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Rebecca Ackroyd, Singed Lids, Lyon Biennale, Installation View 

 

Fondazione Arnaldo Pomodoro presenta PROJECT ROOM #12 Rebecca Ackroyd Underfoot

Si apre il terzo e ultimo appuntamento del 2019 di PROJECT ROOM, il ciclo espositivo voluto dalla Fondazione Pomodoro per approfondire la ricerca e la produzione di artisti under 40 che indagano in modo innovativo la scultura.  

Con la mostra Underfoot (4 dicembre 2019 - 31 gennaio 2020) di Rebecca Ackroyd (1987, UK) si apre il terzo e ultimo appuntamento del 2019 – il dodicesimo dalla sua ideazione – di PROJECT ROOM, il ciclo espositivo voluto dalla Fondazione Pomodoro per approfondire la ricerca e la produzione di artisti under 40 che indagano in modo innovativo la scultura.
 
Nel corso dell’ultimo anno la guest curator Cloé Perrone ha scelto il lavoro di Sophia al-Maria, Caroline Mesquita e Rebecca Ackroyd, tre giovani artiste internazionali che, all’interno di una pratica multidisciplinare, utilizzano anche la scultura espandendone la definizione stessa.
 
Protagonista dell’appuntamento conclusivo del 2019, con Underfoot, la sua prima mostra personale in Italia, Rebecca Ackroyd mette in scena un mondo post-apocalittico che proietta il visitatore in un’ipotesi di futuro.
Il lavoro dell’artista è caratterizzato dalla ricostruzione di spazi degradati, pervasi da atmosfere reali, tesi ad accrescere la consapevolezza della brutalità dell'ambiente urbano e la coscienza del tema dell’abbandono.
 
In un momento in cui un'incombente crisi climatica minaccia la vita sulla Terra, l’artista ha deciso di esporre all’interno di una serra, struttura normalmente utilizzata per la coltivazione, una grande installazione site-specific che occupa l’intero spazio della Fondazione, e una serie di disegni e sculture tutti di nuova produzione, creando un luogo avvolgente, sospeso tra sogno e realtà.
 
Circondate da un clima malinconico, le strutture architettoniche dell’artista incarnano una sorta di sentimento primordiale che genera nell’osservatore un senso di impotenza e lo spinge a interrogarsi sul suo ruolo nella società. Con Underfoot, l'attenzione di Rebecca Ackroyd si concentra su una definizione ibrida di casa, capace di riflettere diversi paradossi della società contemporanea e di avviare una profonda riflessione su temi universali come l’identità nazionale, il senso di appartenenza e i processi di crescita. 

 

 coppola

Hannah Levy, Non-slip Solutions, 2017, resina epossidica, fibra di vetro, eco-pelliccia, acciaio, silicone, cm 53x96x95. AmC Collezione Coppola. Courtesy l'artista e mother’s tankstation, Dublino.

 

La Fondazione Coppola organizza Le nuove frontiere del contemporaneo

Un ciclo di mostre per conoscere in maniera più approfondita il lavoro di quattro figure significative del panorama artistico attuale, in programma dal 31 ottobre al 31 marzo.

La Fondazione Coppola organizza Le nuove frontiere del contemporaneo, un ciclo di mostre per conoscere in maniera più approfondita il lavoro di quattro figure significative del panorama artistico attuale, in programma dal 31 ottobre al 31 marzo. Presso il Torrione di Vicenza, sede espositiva della Fondazione, si susseguiranno interventi, installazioni e opere di Hannah Levy (dal 31 ottobre); Haroon Mirza (dal 22 novembre); Christian Manuel Zanon (dal 1 dicembre); Guglielmo Castelli (dal 14 dicembre). Le mostre, ognuna patrocinata dal Comune di Vicenza, andranno ad occupare in senso ascensionale i sei livelli del Torrione, dialogando con lo spazio architettonico e proponendo letture inedite e diversificate sia del contesto espositivo che delle opere presentate. La scelta è ricaduta su quattro artisti il cui lavoro esprime un punto di vista originale nel linguaggio che contraddistingue maggiormente il loro operato: la scultura per Hannan Levy, il video, il suono e l’installazione per Mirza, l’installazione e il disegno per Zanon e la pittura per Castelli.

