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SEBASTIANO SALGADO|EXODUS. IN CAMMINO SULLE STRADE DELLE MIGRAZIONI

La Fondazione Pistoia musei omaggia Sebastiano Salgado.

Dall’8 febbraio al 14 giugno 2020 Fondazione Pistoia Musei in collaborazione con Pistoia – Dialoghi sull’uomo, festival di antropologia del contemporaneo, Fondazione Caript, Comune di Pistoia, con il contributo della Camera di Commercio di Pistoia e Contrasto, casa editrice leader nella realizzazione di libri fotografici, presenta Exodus. In cammino sulle strade delle migrazioni, mostra personale del grande fotoreporter Sebastião Salgado.

La mostra, a cura di Lélia Wanick Salgado e composta da un corpus di 180 fotografie, racconta la storia del nostro tempo attraverso i momenti drammatici ed eroici di singoli individui. Per anni infatti il fotografo brasiliano ha documentato le migrazioni di massa restituendo con i suoi scatti la condizione esistenziale di milioni di uomini che sono stati capaci di spezzare i legami con le proprie radici, cercando loro stessi in un viaggio verso altri luoghi.

È ormai passata quasi una generazione da quando queste fotografie sono state esposte per la prima volta, eppure per molti aspetti il mondo che ritraggono non è cambiato. I profughi di oggi sono solo le vittime più visibili di un processo globale che dimostra quanto tutto ciò che accade sulla Terra sia collegato, dal crescente divario tra ricchi e poveri alla crescita demografica, dalla meccanizzazione dell’agricoltura alla distruzione dell’ambiente, dai cambiamenti climatici al fanatismo sfruttato a fini politici. Exodus. In cammino sulle strade delle migrazioni racconta la condizione di profugo, l’istinto di sopravvivenza, i momenti di esodo, i disordini urbani e le tragedie di continenti ormai alla deriva, racconta la paura e la povertà così come la volontà, la dignità e il coraggio.

È passata quasi una generazione da quando queste fotografie sono state esposte per la prima volta. Eppure, per molti aspetti il mondo che ritraggono è cambiato poco, visto che la povertà, i disastri naturali, la violenza e la guerra costringono ancora milioni di persone ogni anno ad abbandonare le loro case. In alcuni casi, vanno a finire in campi profughi che presto si espandono fino a diventare piccole città; in altri, sono pronti a investire tutti i risparmi, e perfino la vita, per inseguire il sogno di una mitica Terra Promessa. I migranti e i profughi di oggi sono senza dubbio il prodotto di nuove crisi, ma la disperazione e i barlumi di speranza che vediamo sui loro volti non sono poi molto diversi da quelli documentati in queste immagini.

Quasi tutto ciò che accade sulla Terra è in qualche modo collegato. Siamo tutti colpiti dal crescente divario tra ricchi e poveri, dalla crescita demografica, dalla meccanizzazione dell’agricoltura, dalla distruzione dell’ambiente, dal fanatismo sfruttato a fini politici. Le persone strappate dalle loro case sono solo le vittime più visibili di un processo globale.

Le fotografie che qui presentiamo catturano i momenti tragici, drammatici ed eroici di singoli individui. Eppure, tutte insieme, ci raccontano anche la storia del nostro tempo. Non offrono risposte, ma al contrario pongono una domanda: nel nostro cammino verso il futuro non stiamo forse lasciando indietro gran parte del genere umano?

Lélia Wanick Salgado

Info

8 febbraio - 14 giugno 2020

Palazzo Buontalenti / Antico Palazzo dei Vescovi, Pistoia

 

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Dancing is what we make of falling 2 | MY BODIES Binario 2 | OGR Torino

Con questa seconda edizione, le OGR proseguono la ricerca iniziata nel 2018 sulle interrelazioni tra video e performance, con un format sperimentale che unisce screening, performance e conferenze.

Le OGR – Officine Grandi Riparazioni di Torino presentano MY BODIES, dal 21 febbraio - 22 marzo. OPENING: 21 febbraio 2020 dalle 20.30.

