art week

 

Spazio Choisi espone A FOLKTALE FROM VIETNAM: Speeding Motorcycle and Roasted Lemograss

Il progetto è il risultato di otto anni di ricerca e produzione di una serie di fotografie realizzate in Vietnam da Gianpaolo Arena. 

Spazio Choisi espone A FOLKTALE FROM VIETNAM: Speeding Motorcycle and Roasted Lemograss. Il progetto è il risultato di otto anni di ricerca e produzione di una serie di fotografierealizzate in Vietnam da Gianpaolo Arena negli anni 2013, 2015 e 2018, e che esaminano ilcomplesso legame tra paesaggio e civilizzazione, catturando gli usi e costumi della società contemporanea. Il fotografo indaga il presente e il futuro della città, il connubio e il dialogo di periodi e culture differentitra loro.

Tra segni di comunismo e desiderio di consumismo, negli ultimi vent’anni il Vietnam sta vivendo unadelle transizioni urbane più vigorose del sud est asiatico, legata ad uno straordinario e costantesviluppo economico che secondo le previsioni si rafforzerà ancora nei prossimi decenni. Se da unaparte la crescita economica del capitalismo asiatico ha portato numerosi benefici per l’intero paese,dall’altra sono sempre più evidenti tutte le fragilità che uno sviluppo urbano così repentino eaggressivo ha generato. Tuttavia, è proprio nelle contraddittorie intercapedini tra questi due aspettiche si sono definiti l’identità e il carattere urbano delle città vietnamite e dell’intero paese.

Simona Galateo da Vietnam: lo sviluppo urbano fra tradizione e globalizzazione.

Il libro, a cura di Chiara Capodici, è stato pubblicato nel 2021 dall'editore berlinese The Velvet Cell, fondato da Eanna de Freine.

Gianpaolo Arena (1975, Italia) sviluppa progetti di ricerca su tematiche ambientali, documentarie esociali. Il suo lavoro utilizza il paesaggio e il ritratto come modalità per investigare la rappresentazionedegli spazi antropizzati e la sostenibilità delle città contemporanee. Dal 2010 è curatore del magazinedi fotografia internazionale Landscape Stories e organizza workshop, progetti editoriali ed espositivi.È co-fondatore di CALAMITA/Á (2013-ongoing). Nel 2016 è stato nominato tra i curatori del Padiglione Venezia per la Biennale di Architettura. Nel 2020 è curatore del progetto MH ART PROJECT. Il lavoro di Arena è stato esposto in numeroseistituzioni e festival fotografici nazionali (Triennale di Milano; MACRO — Museo d’ArteContemporanea di Roma; SI Fest) ed internazionali (X Biennale di Architettura di San Paolo, Brasile con lo studio Latitude Platform; Alt+1000, Rossinière, Svizzera).

INFO

Inaugurazione: 29.01.2022, ore 15:00

Inaugurazione: 29.01.2022, ore 15:00

Primo piano di Via Pelli 13, 6900 Lugano

Periodo di esposizione 29.01.2022 - 26.03.2022

 



art week

Cesare Viel, Massi da scogliera, 2021, Courtesy Cesare Viel e Galleria Milano

 

La Galleria Milano è lieta di presentare "Condividere frasi in un campo allargato", mostra personale di Cesare Viel

Artista tra i  vincitori della X edizione dell'Italian Council.

La Galleria Milano è lieta di presentare Condividere frasi in un campo allargato, mostra personale di Cesare Viel, tra i vincitori della X edizione dell'Italian Council.

