Markus Schinwald

 Markus Schinwald, Katja, 2016, olio su tela

 

Markus Schinwald con "Misfits" alla Fondazione Coppola

Il titolo Misfits rinvia alle opere selezionate per la mostra e, idealmente, offre una chiave di lettura rappresentativa dell’intera produzione di Schinwald. 

La Fondazione Coppola riprende le proprie attività espositive con la personale dell’artista austriaco Markus Schinwald (Salisburgo, 1973), a cura di Davide Ferri. La mostra aprirà al pubblico dall’11 ottobre 2020 al 27 febbraio 2021.

Il titolo, Misfits, rinvia alle opere selezionate per la mostra e, idealmente, offre una chiave di lettura rappresentativa dell’intera produzione di Schinwald. Traducibile in italiano con il termine “disadattati”, Misfits fa riferimento ad alcune delle caratteristiche salienti dei lavori realizzati dall’artista austriaco negli ultimi vent’anni, opere in cui il corpo e la figura risultano corrotti da dettagli inquietanti e bloccati in pose stranianti, in un processo di manipolazione che può toccare anche oggetti d’uso come mobili e suppellettili.

Articolata nei cinque livelli del Torrione, la mostra include interventi di natura installativa e scultorea, così come dipinti e video: un corpus eterogeneo che testimonia l’eclettismo di Schinwald, ma che al tempo stesso lascia emergere in maniera limpida le costanti della sua poetica. Il percorso espositivo si apre con la serie delle Marionettes, un gruppo di dodici bambini raffigurati in pose e atteggiamenti che esprimono un senso di impazienza e lieve ribellione. Sostenuti e manovrati da fili sottili, battono i piedi e scuotono le braccia con movimenti ripetitivi, creando un ritmo visivo oltre che udibile. Come componenti di una piccola banda di gangster rivelano un aspetto fragile e grottesco, due qualità che connotano molti lavori in mostra.

Il primo e il secondo livello dell’edificio sono invece dedicati alla pittura di Schinwald, che, nel corso dell’ultimo decennio, è diventata paradigmatica di un approccio teso al confronto, insieme omaggiante e irriverente, con la tradizione pittorica, fondato sulla manomissione di ritratti ottocenteschi di personaggi aristocratici attraverso degli inserimenti stranianti – interferenze come protesi, maschere, cancellature, escrescenze – che alterano la sontuosa compostezza delle pose. I volti dipinti da Schinwald si trasformano così in immagini perturbanti, enigmatiche e tutt’altro che rassicuranti, entrando in collisione sia con gli ambienti in cui sono collocati – per lo più interni borghesi – sia con la tradizione più ampia del ritratto come genere pittorico. I personaggi emanano una strana tensione, generata dal contrasto tra la rispettabilità del loro rango e il senso di costrizione, ai limiti della depravazione, suggerito dagli elementi che ne schermano o ne alterano i volti.

La teatralità delle Marionettes e la dimensione sottilmente inquietante dei dipinti si ritrovano anche nei video che occupano il terzo e il quarto piano del Torrione. Orient A e Orient B, questi i titoli delle opere, sono pervasi/sostenuti da atmosfere misteriose e ambigue, e mostrano gruppi di performer – quasi figure corrispondenti a quelle dei dipinti – compiere azioni prive di senso apparente. Le figure sono alle prese con limiti fisici e movimenti che ne fiaccano i corpi, compiuti sullo sfondo di scenari abbandonati che alimentano il senso di decadenza e grottesca tragicità.

Il repertorio di Schinwald include anche sculture composte a partire dall’assemblaggio di gambe di tavoli in stile Chippendale, allestite nel punto più alto dell’edificio: l’osservatorio da cui si può scorgere una delle viste più affascinanti di Vicenza. È qua che si conclude il percorso ascensionale della mostra e nell’opera dell’artista austriaco, un crescendo che conduce a questa serie di sculture in cui ciò che è familiare assume contorni sinistri: le gambe dei tavoli sono trasfigurate in organismi alienanti, geneticamente modificati, che alludono a pose improbabili e gesti delicatamente erotici.

Che si tratti di figure umane o di oggetti, l’immaginario dell’artista tende sempre alla creazione di forme inquietanti e disarticolate.