La seconda edizione del progetto Dancing is what we make of falling, a cura di Valentina Lacinio e Samuele Piazza, che dal 21 febbraio al 22 marzo 2020 animerà gli spazi del Binario 2.

Con questa seconda edizione, le OGR proseguono la ricerca iniziata nel 2018 sulle interrelazioni tra video e performance, con un format sperimentale che unisce screening, performance e conferenze: una mostra di video che si susseguono sullo stesso schermo e cinque appuntamenti serali (tutti i venerdì a partire dal 21 febbraio e fino al 20 marzo) in cui ogni settimana viene presentato un nuovo video legato a un evento performativo pensato per gli spazi delle OGR.

Dancing is what we make of falling nasce con l’obiettivo di creare uno spazio di discussione condiviso sui temi dell’alterità e delle responsabilità dell’arte contemporanea nella creazione di immaginari alternativi. 

 

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Un nuovo ciclo di proiezioni alla Fondazione Ragghianti

Dopo il successo delle tre precedenti edizioni, torna l’ormai tradizionale ciclo di proiezioni di documentari sull’arte

Dopo il successo delle tre precedenti edizioni, torna l’ormai tradizionale ciclo di proiezioni di documentari sull’arte proposto dalla Fondazione Ragghianti nel periodo invernale.

Curata da Alessandro Romaninila rassegna “L’arte sullo schermo” si inserisce nella linea di ricerca tracciata da Carlo Ludovico Ragghianti, che fu tra i primi a credere nelle potenzialità del linguaggio cinematografico come strumento sia critico, sia di educazione all’arte e di formazione del pubblico.

Le proiezioni, che avranno tutte luogo, a ingresso gratuito, nella Sala conferenze “Vincenzo da Massa Carrara” nel Complesso di San Micheletto a Lucca, con inizio alle ore 17:30, saranno introdotte da una guida alla visione in cui si alterneranno lo stesso Alessandro Romanini, Maria Flora Giubilei, Paolo Bolpagni e Francesca Pola, autrice di uno dei documentari proposti, quello su Piero Manzoni, che sarà proiettato in prima italiana.

PROGRAMMA DELLE PROIEZIONI

Sabato 8 febbraio, ore 17:30

GETTY’S: THE WORLD’S RICHEST ART DINASTY di David Shuman, 2018, 74 minuti, in inglese con sottotitoli in italiano

Introduzione alla visione a cura di Maria Flora Giubilei

Sabato 15 febbraio, ore 17:30

PIERO MANZONI E ZERO di Francesca Pola, 2018, 52 minuti, in italiano

Introduzione alla visione a cura di Paolo Bolpagni, con la partecipazione di Francesca Pola

Sabato 22 febbraio, ore 17:30

THE GREENAWAY ALPHABET di Saskia Boddeke, 2017, 69 minuti, in inglese con sottotitoli in italiano.

 

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THE HUMAN PATH, la mostra fotografica di Nicholas Viviani alla Fondazione Matalon

The Human Path è la sintesi di una ricerca estetica e stilistica durata quindici anni che gli ha permesso di rendere partecipe l’osservatore e al tempo stesso suggerire spunti di riflessione.

Dall’1 all’8 Febbraio gli spazi della Fondazione Luciana Matalon ospiteranno la mostra personale fotografica di Nicholas Viviani intitolata “The Human Path”. The Human Path è la sintesi di una ricerca estetica e stilistica durata quindici anni che gli ha permesso di rendere partecipe l’osservatore e al tempo stesso suggerire spunti di riflessione. Le sue fotografie hanno come fil rouge l’uomo e la sua alienazione. All’interno dei suoi scatti, la figura umana è spesso abbozzata e priva di dimensione.

Come sottolinea Margherita Franzini: “essa pare che galleggi in un universo isolato e atemporale, come se l’uomo si fosse costruito uno spazio entro il quale si sente al sicuro, sia esso la dimensione lavorativa, una semplice routine o trovarsi insieme all’amore della propria vita”.