Il progetto ha un’anima dialogica: l’artista, tra la fine del 2020 e la fine del 2021, ha invitato amici e colleghi a scrivere una frase per loro significativa, particolarmente adeguata allo specifico vissuto del momento presente, e quindi condividerla con lui. Le frasi vengono poi trascritte a mano dall’artista su singoli fogli. Il risultato è un’installazione lungo tutto lo spazio espositivo della galleria, un mare metaforico attraverso il quale camminare percorrendo passerelle rialzate. Dall’incontro tra soggettivo e plurale, personale e collettivo scaturisce un momento immersivo di riflessione sul tempo che stiamo vivendo e i processi trasformativi da esso scaturiti. Questo paesaggio di frasi, da intendersi come un campo allargato, secondo la prospettiva di Rosalind Krauss, si sviluppa volutamente secondo una linea orizzontale, che ne riflette la coralità, in contrasto con la verticalità dell’impostazione autoriale. A far da contraltare alle parole altrui sono infatti alcuni fogli incorniciati e appesi alle pareti, questa volta con scritti composti e pensati da Viel stesso.

In dialogo con l’installazione sono alcuni disegni a grafite raffiguranti massi da scogliera utilizzati come moli o barriere anti-erosione sulla costa e in alcune spiagge del Ponente Ligure, tra cui Noli, Sanremo e Spotorno. Ancora una volta un paesaggio, vasto, familiare, privato e collettivo insieme, ligure come l’artista, che vive da molti anni a Genova, ma anche trentino, dolomitico, un luogo affettivo, il “paesaggio essenziale” dei suoi genitori. Come racconta l’artista, “guardare i disegni di questi massi, una volta finiti, produce in me una dolcezza intensa, imprevista, in contrasto con la durezza reale della pietra, ma solo apparentemente, perché in fondo, in questo caso, dolcezza e durezza si accoppiano e si mescolano in un nuovo ulteriore orizzonte”.

La mostra è realizzata in collaborazione con la Galleria Pinksummer di Genova.

Cesare Viel (Chivasso, 1964) vive e lavora a Genova, dove insegna all’Accademia Ligustica di Belle Arti. Espone in Italia e all’estero dalla fine degli anni Ottanta in gallerie private, musei e fondazioni. Nel 1991 si laurea in Lettere Moderne all’Università di Genova. Nel 1998 vince il “Premio Francesca Alinovi”. Nel 1999 partecipa al progetto collettivo Oreste alla Biennale, in occasione della 48esima edizione della Biennale d’Arte di Venezia. La sua prima retrospettiva, nel 2008, si è tenuta al Museo d’Arte Contemporanea-Villa Croce di Genova; nel 2019 il PAC, Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano, gli ha dedicato una personale, con un catalogo monografico edito da Silvana Editoriale. Nel 2020 espone presso la Galleria Pinksummer di Genova con una mostra dal titolo “Scrivere il giardino”. Nel 2021 risulta tra i vincitori della X edizione dell’Italian Council.

 

 



art week

1970, Viaggio in Italia.

 

GióMARCONI presenta Emilio TADINI Viaggio in Italia

Durante l'inaugurazione verrà presentata la nuova pubblicazione Emilio Tadini. La realtà dell'immagine 1968-1972 di Francesco Guzzetti, edita da Fondazione Marconi / Mousse Publishing in collaborazione con l'Archivio Emilio Tadini.

A vent’anni dalla scomparsa di Emilio Tadini, dal 4 febbraio al 5 marzo 2022 Gió Marconi ospita Viaggio in Italia, una mostra con opere dell'omonima serie dei primi anni Settanta dell'artista milanese, esposte per la prima volta nel 1971 dallo Studio Marconi. In occasione della mostra, sarà presentata la nuova pubblicazione Emilio Tadini. La realtà dell'immagine 1968-1972 di Francesco Guzzetti, edita da Fondazione Marconi / Mousse Publishing in collaborazione con l'Archivio Emilio Tadini.