Hannah Levy è nata a New York nel 1991, dove vive e lavora. Dopo aver conseguito un BFA alla Cornell University di Ithaca (2009-2013), ottiene il titolo “Meisterschüler” presso la Städelschule di Francoforte. Il lavoro della Levy esplora le connessioni tra arte e design, con l’intento di superare questa dicotomia. L’artista lavora principalmente con la scultura, le sue opere si pongono come una riflessione attorno agli oggetti, alle loro logiche di senso e al rapporto che tendiamo ad instaurare con essi. In mostra alla Fondazione Coppola saranno esposte cinque opere in silicone realizzate tra il 2017 e il 2019. Le opere sono state precedentemente esposte al Louisiana Museum of Modern Art, al MoMA PS1 e a Londra.

Haroon Mirza è un artista inglese nato nel 1977, vive e lavora a Londra. Ha studiato pittura presso la Winchester School of Art. Successivamente ha ottenuto un Master in Design Critical Practice and Theory presso il Goldsmiths College (2006) e un Master in Fine Art presso il Chelsea College of Art and Design (2007). È un artista conosciuto a livello internazionale per le sue installazioni complesse e immersive, che combinano suono, onde luminose, corrente elettrica, LED e diversi altri materiali. Mirza lavora quasi come un “compositore”, per riconsiderare le distinzioni percettive tra rumore, suono e musica, non sentite come forme culturali categorizzabili. In mostra saranno esposti due video installazioni: Adhãn Anthemoessa (2009), opera che ha vinto il Northern Art Prize nel 2011 e Birds of Pray (2010). Haroon Mirza ha ricevuto il Leone d’Argento alla 54ma edizione della Biennale Internazionale d’Arte di Venezia nel 2011.

Christian Manuel Zanon è un artista visivo nato a Cittadella, in provincia di Padova, nel 1985, vive e lavora tra Pesaro e Padova. Si forma all’Accademia di Belle Arti di Venezia e poi presso l’Universität der Kunst di Berlino, dove approfondisce tematiche inerenti la comunicazione visiva e la poesia. In seguito frequenta la Fondazione Studio Marangoni di Firenze, la facoltà di Arti Visive dello IUAV di Venezia e la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Ca’Foscari di Venezia. Nel suo lavoro l’artista privilegia il procedimento e la processualità: inattese e come sorprese si concretizzano le sue installazioni, i disegni progettuali, le foto e i video che si ribellano amichevolmente alla struttura architettonica del pensiero, anche teoretico.

Guglielmo Castelli è nato nel 1987, vive e lavora a Torino. Ha studiato scenografia teatrale all’Accademia Albertina. Considerato tra i giovani artisti più promettenti delle nuove generazioni, lavora principalmente con la pittura e il disegno. I suoi dipinti, dominati da atmosfere malinconiche e intimistiche, sono caratterizzati da forme fluide ed estese campiture, quasi i soggetti siano colti in un momento di trasformazione. In mostra saranno esposti quattro dipinti di piccole e medie dimensioni realizzati nel 2019. L’artista è attualmente finalista al Premio Cairo 2019.

La Fondazione Coppola ha sede espositiva nel trecentesco Torrione di Vicenza, importante architettura della città berica restaurata dallo studio UP3 Architetti Associati nel 2018. La Fondazione ha inaugurato la sua attività lo scorso aprile aprendo al pubblico “La Torre”, la prima mostra personale in Italia degli artisti tedeschi Neo Rauch e Rosa Loy, i due principali esponenti della “Scuola di Lipsia”, una corrente artistica che negli ultimi trent’anni si è imposta come punto di riferimento obbligato per molte generazioni di artisti visivi. Fondazione Coppola presenta opere di artisti per la maggior parte non storicizzati, tra giovani emergenti e affermati che hanno partecipato a esposizioni nazionali o all’estero ricevendo in molti casi notevoli riconoscimenti.

Fondazione Coppola

Corso Palladio 1, 36100 Vicenza

Periodo

31 ottobre 2019-31 marzo 2020

Apertura mostre

Hannah Levy, dal 31 ottobre 2019

Haroon Mirza, dal 22 novembre 2019

Christian Manuel Zanon, dal 1 dicembre 2019

Guglielmo Castelli, 14 dicembre 2019

Orari

Da giovedì a lunedì, 11.00-18.00

 

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LIVING GRAINS - Ibrahim Mahama alla Fondazione Giuliani

La personale include una serie di opere realizzate ex-novo, tra cui un’installazione su larga scala, fotografie, disegni e un film in virtual reality.