Quasi sempre il soggetto è posto al centro della scena e lo spettatore è portato a immedesimarsi in quella piccola figura che passeggia solitaria. Raramente Viviani adopera la potenza del colore, tuttavia quando se ne serve lo utilizza per sottolineare il protagonista della scena. Vi sono richiami a grandi fotografi della New Wave italiana degli anni Ottanta del Novecento quali Luigi Ghirri, Gabriele Basilico, Mimmo Jodice, Giovanni Chiaramonte, Olivo Barbieri e Vincenzo Castella. Condivide con essi la “battaglia” tra realtà e immagine, in un tempo sospeso, ovattato dalla poesia. Viviani ha approfondito poi il tema del paesaggio, sovente mettendolo in relazione con delle shapes. Il tono narrativo è basso, descrittivo, discreto, dal gusto minimalista. Gli ambienti raffigurati sono marginali, periferici, vi è una commistione di rurale e urbano in un’alternanza tra il pensato e lo spontaneo. L’aspetto e la resa delle opere favoriscono l’introspezione e catalizzano l’attenzione dell’osservatore.

È interessante guardare come l’artista, mediante la macchina fotografica, riesca a cogliere e a imprimere su carta il sentimento di vuoto che aleggia ed esiste nonostante l’essere immersi in un’epoca ossessionata dall’istantaneità di comunicazione. In alcuni momenti la sagoma è quasi schiacciata dall’ambiente circostante, in altri pare voglia uscire dalla scena o tenda una mano per liberarsi verso il cielo.

Nicholas Viviani si dedica con passione sia alla fotografia commerciale che a quella autoriale. Nel 2017 viene insignito del Premio delle Arti Premio della Cultura dal Prof. Dott. Carlo Franza, giornalista e storico dell’arte di chiara fama. L’anno successivo risulta tra i finalisti del Premio Carlo Farioli. Nell’ultimo trimestre dello stesso anno porta Alone e Back To Colour, due dei suoi progetti storici, al Carrousel Du Louvre di Parigi. Il 2019 vedrà l’autore impegnato in vari progetti significativi: è tra i protagonisti della XII Biennale Internazionale dell’Arte Contemporanea di Firenze, partecipa al Premio Riccardo Prina ed espone sia alla Triennale di Milano che a Palazzo Marliani Cicogna a Varese.

 

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La Fondazione Arnaldo Pomodoro  annuncia il programma per il 2020

Con due nuove mostre della serie Project Room, la VI edizione del Premio Arnaldo Pomodoro per la Scultura, il Catalogue Raisonné, le attività didattiche e le collaborazioni, la Fondazione si conferma un osservatorio privilegiato sulla creatività contemporanea. 

Due nuovi appuntamenti della serie espositiva Project Room, la presentazione del Comitato di selezione per la VI edizione del Premio Arnaldo Pomodoro per la Scultura, nuove attività didattiche, l’implementazione del Catalogue Raisonné, i prestiti di opere della collezione a enti pubblici e privati sono i cardini del programma 2020 della Fondazione Arnaldo Pomodoro. Un ricco palinsesto di attività costruito per perseguire gli obiettivi di conservazione e valorizzazione del patrimonio della Fondazione e di promozione della ricerca e della riflessione sui temi e le figure più interessanti dell’avanguardia contemporanea, che ribadisce come l’istituzione – fondata dall’artista Arnaldo Pomodoro nel 1995 – sia oggi uno degli osservatori privilegiati del panorama artistico contemporaneo nazionale e internazionale, un vero e proprio laboratorio di indagine e approfondimento sulle evoluzioni del linguaggio della scultura. 

Si parte con la nuova edizione di Project Room, iniziativa nata nel 2010 e affidata nel suo decimo anno alla curatrice italiana Eva Fabbris. Ad ogni edizione viene chiesto al guest curator di individuare temi e artisti – preferibilmente scultori under 40 – per realizzare un intervento che coinvolga l’intero spazio espositivo. Il primo appuntamento inaugura il 14 aprile in occasione dell’Art Week milanese: un progetto che coinvolge due artiste – di Nevine Mamhoud (Londra, 1988) e Margherita Raso (Lecco, 1991), in un display di Derek MF Di Fabio (Milano, 1987). La seconda Project Room, in programma in autunno, vedrà invece protagonista l’artista belga Kasper Bosmans (Lommel, 1990).