La mostra offre dunque l’opportunità di uno sguardo ampio sulla poetica di uno degli artisti europei più importanti a livello internazionale che, dopo la consacrazione alla Biennale di Venezia del 2011, occasione nella quale Schinwald rappresentò il proprio paese, propone una nuova mostra personale in Italia, misurandosi con un’architettura carica di suggestioni, in grado di espandere e rilanciare energeticamente l’immaginario dell’artista.

La Fondazione consiglia prenotare la visita con anticipo in quanto la particolare conformazione architettonica del Torrione pone limiti di accesso. Per informazioni sulle modalità di accesso e prenotazioni: www.fondazionecoppola.org

INFO

Markus Schinwald

Misfits

A cura di Davide Ferri

Con il patrocinio di Comune di Vicenza

 motel

 

 

Fondazione Modena Arti Visive è lieta di presentare negli spazi del MATA la mostra collettiva MOTEL

La mostra riunisce, attraverso fotografie, video e installazioni, gli esiti delle ricerche degli studenti del Master sull’immagine contemporanea della Scuola di alta formazione di FMAV . 

Fondazione Modena Arti Visive è lieta di presentare negli spazi del MATA la mostra collettiva MOTEL, che riunisce, attraverso fotografie, video e installazioni, gli esiti delle ricerche degli studenti del Master sull’immagine contemporanea della Scuola di alta formazione di FMAV.
 
La mostra, inizialmente programmata per essere parte della rassegna annuale The Summer Show, a seguito dell’emergenza Covid-19 è stata posticipata all’autunno 2020 insieme agli altri due appuntamenti previsti: POSTcard, esposizione ideata dagli studenti di ICON Corso per curatori dell’immagine contemporanea della Scuola di alta formazione, e Broken Secrets.
 
MOTEL accoglie i lavori degli studenti che terminano il biennio 2018/2020 del Master: Luna Belardo, Leonardo Bentini, Nicola Biagetti, Sara Sani, Manfredi Zimbardo. Nell’immaginario dei cinque giovani artisti, MOTEL è la rappresentazione di un luogo di passaggio. Un luogo fisico ma soprattutto mentale: un punto di incontro tra personalità differenti, uno spazio intimo e personale dove immagini e pensieri si intrecciano e prendono forma, così com’è stato vissuto dagli studenti il corso di studi del Master negli ultimi due anni. Accompagna e completa il percorso di mostra il magazine MOTEL, concepito e realizzato dagli studenti nell’ambito di un percorso didattico sul prodotto editoriale, che sarà distribuito gratuitamente in mostra e nelle edicole modenesi.
 
In mostra è presente anche la sezione Mid-term che vede protagonisti gli studenti del primo anno del Master: Veronica Alessi, Federica Bassi, Roberta Gennaro, Greta Grasso, Elisa Moro, Paolo Munari Mandelli, Alessio Pecorari, Fabrizio Previti, Fiorenza Triassi e Beatrice Zerbato.

L’apertura della mostra è prevista per venerdì 9 ottobre alle ore 18. L’ingresso, consentito con capienza massima di 40 persone, sarà gestito in sicurezza seguendo tutte le misure preventive alla diffusione del Covid-19.

FMAV - MATA
Via della Manifattura dei Tabacchi 83, Modena
 
Date
10 ottobre - 8 novembre 2020

Apertura
Venerdì 9 ottobre, ore 18

Orari
Mercoledì, giovedì e venerdì: 11-13 / 16-19
Sabato, domenica e festivi: 11-19

Ingresso
Libero
 
Visite guidate
17 e 31 ottobre 2020 alle 17.30
 
Informazioni
www.fmav.org

 

 06 mt16 0402 Chiesa dello stilita Niceta Valle Rossa Missione italiana in Cappadocia

Chiesa dello stilita Niceta in Valle Rossa. Archivio fotografico della Missione di studi dell'Università della Tuscia in Cappadocia 2006-2019

 

 

Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino giunto alla trentunesima edizione

Il Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino è una campagna di studio e di cura promossa e organizzata ogni anno, dal 1990, dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche. 