L'intera opera di Emilio Tadini, apparentemente semplice e immediata, offre molteplici livelli di lettura: le immagini emergono in un procedimento freudiano di relazioni e associazioni tra elementi onirici, oggetti quotidiani, personaggi anonimi e spesso senza volto. Considerato una delle figure più originali del dibattito culturale del secondo dopoguerra italiano, Tadini ha adottato aspetti del linguaggio Pop quando il movimento era già in declino, ma il suo interesse per l'inconscio e l'irrazionale lo ha indotto a rappresentare scene di frammentazione e alienazione che ricordano il Surrealismo, con riferimenti tanto alla Metafisica di de Chirico quanto alla psicanalisi di Lacan e Freud. Nasceva così il suo Realismo Integrale.

Tadini ha sempre avuto un approccio seriale alla pittura: da un’immagine ne scaturiscono altre, per progressive modificazioni e alterazioni. Ogni volta l’artista produce un racconto, tanto che la sua pittura cresce a cicli, come una serie di romanzi a puntate, in cui le leggi di spazio e tempo e quelle della gravità sono totalmente annullate. Onnipresenti nella serie Viaggio in Italia sono le figure solitarie e senza testa, già protagoniste di alcuni suoi primi cicli di lavori, come L'uomo dell'organizzazione (1968) o Vita di Voltaire (1967). Le creature di Tadini sono costituite da corpi, movimenti e gesti ma non hanno né volti né teste: ricordando il teatro epico di Brecht, aggiungono un effetto di alienazione delle sue opere.

Per un intellettuale come Tadini sembra quasi impossibile guardare Viaggio in Italia senza pensare all'omonimo diario di viaggio di Johann Wolfgang Goethe, in cui l'autore descrive il suo soggiorno italiano dal settembre 1786 al maggio 1788. Una notevole somiglianza tra i due Viaggi in Italia è che Goethe, così come Tadini, fa molto affidamento sulle immagini autoprodotte e sui propri repertori visivi: mentre visita l'Italia, Goethe disegna e produce numerosi acquerelli, mentre Tadini per i suoi quadri si rifà a una miriade di immagini fotografiche che ha scattato e archiviato ordinatamente. I disegni preparatori e le fotografie sono i primi riferimenti di ciò che alla fine sarà tradotto in testo e su tela.

In uno dei dipinti di grandi dimensioni della serie Viaggio in Italia, Tadini cita il noto acquerello di Johann Heinrich Wilhelm Tischbein Goethe am Fenster der römischen Wohnung am Corso, raffigurante Goethe in piedi di spalle che guarda fuori dalla finestra. La versione di Tadini mostra sia le finestre aperte che quelle chiuse e conferisce alla figura, in piedi senza testa, lo stesso identico outfit dell’originale – calze lunghe, un paio di pantaloni alla zuava e camicia. Nel suo diario, Goethe è stato particolarmente attento all'architettura antica italiana, alla geografia, geologia e botanica della penisola, e ha riportato molteplici osservazioni mineralogiche. Tadini sembra rispecchiare quell'interesse nelle sue rappresentazioni ricorrenti di forme architettoniche, cilindri, cubi e piramidi di diversi tipi di marmi e rocce. 

Come in precedenti lavori, Tadini utilizza motivi ricorrenti: un elemento piramidale a strisce bianche e nere, una figura femminile in piedi senza testa, un telefono, un cappello coloniale o un rossetto rosso. Attraverso la scelta degli oggetti rende il suo viaggio più concreto. Il suo viaggio italiano riguarda la vita quotidiana contemporanea, come suggeriscono il telefono, le lettere (ci)nema, gli eleganti abiti femminili, i vari oggetti di design o la scultura di Calder.

Pur includendo riferimenti all'antichità, Viaggio in Italia di Tadini tocca anche i campi del design, dell'arte, della cultura, della moda e dello stile. La sua visione italiana unisce il passato con la modernità. Questo punto di vista strettamente oggettuale, in cui la riflessione su diversi tipi di oggetti porta a una migliore conoscenza di sé, avvicina il Viaggio in Italia di Goethe a quello di Tadini che sosteneva “L'arte come mezzo per intensificare la percettibilità delle cose”. Georg F. Schwarbaner lo riassume in poche parole: “Ogni oggetto, ogni simbolo, ogni frammento di una frase e di una parola ha il suo significato specifico. Le opere di Tadini somigliano a un'enciclopedia di immagini del nostro secolo”.