Fondazione Giuliani dal 26 ottobre al 21 dicembre è lieta di presentare Living Grains, la prima mostra a Roma dell’artista ghanese Ibrahim Mahama. La personale include una serie di opere realizzate ex-novo, tra cui un’installazione su larga scala, fotografie, disegni e un film in virtual reality. Vernissage venerdì 25 ottobre dalle ore 18.00 alle 21.00.

Immersi nella trama storica, culturale e socio-politica del Ghana, i lavori di Ibrahim Mahama affrontano i problemi legati alla globalizzazione, al lavoro, alla circolazione delle merci e alla creazione di comunità, evidenzia ndo una condizione sociale universale. Mahama è noto soprattutto per la sua pratica di avvolgere le strutture architettoniche con sacchi di juta. Realizzati originariamente nel Sudest Asiatico e importati nel Ghana per trasportare i chicchi di cacao, questi sacchi diventano oggetti multifunzionali, impiegati sia dai venditori locali, che per diverse esigenze domestiche. Il materiale e il tragitto stesso della merce, la quale imprime nelle trame del suo involucro le tracce della propria storia, rappresentano il punto cruciale della ricerca di Mahama: l’indagine della memoria e del declino della storia, i frammenti culturali, lo scarto e la trasformazione futura di oggetti raccolti dall’ambiente urbano. Tramite l’analisi della loro storia, Mahama evidenzia come l’evoluzione nel tempo di questi oggetti denoti lo sviluppo e i cambiamenti nella società contemporanea.

Per la mostra in Fondazione Giuliani, Mahama ha lavorato a lungo con una rete di “collaboratori”, collezionando quasi duecento macchine da cucito in disuso per dar vita all’installazione su grande scala Capital Corpses I (2014-2019). Queste macchine, legate in maniera intrinseca alla moda e all’industria tessile, simboleggiano metaforicamente un contesto dove l’industria, e ogni ambito ad essa correlato, ignora completamente il processo di decadimento dell’oggetto. L’installazione esplora anche il suono, una componente importante e spesso trascurata dell’oggetto, che qui crea un’ulteriore connessione o eco con i due film in mostra. Il film Parliament of Ghosts (2014-2019) ritrae i lavoratori del mercato Agbogbloshie di Accra, la più grande discarica di rifiuti al mondo, mentre rimodellano incessantemente oggetti di latta, legno e acciaio, caduti in disuso con il progresso. La voce fuori campo che accompagna le scene di questo lavoro disumano sono le registrazioni dei dibattiti nel Parlamento ghanese degli anni ‘50. In questi dialoghi l’urgenza di valorizzare le capacità e il potenziale dei giovani ghanesi viene enfatizzata con un’ironia che risulta allo stesso tempo possibile e tragica. Il film in realtà virtuale Promises of hanging living men have no dead weight (2014-2019) crea un ulteriore eco, accompagnando lo spettatore nei funzionamenti interni e nelle dinamiche degli edifici in stato di degrado, dei silos abbandonati e degli altri scenari architettonici.

Maps of the Gold Coast (1898-2019) consiste in un gruppo di mappe del 1920-1950 oggi obsolete, prodotte durante il periodo coloniale in Ghana. Le mappe presentano tracce delle ricerche eseguite dagli inglesi durante la costruzione della ferrovia (ora quasi interamente in disuso) realizzata per il trasporto di merci e minerali, sulle quali Mahama è intervenuto con dei disegni. Queste mappe sono affiancate da una serie di fotografie che ritraggono l’avanbraccio di alcune donne provenienti da paesini del nord Ghana, vicini a dove Mahama è cresciuto. Partite per trovare lavoro come operaie nella capitale Accra, le donne si tatuano le braccia con i loro nomi e i contatti dei loro cari, nel caso venissero uccise o ferite durante uno dei numerosi incidenti stradali o in cantiere. Mahama è convinto che questa particolare crisi rappresenti un’apertura verso nuove conversazioni sull’idea del corpo nel ventunesimo secolo.