L'impegno della Fondazione a sostegno dei giovani artisti prosegue anche attraverso il Premio Arnaldo Pomodoro per la Scultura, nato nel 2006 e giunto alla sua VI edizione.
“Fin dal suo concepimento – afferma Arnaldo Pomodoro – il Premio ha voluto essere un’occasione di dialogo con i giovani, uno spazio per trasmettere la memoria come elemento fondante del futuro e aprirsi al contempo alle più varie istanze di trasformazione e ricerca. Per essere un’esperienza sempre viva, ad ogni sua tappa questa iniziativa aprirà il proprio orizzonte, rinnovando i suoi stessi fondamenti concettuali e rivedendo la propria formula, in funzione delle nuove modalità di ricerca che nel tempo si proporranno”.
Scopo del Premio è quello di individuare, nel panorama internazionale, uno scultore emergente di età compresa tra i 25 e i 45 anni, la cui ricerca esprima una riflessione sull’idea stessa e sulla pratica della scultura. Completamente rinnovato nella struttura in occasione della scorsa edizione, e rafforzato nella sua vocazione internazionale, il Premio può contare anche per questa edizione sulla collaborazione con il Polo Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Milano, che riconferma l’interesse a condividere e sostenere le sue finalità. Il Comitato di Selezione della VI edizione verrà presentato al pubblico durante la prossima edizione di miart (17 – 19 aprile 2020), in un talk dal titolo Cos’è scultura oggi? organizzato per la fiera dalla Fondazione Arnaldo Pomodoro.
 
Anche per il 2020 il Dipartimento per le attività didattiche della Fondazione – fondato nel 2007 – continua a proporre progetti rivolti a tutti, per educare all’arte contemporanea attraverso formule capaci di superare gli schemi tradizionali della didattica museale e di coinvolgere pubblici diversi in una fruizione diretta e immediata dell'arte, attraverso la rielaborazione dei linguaggi, la sollecitazione dei sensi e l'uso di nuove tecnologie.

Sul fronte della conservazione, tutela e valorizzazione dell'opera di Arnaldo Pomodoro e del suo archivio, il Catalogue Raisonné rappresenta oggi la principale forma di studio e promozione.

Creato seguendo un modello fortemente innovativo, unico sia per genere che per ampiezza nel panorama nazionale, il Catalogue Raisonné è inserito nei database della IFAR (International Foundation for Art Research) e del CRSA (Catalogue Raisonnè Scholar Association). La pubblicazione online della sezione relativa alle sculture avvenuta ad aprile 2019 continua ad essere apprezzata da ricercatori, operatori di settore e appassionati. In questi mesi il Catalogo si è arricchito di una nuova sezione relativa alle pubbliche collezioni – raccolte in una specifica sezione, con possibilità di collegamenti e consultazioni mirate – mentre prosegue il lavoro di verifica e compilazione della sezione relativa ai disegni, la cui uscita online è prevista per la primavera 2020.
 
Nell'ottica inoltre di rendere fruibili al pubblico le opere della propria collezione, che non ha una sede espositiva permanente, la Fondazione continua a promuovere un’azione di prestito nei confronti di enti e istituzioni pubbliche e private, anche attraverso la formula del comodato a lungo termine. Accanto ai comodati già in corso (Circolo del Ministero degli Affari Esteri di Roma; Conservatorio di Milano; Istituto Mario Negri di Milano; MART di Rovereto; Politecnico di Milano; Venice International University, Isola di San Servolo; Università degli Studi Milano-Bicocca; Negombo, Lacco Ameno) sono in via di definizione nuovi prestiti per l’anno 2020.

 

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 Mario Schifano nel suo studio davanti all’opera Qualcos’altro, Roma 1962, courtesy Archivio Mario Schifano

 

GióMARCONI presenta MARIO SCHIFANO. QUALCOS'ALTRO

Una mostra dedicata ad un nucleo di monocromi compresi tra il 1960 e il 1962, curata da Alberto Salvadori e in collaborazione con l’Archivio Mario Schifano. 

