Sala del Collezionista e nel suggestivo Chiostro della Magnolia: dal 5 maggio al 12 giugno 2022, sculture monumentali insieme a opere di piccole e grandi dimensioni danno vita a un percorso espositivo che nasce dalla fluidità del pensiero dell’artista e riunisce numerosi inediti in un crescendo di emozioni.

La selezione di opere esposte esprime la forza e la tenacia del percorso dell’artista e delle sue idee con cui plasma la materia, ma anche lo spazio e il tempo e li trasforma in scultura universale dando forma, come afferma la curatrice, «alla magia di una partitura tesa a creare un concerto unico di vibrazioni cosmiche». Maria Cristina Carlini approfondisce il proprio legame verso la terra e i materiali naturali, simboli arcaici capaci di suscitare ricordi ancestrali spesso sopiti, facendo della memoria individuale e collettiva un punto chiave della sua poetica.

Il percorso espositivo si apre con Scudi un’installazione del 1998 mai esposta e composta da tre alti pali in ferro interrotti da moduli policromi che assumono una valenza totemica intima e antica.
L’attenta scelta del materiale e dei suoi accostamenti rappresenta da sempre una peculiarità dell’arte di Maria Cristina Carlini. Così prende forma, nel 2021, la scultura Filemone e Bauci, composta da due grandi dischi di legno di recupero impreziositi da rivoli e “spugnature” d’oro, incastonati in una struttura in ferro che li sostiene e li custodisce immobili in un tempo sospeso.
Il flusso inarrestabile del suo pensiero artistico si rivela nelle vibranti colonne “tortili”, in grès e ferro, di Castore e Polluce (2022), due disarmanti racconti che creano un’astrazione inedita e personale, evocano la terra e la sua forza, una materia viva e in continuo mutamento.
Alle opere di grandi dimensioni si intervallano lavori più piccoli ma non meno significativi nella poetica della scultrice, come i Libri in lamiera o i volumi tormentati e instabili di Guerra.
L’esposizione culmina nel rincorrersi di luci e ombre di Prometeo (2022), da cui sgorgano con forza la storia e i suoi ricorsi: tre alti tronchi scavati e illuminati evocano, con la loro imponente fragilità, memorie e ferite frutto di un passato dimenticato ma tangibile.

Nella cornice storica e coinvolgente del Chiostro della Magnolia le sculture monumentali poste sul prato instaurano un dialogo affascinante con l’architettura che si riflette nell’immobile specchio d’acqua dei Fantasmi del lago, moduli in lamiera policroma che corrono evanescenti verso il cielo; l’opera I guardiani del segreto entra in sintonia con la natura racchiusa nel chiostro, il legno di recupero si alterna all’acciaio corten in una sovrapposizione di materiali in cui prevalgono l’equilibrio e l’armonia delle forme che troviamo anche in Incontro, un susseguirsi di linee e volumi in continuo divenire.

In mostra è possibile ammirare il docufilm Maria Cristina Carlini. Geologie memorie della terra, realizzato nel 2020 da Storyville, che affronta con sguardo intimo e privato la vita dell’artista al lavoro nel suo studio; la voce narrante di Maria Cristina Carlini accompagna in un viaggio tra le sue opere e il ritmo rarefatto del laboratorio.

Accompagna la mostra una breve pubblicazione bilingue con testo introduttivo di Vittoria Coen e le immagini delle opere esposte.

Maria Cristina Carlini inizia il proprio percorso artistico con la lavorazione della ceramica a Palo Alto in California, successivamente prosegue la sua attività a Bruxelles, dove contemporaneamente insegna a lavorare al tornio; si trasferisce poi a Milano e si dedica esclusivamente alla scultura. Da questo momento, oltre al grès e alla terra, entrano a far parte della sua espressività materiali come il ferro, la lamiera, lacciaio corten e il legno di recupero. Maria Cristina Carlini dà vita a opere che spaziano dalle piccole dimensioni alle monumentali; la sua carriera è costellata da riconoscimenti, mostre personali e collettive in diverse sedi pubbliche e private, nazionali e internazionali, e le sue sculture monumentali sono presenti in permanenza in Europa, America e Asia. Attualmente vive e lavora a Milano, dove il suo atelier è una fucina attiva in cui prosegue la propria attività creativa.        
www.mariacristinacarlini.com


MARIA CRISTINA CARLINI. LA FORZA DELLE IDEE
a cura di Vittoria Coen
Dal 5 maggio al 12 giugno 2022
Orario: martedì – domenica, h. 10.00-20.00 (chiuso il lunedì)
Ingresso gratuito, con obbligo di Green Pass Rafforzato e mascherine FFP2, o comunque come da disposizioni in vigore
Fondazione Stelline, c.so Magenta 61, Milano
Info: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. | www.stelline.it