Ibrahim Mahama nasce nel 1987 a Tamale, in Ghana; vive e lavora ad Accra, Kumasi e Tamale. Una selezione delle sue mostre personali recenti più rappresentative include: Parliament of Ghosts, The Whitworth, University of Manchester, Gran Bretagna (2019); Labour of Many, Norval Foundation, Cape Town, Sud Africa (2019); A Friend, Fondazione Nicola Trussardi, Porta Venezia, Milano (2019); A straight line through the Carcass of History, 1918-1945, daadgalerie, Berlino (2018); In Dependence, Apalazzo Gallery, Brescia (2018); On Monumental Silences, Extra City Kunsthal, Anversa (2018); In the White Cube: Fragments, White Cube, Londra (2017); Fracture, Tel Aviv Museum of Art (2016). Ha partecipato a numerose collettive di grande prestigio, tra cui No Time for Caution 1966, La Biennale de l’Art africain contemporain: DAK’ART, Dakar, Senegal (2018); Documenta 14, Kassel, Germania e Atene (2017); All the World’s Futures, 56th Biennale di Venezia (2015). Quest’anno è stato uno degli artisti a rappresentare il Ghana al primo padiglione ghanese alla 58esima edizione della Biennale di Venezia.

A marzo 2019 Mahama fonda un centro artistico che comprende spazi espositivi, un centro di ricerca e le residenze degli artisti: il Savannah Centre for Contemporary Arts (SCCA) a Tamale, Ghana. Come estensione della sua stessa pratica artistica, l’intenzione dell’artista è quella di investire nella comunità contribuendo allo sviluppo e all’espansione della scena artistica contemporanea ghanese.

 

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Hokusai, Hiroshige, Hasui - Viaggio nel Giappone che cambia alla Pinacoteca Agnelli

Il percorso espositivo propone, attraverso una selezione di 100 straordinarie silografie dei tre maestri, Katsushika Hokusai, Utagawa Hiroshige e Kawase Hasui, un viaggio nei luoghi più suggestivi del Giappone, reali e immaginari. 

La Pinacoteca Agnelli di Torino presenta, da sabato 19 ottobre sino a domenica 16 febbraio 2020, la grande esposizione Hokusai Hiroshige Hasui. Viaggio nel Giappone che cambia.
 
In mostra le opere di due grandi Maestri del “Mondo Fluttuante” dell’Ottocento, Katsushika Hokusai (1760 - 1849) e Utagawa Hiroshige (1797 - 1858), insieme alle stampe moderne di Kawase Hasui (1883-1957), pittore esponente del movimento shin hanga ("nuove stampe"), che portò avanti i temi e le tecniche delle silografie policrome anche nelle epoche Meiji (1868-1912), Taishō (1912-1926) e parte della Shōwa, fino a metà degli anni Cinquanta del Novecento quando venne nominato “Tesoro nazionale vivente” nel 1956.
 
L’esposizione è curata da Rossella Menegazzo, docente di storia dell’Arte dell’Asia Orientale dell’Università di Milano, e Sarah E. Thompson curatrice del Boston Museum of Fine Arts, ed è organizzata dalla Pinacoteca Agnelli in collaborazione con il Museo di Boston insieme a MondoMostre. Main partner del progetto è FIAT.
 
Il percorso espositivo propone, attraverso una selezione di 100 straordinarie silografie dei tre maestri, Katsushika Hokusai, Utagawa Hiroshige e Kawase Hasui, un viaggio nei luoghi più suggestivi del Giappone, reali e immaginari, raccontando il mondo artistico di un paese che tra fine Ottocento e inizio Novecento subisce un’enorme trasformazione sotto l’influenza dell’Occidente alla scoperta di come il mondo fluttuante, reso noto dai primi due maestri, scivoli dentro una società che aspira ai canoni artistici europei, e non solo, di cui Hasui è testimone.
 
I visitatori potranno vivere una esperienza completa, prima sperimentando su di sé la meraviglia e l’emozione che all’epoca dovettero provare artisti come Monet, Van Gogh, Degas, Toulouse-Lautrec di fronte alla freschezza, alla semplicità e al forte impatto delle opere di Hokusai e Hiroshige, i due straordinari paesaggisti che contribuirono a rivoluzionare il linguaggio pittorico della Parigi di fine Ottocento; e poi, vedendo l’evoluzione di quelle immagini del Mondo Fluttuante traslate in epoca moderna, attraverso l’abilità, la nostalgia e la tecnica innovativa di Hasui, per la prima volta in un confronto diretto con le opere più importanti dei pittori classici della tradizione giapponese.
 