 

 



art week

© JOEL-MEYEROWITZ, NEW YORK CITY 1974.

 

JOEL MEYEROWITZ. Leica Hall of Fame 2016

L’esposizione presenta cinquanta fotografie che ripercorrono la carriera di uno dei massimi protagonisti della street photography, tra i primi a fare del colore un elemento essenziale del suo linguaggio.

Dal 25 gennaio al 2 aprile 2022, Leica Galerie Milano, in via Giuseppe Mengoni 4 (angolo piazza Duomo), ospita una mostra dedicata a Joel Meyerowitz (New York, 1938), grande maestro della fotografia contemporanea, uno dei massimi protagonisti della street photography, tra i primi a fare del colore un elemento essenziale del suo linguaggio artistico negli anni sessanta e settanta del secolo scorso, premiato con il Leica Hall of Fame 2016, riconoscimento che celebra autori che hanno contribuito all’evoluzione del linguaggio fotografico e che hanno dato prestigio al marchio Leica.

L’esposizione, curata da Karin Rehn Kaufmann, art director Leica Galleries International, con l’adattamento di Denis Curti e Maurizio Beucci, presenta cinquanta fotografie capaci di ripercorrere i periodi più decisivi della sua carriera, scattate in diversi paesi e in molte città.

Dalle immagini catturate tra le strade di New York, ambiente perfetto per osservare le vicende della varia umanità che popola la grande città, a quelle raccolte durante un viaggio di un anno attraverso l’Europa a cavallo tra il 1966 e il 1967. Da quelle scattate a Parigi, tra cui spicca quella che ritrae la scena dell’uomo che sviene nella quasi indifferenza totale delle persone che gli stanno attorno, ai paesaggi spagnoli catturate attraverso il filtro del vetro dell’automobile in corsa; da Napoli a Malaga, dall’Irlanda alla Bulgaria, alla Germania, fino alla serie di Londra e del Regno Unito.

Il percorso prosegue inoltre con le fotografie, nuovamente colte negli Stati Uniti, in cui il colore divenne per lui un elemento ancora più importante.

“Spesso si parla di pionieri in fotografia – afferma Maurizio Beucci, ma ciò che va riconosciuto a Meyerowitz è invece un ruolo più simile a quello dell’esploratore. Se da un lato il pioniere si insedia dopo la scoperta, dall’altro Meyerowitz ha invece cambiato continuamente direzione nell’arco della sua straordinaria carriera. Un esploratore in tal senso, un uomo che non appena scoperto un luogo ne ha lasciato agli altri il presidio, cercando la strada per ribellarsi a ogni forma di sospensione artistica o espressiva. Linguaggio, evocazione e poetica del comune restano gli unici tratti persistenti e distintivi del suo fotografare”.

Figura preminente della cosiddetta street photography, Meyerowitz ha ispirato generazioni di artisti contemporanei. Decisivo, per il suo ingresso nel mondo della fotografia, fu l’incontro con Robert Frank nei primi anni sessanta, che conobbe nel corso del suo lavoro come art director per un’agenzia pubblicitaria.

A partire dal 1962, Meyerowitz comprese la portata rivoluzionaria che il colore, a quel tempo ritenuto un elemento superficiale e uno strumento nelle mani dei fotoamatori, introdusse nella fotografia per documentare fatti particolarmente importanti della società, come avvenimenti politici, eventi sportivi, ma anche momenti di contraddizione, così come di gioia e di entusiasmo nei confronti della vita.