Il Comitato scientifico della Fondazione Benetton Studi Ricerche ha deciso di dedicare la trentunesima edizione del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino a un luogo dell’Asia Minore che emerge dalla lunga vicenda storica e geografica della Cappadocia: due valli contigue scavate nella roccia vulcanica, la Valle delle Rose e la Valle Rossa, in lingua turca Güllüdere e Kizilçukur.

Al centro della penisola anatolica, da sempre ponte per culture diverse tra l’Asia e l’Europa, tra il Mediterraneo e il Mar Nero, la Cappadocia si estende con i suoi altipiani a mille metri di altitudine e circondata da vulcani imponenti. Il suolo è arido, scavato dall’acqua e dal vento; il clima difficile. Tutto questo forma lo scenario naturale di una regione che vede, fin dal primo secolo, l’arrivo del primo cristianesimo e dei padri della chiesa, e poi il diffondersi della cultura bizantina, che con i suoi innumerevoli insediamenti eremitici e monastici, chiese e santuari formerà una delle più importanti comunità cristiane del primo millennio. A tutto questo corrispondono spazi che oggi si rivelano con cicli pittorici straordinari, edifici sacri e manufatti dispersi in un vasto territorio, che a partire dal secolo XIII, con la scomparsa della presenza bizantina, diventeranno stalle, abitazioni rurali e cisterne, e una moltitudine di piccionaie che procurano a chi coltiva la terra il guano necessario alla fertilità dei campi.

Le due valli emergono da questo contesto, e ci mostrano la misura e il valore profondo di un paesaggio nel quale le forme dell’insediamento umano e la dirompente natura geologica del suolo conservano le tracce di un’antica cultura dell’abitare prevalentemente rupestre, in condizioni di equilibrio tra le diverse manifestazioni della natura e delle culture che l’attraversano nel susseguirsi dei secoli.

In un contesto di rapidi cambiamenti, di evidente abbandono dei paesaggi tradizionali, di apparizione di nuovi usi e forme insediative connessi al turismo di massa, tra il fiorire di studi e scoperte di questo immenso patrimonio storico, si distingue la presenza di un gruppo di lavoro italiano che opera in particolare nella direzione del recupero dei preziosi cicli pittorici celati nelle chiese rupestri, instaurando importanti relazioni umane e culturali e restituendo con questo lavoro leggibilità e valore a un intero paesaggio. Un lavoro che incarna il senso di una cittadinanza, la misura dell’appartenenza e della cura nei confronti di un luogo che travalica ogni confine nazionale. Per queste ragioni il Comitato scientifico della Fondazione Benetton Studi Ricerche ha deciso di affidare il “sigillo” disegnato da Carlo Scarpa, simbolo della trentunesima edizione del Premio, alla storica dell’arte Maria Andaloro, ideatrice e coordinatrice della missione di ricerca che fa capo all’Università della Tuscia, e che dal 2006, a cavallo tra l’Italia e la Cappadocia, sviluppa un lavoro capace di coniugare lo sviluppo e la trasmissione costante di attenzioni e saperi con la crescita di uno sguardo sul paesaggio in chiave di appartenenza e di responsabilità.

Il Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino – così intitolato in onore di Carlo Scarpa (1906-1978), architetto e inventore di giardini – è una campagna di studio e di cura promossa e organizzata ogni anno, dal 1990, dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche, e rivolta a un luogo del mondo, scelto in quanto ritenuto particolarmente denso di valori di natura, di memoria e di invenzione, e individuato a seguito di momenti di confronto, ricerche specifiche, viaggi di studio e approfondimento.
La campagna del Premio Carlo Scarpa consiste in una serie di attività ritenute utili per la conoscenza, la salvaguardia e la valorizzazione del luogo designato. In particolare sono previste: la cura e pubblicazione di un libro in italiano e in inglese, la produzione di un film documentario, la realizzazione di una mostra, l’organizzazione di uno o più incontri di studio e di una cerimonia pubblica nel corso della quale viene consegnato alla figura attualmente maggiormente rappresentativa della cura per il luogo il riconoscimento simbolico costituito dal “sigillo” disegnato da Carlo Scarpa.

Questa trentunesima edizione si presenta eccezionalmente “biennale”, 2020-2021, in conseguenza delle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria, che hanno determinato una nuova articolazione delle tappe pubbliche del progetto, articolazione che avrà inizio il penultimo fine settimana di ottobre 2020 e si concluderà a maggio 2021, cogliendo l’opportunità di costruire diverse occasioni di approfondimento.