La mostra sarà corredata da un catalogo.


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Giuseppe Uncini / Termoli 2019, installation view al MACTE, ph Gino di Paolo

  

 

Max Mara Art Prize for Women, in collaborazione con Whitechapel Gallery annunciano le finaliste dell'ottava edizione 2019-2021

Le finaliste del premio edizione 2019 - 2021 sono state selezionate da una giuria presieduta da Iwona Blazwick, OBE, Direttrice di Whitechapel Gallery e Florence Ingleby (gallerista), Chantal Joffe (artista), Fatima Maleki (collezionista), Hettie Judah (critica d’arte).

Whitechapel Gallery, Collezione Maramotti e Max Mara sono liete di presentare le cinque finaliste dell’ottava edizione del Max Mara Art Prize for Women: Allison Katz, Katie Schwab, Tai Shani, Emma Talbot e Hannah Tuulikki. 

Le artiste si sono trovate oggi alla Collezione Maramotti per presenziare all’annuncio ufficiale e all’inaugurazione del progetto Che si può fare, realizzato dalla settima vincitrice del premio, Helen Cammock ed esposto per la prima volta la scorsa estate alla Whitechapel Gallery di Londra.

Le finaliste del premio edizione 2019 - 2021 sono state selezionate da una giuria presieduta da Iwona Blazwick, OBE, Direttrice di Whitechapel Gallery e composta da: Florence Ingleby (gallerista), Chantal Joffe (artista), Fatima Maleki (collezionista), Hettie Judah (critica d’arte).

Il Max Mara Art Prize for Women nasce nel 2005 da una collaborazione tra la Whitechapel Gallery e il Max Mara Fashion Group, con la finalità di promuovere artiste emergenti che lavorano nel Regno Unito consentendo loro di sviluppare il proprio potenziale, oltre a ispirare nuovi sguardi e prospettive sull’Italia del XXI secolo. La vincitrice – il cui nome sarà annunciato agli inizi del 2020 – potrà trascorrere un periodo di residenza di sei mesi in Italia, ideata a misura dell’artista, dopo aver presentato alla giuria una proposta per un nuovo progetto artistico. L’opera risultante verrà presentata per la prima volta alla Whitechapel Gallery di Londra per poi essere esposta alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia nel 2021. 

Iwona Blazwick, OBE, Direttrice di Whitechapel Gallery e Presidente della giuria del Max Mara Art Prize for Women, ha dichiarato: "Questo premio unico nel suo genere offre tempo, spazio e sostegno economico per consentire alle artiste di sviluppare il proprio potenziale. Per troppo tempo le donne artiste hanno dovuto lottare per conquistare un giusto riconoscimento. Il Max Mara Art Prize offre ad artiste di diverse generazioni l’opportunità di trascorrere un periodo formativo di diversi mesi in Italia e le risorse per creare un nuovo importante progetto che le porrà al centro dell’attenzione del mondo".

Le artiste finaliste del Max Mara Art Prize for Women 2019-2021 sono:

Allison Katz (n. 1980)
Allison Katz è nata in Canada, a Montréal, vive e lavora a Londra. La sua pratica artistica comprende pittura, ceramica, grafica e scrittura. Nel suo lavoro mescola immagini familiari di animali, figure umane e still-life con narrazioni astratte e surreali. Con variazioni di scala, che passano dalla dimensione domestica a quella monumentale, Katz aggiunge una dimensione testurale ai suoi quadri, creando incrostazioni superficiali di sabbia o riso. Battute e giochi di parole abbondano nei suoi lavori, in un gioco di rimandi umoristici tra testo e immagini che crea punti di confluenza paradossali, se non assurdi.