Grazie alla sua intuizione, anche la carta stampata, che fino ad allora era solita utilizzare immagini in bianco e nero per illustrare gli articoli pubblicati, si converte al colore riconoscendogli una forte capacità di cogliere i momenti della quotidianità che si svolgeva tra le strade delle metropoli, dei grandi temi come la solitudine, l’incomunicabilità, degli scontri e delle proteste sociali.

Meyerowitz sfugge a qualsiasi collocazione storica. Capostipite della street photography più moderna, ne riscrive i codici linguistici che, all’interno di un apparente disordine, descrivono con armonia la vita e la quotidianità e soprattutto le contraddizioni e le paure ma anche la gioia di vivere.

Note biografiche
Joel Meyerowitz è nato a New York nel 1938 ed è cresciuto nel Bronx. Ha studiato pittura e inizialmente ha lavorato come art director pubblicitario. Meyerowitz iniziò a utilizzare le pellicole a colori 35 mm nel 1962. L’anno successivo, le alternò al bianco e nero prima di tornare alla ricchezza della narrazione a colori. New York è sempre rimasta l’obiettivo dominante della sua vita di fotografo, dai suoi primi lavori degli anni ‘60 alle sue immagini evocative scattate a Ground Zero all’indomani dell’11 settembre. Meyerowitz vive e lavora a New York e in Toscana.

 

 



art week

Derry, 1972. Barricate nel quartiere cattolico di Bogdside, copyright Gian Butturini.

 

GIAN BUTTURINI LONDRA 1969 – DERRY 1972. UN FOTOGRAFO CONTRO

L’obiettivo di uno dei fotoreporter italiani più originali racconta, attraverso 50 fotografie, le contraddizioni della capitale inglese alla fine degli anni sessanta e le tensioni politiche e sociali nell’Irlanda del Nord nei primi anni del decennio successivo, a cinquant’anni dal Bloody Sunday.

Dal 27 gennaio al 6 marzo 2022, STILL Fotografia a Milano (via Zamenhof 11) rende omaggio a Gian Butturini (1935-2006), uno dei fotoreporter italiani più originali e apprezzati a livello internazionale.

La rassegna, curata da Gigliola Foschi e Stefano Piantini, promossa dall’Associazione Gian Butturini, presenta cinquanta fotografie, tratte da due suoi lavori e suoi libri più famosi – London by Gian Butturini e Dall’Irlanda dopo Londonderry – che raccontano, da un lato, le contraddizioni di Londra alla fine degli anni sessanta, nel periodo passato alla storia come quello della Swinging London, quando cioè la capitale inglese era diventata un crogiuolo di nuove tendenze legate alla moda, alla musica, all’arte e alla cultura in genere, dall’altro, le tensioni politiche e sociali nell’Irlanda del Nord, seguiti al Bloody Sunday, la strage avvenuta a Derry il 30 gennaio 1972 quando l’esercito inglese fece fuoco sulla folla di manifestanti, uccidendone quattordici.

Butturini, che iniziò a scattare immagini sul conflitto nordirlandese una settimana dopo i fatti di Derry, testimonia la radicalizzazione della situazione politica e militare in quel paese.

Butturini non cerca di creare immagini volutamente forti, fissando azioni belliche o di protesta, quanto, da vero fotoreporter, far vedere e far capire ciò che sta accadendo. E lo fa con grande capacità di testimonianza, di composizione fotografica unite a una altrettanto notevole sensibilità politica e umana. Nelle atmosfere così cupe e minacciose, tra barricate, cavalli di frisia, fili spinati, soldati armati di mitragliatori, auto bruciate ai lati delle strade, Butturini ritrae i bambini, vittime innocenti in un drammatico conflitto.