Il primo appuntamento pubblico del Premio Carlo Scarpa 2020-2021 è in programma sabato 24 ottobre 2020, con l’apertura della mostra Cappadocia. Il paesaggio nel grembo della roccia, a cura di Patrizia Boschiero e Luigi Latini, nel nuovo spazio culturale che la ospita e che si inaugura a Treviso proprio con questa esposizione: Ca’ Scarpa, l’antica Chiesa di Santa Maria Nova. Per molti anni di pertinenza dell’Intendenza di Finanza e utilizzato come magazzino, l’edificio, dopo l’acquisizione da parte di Edizione Property, è stato destinato da Luciano Benetton ad attività culturali e restaurato dall’architetto Tobia Scarpa. Un luogo che sarà dedicato alla cultura nel nome di Carlo e Tobia Scarpa, e che rappresenta ora una sorta di “casa naturale” per le mostre dedicate ai luoghi del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino.
Nel contesto della mostra saranno anche presentati il film documentario Güllüdere e Kizilçukur: la Valle delle Rose e la Valle Rossa in Cappadocia, prodotto dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche con la regia di Davide Gambino, in collaborazione con Gabriele Gismondi, e l’omonimo volume collettivo Güllüdere e Kizilçukur: la Valle delle Rose e la Valle Rossa in Cappadocia, a cura di Patrizia Boschiero e Luigi Latini, Fondazione Benetton Studi Ricerche-Antiga, Treviso 2020.

La mostra sarà aperta al pubblico fino al 10 gennaio 2021; successivamente, nel corso dei mesi di marzo e aprile avranno luogo due convegni pubblici organizzati dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche in collaborazione con lo Iuav di Venezia e con l’Università degli Studi di Firenze, nelle rispettive sedi universitarie, che saranno giornate di approfondimento collettivo su questioni e tematiche in vario modo connesse al paesaggio della Cappadocia e più in generale dell’Asia Minore. Il percorso si concluderà a Treviso, a maggio 2021, con un convegno dedicato in modo specifico alle valli cappadoci scelte dal Premio, con la cerimonia a loro dedicata e la consegna del sigillo disegnato da Carlo Scarpa nelle mani della storica dell’arte Maria Andaloro, direttrice della Missione in Cappadocia dell’Università della Tuscia. Gli incontri pubblici di maggio saranno anche occasione per riattraversare alcuni altri luoghi del Premio Carlo Scarpa, capaci di dialogare con il paesaggio di Güllüdere e Kizilçukur.


Comitato scientifico e coordinamento del Premio
Luigi Latini, architetto, Università Iuav, Venezia (presidente);
Giuseppe Barbera, agronomo, Università degli Studi, Palermo;
Hervé Brunon, storico del giardino, CNRS, Centre André Chastel, Parigi;
Thilo Folkerts, 100Landschaftsarchitektur, Berlino;
Anna Lambertini, paesaggista, Università di Firenze;
Monique Mosser, storica dell’arte, Scuola superiore di architettura, Versailles;
Joan Nogué, geografo, Università di Girona;
José Tito Rojo, botanico, Università di Granada.

Le attività del Premio Carlo Scarpa sono coordinate da Patrizia Boschiero e da Luigi Latini.

Membri onorari del Comitato:
Carmen Añón, paesaggista, Università di Madrid;
Domenico Luciani, architetto, direttore della Fondazione Benetton Studi Ricerche dal 1987
al 2009, ideatore e responsabile del Premio 1990-2014 (membro onorario dal 2015).

Partecipano inoltre ai lavori del Comitato:
il direttore della Fondazione, Marco Tamaro, e i responsabili dei diversi settori,
Patrizia Boschiero, Francesca Ghersetti, Massimo Rossi, Simonetta Zanon.


Iniziativa culturale con il patrocinio di:
UNISCAPE, Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo; Regione del Veneto;
Città di Treviso.



Info: www.fbsr.it

 

 IMMAGINE GUIDA

 

 

Flashback Torino confermata la fiera “a misura d’uomo”

Confermate le date dell’ottava edizione: dal 5 all’8 novembre precedute da due giornate di preview collezionisti e stampa il 3 e 4 novembre.  