La galleria Gió Marconi ha il piacere di presentare la mostra Mario Schifano. Qualcos’altro dedicata ad un nucleo di monocromi compresi tra il 1960 e il 1962, curata da Alberto Salvadori e in collaborazione con l’Archivio Mario Schifano.

L’artista comincia a realizzare questi smalti su carta intelata a partire dal 1959, dopo alcune esperienze informali. Li presenta per la prima volta a Roma, alla galleria La Salita (1960), nella collettiva 5 pittori cui partecipano Giuseppe Uncini, Tano Festa, Francesco Lo Savio e Franco Angeli, e successivamente, in una personale alla Tartaruga (1961).

In anticipo rispetto ad altri protagonisti della scena romana, Schifano intende con i suoi monocromi non solo azzerare la superficie del quadro, anche come risposta all’informale, ma attribuirle un altro punto di vista, “inquadrarla”, proporre un nuovo modo di vedere e di fare pittura.
Il primo a capire che la superficie dei monocromi è semplicemente uno schermo sarà Maurizio Calvesi che così scrive nel catalogo della mostra alla Galleria Odyssia (1963): “Erano quadri originalissimi: verniciati con una sola tinta o due, a coprire l’intero rettangolo della superficie o due rettangoli accostati... Un numero o delle lettere (ma solo talvolta) isolati o marcati simmetricamente; qualche gobba della carta, qualche scolatura: il movimento della pittura era tutto lì.”
Comune denominatore di un’intera generazione di artisti da Lucio Fontana a Enrico Castellani, da Piero Manzoni a Yves Klein, il monocromo non è una novità tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta e Schifano ne è perfettamente consapevole.
“Pensavo che dipingere significasse partire da qualcosa di assolutamente primario...”, racconta l’artista, “I primi quadri soltanto gialli con dentro niente, immagini vuote, non volevano dir nulla. Andavano di là, o di qua, di qualsiasi intenzione culturale. Volevano essere loro stessi... Fare un quadro giallo era fare un quadro giallo e basta”.

Azzeramento del gesto e del senso, dunque, un semplice pretesto per fare una pittura che riparta da zero, un incipit a qualcosa di diverso.
La grammatica dei monocromi di Schifano è molto semplice: smalti industriali dall’effetto lucido e coprente; colore “grondante” steso in maniera libera e non uniforme sulla ruvida superficie della carta da pacchi. L’intento è dare l’idea di una pittura da cartellone pubblicitario.
La superficie dei quadri, dai colori accesi e privi di sfumature, alla stregua di una lastra fotografica, prelude all’impressione di nuove immagini: è un nuovo spazio da indagare, un campo di germinazione che si dispone a produrre qualcos’altro.
L’emblematico titolo di questa mostra si riferisce a un’opera del 1960 che Schifano realizza appena ventiseienne e a un polittico del 1962 che figura tra le opere esposte.
Con efficace sinteticità da messaggio pubblicitario Qualcos’altro sta forse a indicare che ciò che l’artista intendeva dipingere doveva essere diverso da quanto si vedeva in giro; ma è anche un intento programmatico espresso in due parole: il monocromo, inteso come tabula rasa, è già pronto a trasformarsi in luogo di proiezione, campo fotografico in cui si metteranno a fuoco dettagli, particolari, frazioni di immagini.

Qualcos’altro ha un sapore quasi profetico, se si pensa che questi “schermi” si riempiranno presto dei nuovi segni della vita moderna.
È alla luce di tutto questo che la mostra si concentra sui monocromi, a sessant’anni dalla loro nascita, in quanto tappa cruciale del cammino creativo di Mario Schifano e genesi della sua invenzione pittorica.

Alle opere verrà affiancato un nucleo di lavori su carta degli stessi anni e, per l’occasione, sarà pubblicato un giornale della mostra in formato tabloid con contenuti inediti dell’artista e un contributo di Riccardo Venturi e Alberto Salvadori.