La sezione dedicata a Londra racconta la capitale inglese da una prospettiva nuova, critica, non patinata e documenta le incursioni di Butturini tra le strade londinesi popolate da ragazze in minigonna, immigrati, junkie, emarginati, abitanti della City che sembrano vivere in un mondo a parte. È una Londra fuori dagli stereotipi quella che emerge dai suoi scatti, cogliendone tutte le contraddizioni con un occhio innovativo, dove indagine documentaria, interventi grafici e pagine scritte si coniugano a fini espressivi.

“Questa è una mostra – afferma Gigliola Foschi – in difesa della libertà di parola, immagine e pensiero. Una mostra contro una cancel culture che, senza confronto e senza discussione, nella liberale Inghilterra ha fatto ritirare dal commercio il libro London by Gian Butturini e infangato la figura di un uomo che per tutta la vita si era impegnato contro ogni forma di razzismo e d’ingiustizia”.

Fu infatti una doppia immagine con una donna di colore che vende i biglietti della metro chiusa dentro un bugigattolo e un gorilla in gabbia che, invece di suscitare indignazione nei confronti delle condizioni di due esseri viventi, entrambi giustamente intrappolati e discriminati, com’era nell’intento di Butturini, ha scatenato un’accusa di “razzismo conclamato”, costringendo l’editore a togliere il volume dalle librerie.

La mostra si chiude idealmente con una decina di gruppo di collage situazionisti, opere in cui Butturini, fotografo, ma anche grafico, interviene con colori e scritte graffianti su strisce di fumetti degli anni settanta. Batman o Nembo Kid, ad esempio, si trasformano in eroi della controcultura che rovesciano e stravolgono, in modo provocatorio, i significati proposti dalla cultura dominante.

Accompagna la mostra un libro edito STILL/Pazzini Editore con un testo di Gigliola Foschi.

Note biografiche

Gian Butturini (1935 – 2006), fotoreporter internazionale, poliedrico artista della comunicazione, si afferma da giovane a Brescia come designer e architetto d’interni. Nel 1969 pubblica London by Gian Butturini; nel 2017 esce il reprint del libro (Damiani editore) con prefazione di Martin Parr, successivamente ritirato dal commercio con l’accusa di “razzismo conclamato”, senza che questa potesse essere discussa. Ha realizzato quaranta libri fotografici, tra i quali Cuba 26 luglio, Dall’Irlanda dopo Londonderry, Tu Interni Io Libero con Franco Basaglia, C’era una volta il Muro; DONNE lo sguardo, le storie con introduzione di Carla Cerati e due volumi dedicati alla storia cilena. Nell’autobiografico DAIQUIRI (Edizioni Mimesis) ha narrato le cronache dei suoi reportage. Sue foto sono state esposte in Strange and Familiar al Barbican Centre di Londra, alla Manchester Art Gallery e alla Somerset House in occasione di PHOTO LONDON 2018. In qualità di regista ha prodotto documentari, tra i quali Crimini di Pace, con musiche di Luigi Nono, e Bologna, 10.15 strage. Ha inoltre realizzato il film Il Mondo degli Ultimi con Lino Capolicchio, premiato in vari festival internazionali. Il lascito culturale dell’autore è attualmente promosso dall’Associazione Gian Butturini. www.gianbutturini.com.

 

GIAN BUTTURINI. LONDRA 1969 – DERRY 1972. UN FOTOGRAFO CONTRO.

Dalla Swinging London al Bloody Sunday

Milano, Still Fotografia (Via Zamenhof, 11)

27 gennaio - 6 marzo 2022

Orari: martedì-venerdì, 10-18; giovedì, 10-19.30; sabato, 15-19

Informazioni: Tel. 02.36744528; Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Sito internet: www.stillfotografia.it/

 



art week

Antenate (dalla serie), 2021.

 

Fondazione Pastificio Cerere presenta "Sara Basta. La prima madre"

Sara Basta lavora sulle relazioni, indagando le tematiche dell’educazione e della co-creazione, del linguaggio e della memoria, in un passaggio continuo tra personale e collettivo.