Flashback, l’arte è tutta contemporanea, la fiera dedicata all’arte senza limiti spazio-temporali “NON CI LASCIA SOLI”. Confermate le date dell’ottava edizione: dal 5 all’8 novembre precedute da due giornate di preview collezionisti e stampa il 3 e 4 novembre con orario ore 11 – 20. Confermatissima la sede: il Pala Alpitour di Torino, disegnato da Arata Isozaki che, con i suoi 22 metri di soffitto e 4000 metri quadri di percorso, è in grado di accogliere in estrema sicurezza e con il necessario distanziamento gli stand delle 41 gallerie partecipanti e i visitatori. Confermato dunque il format più che mai attuale nel suo puntare alla qualità e alla diversità e non alla quantità. Un marchio di fabbrica della fiera fin dalla sua prima edizione e testimoniato dal costante impegno di Flashback per l’arte e per progetti curatoriali che si sviluppano tutto l’anno sul territorio.

“La perfetta commistione tra global e local rende Flashback un progetto a dimensione d’uomo in grado di puntare su tempi e spazi dilatati” – sostengono Ginevra Pucci e Stefania Poddighe, fondatrici e direttrici della manifestazione. “È così che nonostante il momento storico complicato Flashback conferma il proprio svolgimento e lancia il progetto con un’immagine emblematica affidata a Daniele Caluri”. La nota matita del Vernacoliere oltre che di Don Zauker e Dylan Dog, ha realizzato una copertina dissacrante che recita “non siamo soli” e che il pubblico ritroverà ricorrente al Pala Alpitour.

Le fiere, prima della emergenza Covid, costituivano il principale canale di vendita delle gallerie ma soprattutto erano il luogo deputato alla conoscenza di nuovi clienti. Malgrado i costi talvolta molto elevati per le gallerie partecipanti erano considerate appuntamenti irrinunciabili. Nel 2019 da questo canale di vendita proveniva il 46% delle entrate delle gallerie (fonte: Art Basel | Ubs: The Impact of COVID-19 on the Gallery Sector. A 2020 mid-year survey). È evidente che la cancellazione di molte di queste si sia tramutato in un calo di fatturato per moltissime gallerie.

“Fiere con dimensioni e costi più contenuti sono la soluzione ottimale in questo particolare momento”, sostiene Marco Longari antiquario di lunga tradizione con presenze nelle fiere internazionali più importanti. La fiera in presenza è un tassello fondamentale, se venisse a mancare potrebbe portare a ricadute su tutta la filiera dell’arte: dalla galleria, al restauratore, con difficoltà anche per i Musei che lavorano in stretta collaborazione con le gallerie.

Flashback dunque come modello più sostenibile nell’ambito del mercato dell’arte che possa avvantaggiare le gallerie e i collezionisti e consentire una importante esperienza d’arte a tutti gli appassionati.

La Fiera s’impegna a far rispettare le disposizioni sul distanziamento interpersonale emanate dal decreto governativo sul contenimento dell’emergenza sanitaria, inoltre segue il protocollo tecnico di sicurezza redatto dal Politecnico di Torino “gli eventi ripartono in sicurezza”.
La preview riservata a collezionisti e stampa sarà estesa a ben due giornate dilatando così i tempi della fruizione (martedì 3 e mercoledì 4 novembre, dalle ore 11 alle ore 20).

Flashback offrirà a collezionisti e visitatori una proposta d’arte che spazia dall’antico al contemporaneo senza limiti temporali e senza limiti di provenienza geografica passando dall’arte orientale a quella occidentale; un’offerta che comprende pittura, scultura e arti decorative dai gioielli d’artista ai mobili antichi e di design fino agli oggetti scientifici da wunderkammer.

Per la lista completa delle gallerie: www.flashback.to.it.

SAVE THE DATE:
TORINO 5-8 novembre 2020
Pala Alpitour

 

 melotti cioni

 

 

L’avventura dell’arte nuova | anni 60-80 Cioni Carpi | Gianni Melotti

La formula scelta si compone di due mostre distinte accomunate però da un fil rouge: la transmedialità, l’audacia creativa, l’esplorazione di forme d’espressione inedite. 

La Fondazione Ragghianti presenta Cioni Carpi | Gianni Melotti dal 3 di ottobre fino al 6 gennaio 2021.

Come scrive il direttore Paolo Bolpagni, «la prima mostra che la Fondazione Ragghianti presenta, con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, dopo lo sconvolgimento provocato dall’epidemia vuol essere un segno di speranza, già dal titolo. È un inno alla vivacità dell’invenzione, dello sperimentare soluzioni originali. L’ambizione è di offrire, in un momento non facile, un contributo alla ripartenza, scandagliando vicende artistiche della seconda metà del Novecento meritevoli di attenzione. Innovativa è anche la formula scelta: questa “avventura” si compone infatti di due mostre distinte, allestite da Arrigoni Architetti, con i rispettivi cataloghi, accomunate però da un fil rouge: la transmedialità, l’audacia creativa, l’esplorazione di forme d’espressione inedite. L’obiettivo è d’indagare un periodo di grande fermento nell’Italia degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, riscoprendo personaggi poliedrici e inventivi».

La mostra su Cioni Carpi (Milano, 1923-2011), a cura di Angela Madesani, comprende il percorso dell’artista dal 1960 circa agli anni Ottanta. È presentata una quarantina di opere, fra dipinti, installazioni, lavori fotografici, filmati, disegni, progetti, libri creati in unica copia, documenti. Cioni fu un uomo complesso e ricco di sfaccettature. Figlio di Aldo Carpi, a lungo direttore dell’Accademia di Brera, cominciò a dedicarsi alla pittura a Parigi. Da qui si trasferì ad Haiti, poi a New York e quindi in Canada, da dove tornò infine nella sua Milano. Negli Stati Uniti aveva conosciuto la regista Maya Deren, che lo spinse verso la sperimentazione cinematografica. Dal 1959 al 1980 realizzò molti film d’artista, ora conservati in importanti archivi, tra cui quello del MoMA. Un altro terreno di lavoro fu per lui il teatro: memorabili le scenografie per il Piccolo e le collaborazioni con compositori come Giacomo Manzoni e Bruno Maderna. Un ulteriore capitolo fu legato alla Narrative Art, della quale Carpi è riconosciuto fra i protagonisti in àmbito internazionale. Invitato alla Biennale di Venezia nel 1978 e nel 1980 da Vittorio Fagone (che poi diventerà, all’inizio degli anni Duemila, direttore della Fondazione Ragghianti), la sua creatività si esplicò anche nella fotografia, nelle installazioni, nel video, nel disegno, nella scrittura, nel libro d’artista, oltre che nella pittura. Questa mostra è la riscoperta sorprendente di un grande “irregolare”, a lungo sottovalutato.

La mostra su Gianni Melotti (Firenze, 1953), a cura di Paolo Emilio Antognoli, documenta lo sviluppo dei primi anni del suo lavoro artistico, dalle sperimentazioni in bianco e nero senza uso della macchina fotografica alle coloratissime opere tridimensionali realizzate su tessuti decorati. Lo scopo è d’indagare un periodo di grande fermento nella Toscana degli anni Settanta e Ottanta. Sono qui presentati i risultati di una ricerca storica e archivistica di prima mano riguardante gli esordi dell’attività di Melotti, dal 1974 al 1984, sia nell’autonomo sviluppo artistico ch’egli conobbe, sia nei rapporti intrattenuti con personaggi come Lanfranco Baldi, Luciano Bartolini, Giuseppe Chiari, Mario Mariotti, Bill Viola, alcuni dei quali legati all’esperienza di art/tapes/22, lo studio fiorentino dedito alla produzione di videotapes, di cui Gianni Melotti divenne il fotografo “ufficiale” proprio nel 1974. Ne scaturisce l’affresco sorprendente di un ambiente culturale che vide transitare da Firenze e dalla Toscana grandi nomi dell’avanguardia internazionale, da Vito Acconci a Chris Burden, da Daniel Buren a Urs Lüthi, da Joan Jonas a Joseph Kosuth, da Jannis Kounellis a Nam June Paik, da Giulio Paolini a Robert Rauschenberg. La parola-chiave era “interazione”: fra architettura e design radicale, editoria e video, musica e i nuovi off-media artistici. Melotti fu uno dei protagonisti di quella stagione e seppe maturare un linguaggio concettuale dagli esiti personalissimi, ben testimoniato in mostra.