Giovedì 27 gennaio 2022 la Fondazione Pastificio Cerere presenta La prima madre, una personale dell’artista Sara Basta a cura di Cecilia Canziani e Costanza Meli.

La mostra, che si estende lungo gli spazi del silos e il sotterraneo del mulino, entrambi ricavati dal recupero dell’antico Pastificio Cerere, resterà aperta al pubblico da venerdì 28 gennaio a sabato 26 marzo 2022Sara Basta lavora sulle relazioni, indagando le tematiche dell’educazione e della co-creazione, del linguaggio e della memoria, in un passaggio continuo tra personale e collettivo. Attraverso la condivisione di esperienze legate a un “fare” comune, mette in discussione gerarchie e ruoli.La prima madre è stata ideata come un percorso nella sua ricerca più recente. Un corpus di opere realizzate negli ultimi due anni che restituisce una mappa emozionale disegnata dal tempo dell’artista: a partire da quello presente, vissuto e scomposto nella sua ripetitività, fino al tempo del ricordo, della ricerca nella memoria familiare, e alla relazione ciclica tra nascita e morte.

Da tale relazione originaria, il percorso si dipana esplorando i nuclei tematici che caratterizzano diverse serie di lavori di Sara Basta: la madre, la casa, la cura, il corpo dell’artista come sede e manifestazione di fisicità ed emotività.Il percorso espositivo ha inizio con una serie di autoritratti ad acquarello realizzati ad occhi chiusi nei momenti strappati alla quotidianità alterata del lockdown, un tempo-circuito che avvolge i giornidell’artista nell’insistenza di un gesto che tenta di affermare la realtà fisica dell’immagine. Questa dialettica intima tra presenza e assenza si articola nella mostra attraverso le figure della maschera e del fantasma che trasformano la memoria in qualcosa di contingente, attraverso il gioco o la documentazione.In un’opera in stoffa il ricamo centrale delinea la sagoma dei capelli della madre dell’artista, mentre un’installazione sonora ne diffonde la voce flebile: “volevo registrare lo sgretolarsi della sua lingua mentre contemporaneamente la lingua di mio figlio si costruiva”. La relazione tra madre e lingua è centrale nella mostra, così come quella con la casa, uno spazio in cui i legami prendono forma mostrandosi nella loro complessità.

Biografia

Sara Basta vive e lavora a Roma. Le sue opere nascono da ricerche collettive e dalla creazione di piccole comunità temporanee tra persone che condividono narrazioni e dialogano attraverso un fare comune. Collabora con l’Accademia di Belle Arti di Roma, dove insegna Storia e Modelli per l’Arte Terapia e con cui ha realizzato diversi workshop approfondendo il tema dell’abitare e della natura. Principali mostre e progetti: Magic Carpets Landed, a cura di Bebedetta Carpi De Resmini, Kaunas, Lituania (2021) Babies are Knoking, a cura di Veronica He, Pia Lauro e Chiara Vigliotti, Studio Stefania Miscetti, Roma. Festival La fantastica, a cura di Benedetta Carpi De Resmini e Giulia Pardini, Polisportiva del Trullo Roma (2020); Grand Tour D’Italie cura di NOS Visual Art Production per il MiC; “Abito lo Spazio” per "School in Tandem" all'interno del dipartimento educativo di Manifesta12, a Palermo; Amore e Rivoluzione a cura di Fulvio Chimento, via del Mandrione, Roma (2019); Barba Rosa, con un testo di Silvia Litardi, 16Civico, Pescara; Tutorial Sirtaki, un progetto di “Passo a Due” per il Media Art Festival, Maxxi Roma - Hanji, Viaggio nei Territori della Carta, Istituto Culturale Coreano, Roma e Napoli (2018).

CONTATTI

Fondazione Pastificio CerereCoordinamento mostre e progetti: Claudia Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. | www.pastificiocerere.it | Tel. +39 06 45422960