 

 

 leda

Copyright © 2020 Cramum Art & Ama Nutri Cresci, All rights reserved

 

 

"Leda e il Cigno Nero" - la prima mostra personale di Julia Bornefeld a Milano da Gaggenau Hub

In concomitanza con la Milano Design City viene inaugurata la personale di Julia Bornefeld a cura di Sabino Maria Frassà.Cinque mostre di arte contemporanea legate dal tema del Blu, allestite contemporaneamente nelle sale bianche del piano nobile di Villa Croce, e accompagnate da relativi incontri dedicati. In concomitanza con la Milano Design City Gaggenau e Cramum inaugurano il 7 ottobre, con un vernissage digitale aperto a tutti in live streaming, "LEDA E IL CIGNO NERO" personale di Julia Bornefeld a cura di Sabino Maria FrassàIn concomitanza con la Milano Design City Gaggenau e Cramum inaugurano il 7 ottobre, con un vernissage digitale aperto a tutti in live streaming, "LEDA E IL CIGNO NERO" personale di Julia Bornefeld a cura di Sabino Maria Frassà 

In concomitanza con la Milano Design City, Gaggenau e Cramum inaugurano il 7 ottobre, con un vernissage digitale aperto a tutti in live streaming, "LEDA E IL CIGNO NERO" personale di Julia Bornefeld a cura di Sabino Maria Frassà e terza del nuovo ciclo di quattro mostre “On-Air. Il presente è il futuro del passato”, progetto artistico e culturale che animerà il Gaggenau DesignElementi Hub per tutto il 2020 e realizzata in collaborazione con il progetto non profit CRAMUM.

"Leda e il Cigno Nero" è la prima mostra personale meneghina di Julia Bornefeld, artista nota a livello internazionale per aver portato nella scultura il dibattito femminista. "Julia Bornefeld è l'artista dell'indefinito e dell'indeterminazione, maestra nel sintetizzare e far coesistere la razionalità e il peso della materia con l'irrazionalità e la leggerezza del pensiero," spiega il curatore Sabino Maria Frassà. "L'impeto e le forme delle sue opere partono sempre da forme e oggetti comuni - piume, uova, valigie, ombrelli, uccelli - per raccontare qualcosa al di là di ciò che si vede. L'artista non progetta mai i suoi lavori, ma vive di fulminee intuizioni in grado di raccontare l'universo, richiamando forme universali e immagini archetipali".

Julia Bornefeld ha deciso di raccontare attraverso le piume, protagoniste della mostra, la fragilità e la resilienza dell’umanità di fronte alle avversità: al fianco di opere storiche lo spettatore potrà scoprire un corpo di opere inedite, realizzate durante il lockdown, in cui l'immagine del cigno nero - l'evento inatteso che stravolge tutto - si fonde con il mito di Leda, simbolo di una donna e di un'umanità che sa reagire e andare avanti.

L'artista spiega con queste parole la mostra e la sua filosofia di vita: “Il nostro vivere è un inarrestabile viaggio senza alcuna meta prestabilita. L'unica cosa che possiamo fare è imparare a viaggiare con valigie leggere e con un ombrello che ci protegga permettendoci di continuare a camminare”.


Info:

"LEDA E IL CIGNO NERO"

di Julia Bornefeld

(8 ottobre - 13 novembre 2020)

Vernissage digitale 7 ottobre 2020 – Live streaming dalle ore 19.00

 

L'inaugurazione digitale in live streaming è aperta a tutti e per gli ospiti che si collegheranno sarà possibile inviare domande ad artista e curatore.

Gli spettatori potranno scoprire le ultime opere inedite, aneddoti e dettagli della ricerca artistica di Julia Bornefeld attraverso un tour virtuale 360° e contenuti video esclusivi.

Per registrarsi e partecipare al vernissage digitale: LINK

https://www.axterix.it/Rsvp/Gaggenau/2020-Evento_Bornefeld/?extra=3

La mostra è aperta al pubblico su appuntamento:

Gaggenau DesignElementi Hub, Corso Magenta 2

Lun-Ven 10:00-19:00

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