Katie Schwab (n. 1985) 
Katie Schwab vive e lavora a Londra. Le sue opere si sviluppano facendo propri i contesti sociali, storici e formali che ne determinano la creazione. L’artista documenta il sapere e le abilità condivise tra artisti, studenti, operatori museali, tecnici e cittadini comuni, mediante un processo creativo che intende facilitare la partecipazione ad atelier, incontri, lezioni e tour, insieme a una ricerca su materiale d’archivio, storia orale e campionari. Schwab si serve di diverse tecniche, tra cui tessitura, ceramica, ricamo, ebanisteria, stampa, video e molto altro, che trovano una comunanza nella considerazione di una manifattura collettiva.

Tai Shani (n. 1976)
Tai Shani è nata a Londra, dove vive e lavora. La sua pratica multidisciplinare comprende performance, film, fotografia e installazioni. Shani crea sculture dai colori brillanti poste all’interno di elaborate installazioni che talvolta riportano testi sperimentali scritti dall’artista. Shani intende reimmaginare l’alterità femminile in quanto totalità perfetta, inserita in un mondo che comprende cosmologie, miti e storie che negano il patriarcato. Shani è stata selezionata per il Turner Prize 2019 per la sua partecipazione a Glasgow International 2018, la personale DC: Semiramis a The Tetley, Leeds e la partecipazione alla mostra collettiva Still I Rise: Feminisms, Gender, Resistance.

Emma Talbot (n. 1969)
Emma Talbot vive e lavora a Londra. La sua opera esplora temi autobiografici. L’artista elabora e articola memorie e stati psicologici in poesie visuali o ruminazioni associative, attraverso il disegno, la pittura, installazioni e scultura. Le immagini nelle sue opere sono dirette e tracciate a mano, risultanti in rappresentazioni immediate, aperte e inventive di ciò che è visto nella mente. Incorporando la propria scrittura, riferimenti e citazioni da altre fonti, Talbot combina testi, immagini e modelli per evocare il simbolico, il metaforico e il quotidiano. Il suo lavoro esplora il sé, la politica e la società, il genere, il "mondo naturale", la nostra intimità con la tecnologia e il linguaggio.

Hanna Tuulikki (n. 1982)
Hanna Tuulikki, nata a Brighton, artista, compositrice e performer, lavora a Glasgow, in Scozia. La sua pratica artistica abbraccia performance, film e installazioni audiovisive multicanale, fondendo insieme voce, danza, costume e disegno. I suoi progetti multidisciplinari indagano "i modi in cui il corpo comunica oltre le parole, gravitando verso gli spazi ‘nel mezzo’, sia esso umano-e-più-che-umano, maschio o femmina, antico o contemporaneo”. Con un interesse particolare per la 'mimesi' - l'imitazione o l'incarnazione del 'mondo naturale' - all'interno delle tradizioni interculturali di musica e danza, il suo lavoro esplora i luoghi delle narrazioni popolari, della memoria, del rituale e della tecnologia in ambienti ed ecologie specifici. 

 

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Che si può fare di Helen Cammock e Rhizome and the Dizziness of Freedom di Mona Osman alla Collezione Maramotti

Il progetto include un film, una serie di incisioni su vinile, un fregio serigrafato e una stanza di ricerca in cui sono esposti libri e oggetti raccolti durante la residenza di sei mesi in Italia.

Collezione Maramotti è lieta di annunciare l'apertura di due nuove mostre: Che si può fare di Helen CammockRhizome and the Dizziness of Freedom di Mona Osman.

Helen Cammock, vincitrice della settima edizione del Max Mara Art Prize for Women e nominata al Turner Prize 2019, dopo la prima tappa alla Whitechapel Gallery di Londra presenta la nuova mostra Che si può fare con un allestimento rielaborato per gli spazi della Collezione. Il progetto include un film, una serie di incisioni su vinile, un fregio serigrafato e una stanza di ricerca in cui sono esposti libri e oggetti raccolti durante la residenza di sei mesi in Italia. La mostra sarà inoltre arricchita da un libro d’artista realizzato lo scorso luglio all’Istituto Centrale della Grafica di Roma.
Nell’opera di Cammock si intrecciano la narrativa femminile incentrata sulla perdita e sulla resilienza con la musica barocca composta da musiciste del Seicento, ispirazioni e racconti attraverso cui l’artista ha esplorato il concetto del lamento nella vita delle donne attraverso storie e geografie. 

Mona Osman, giovane artista con base a Bristol alla sua prima mostra personale in Italia, presenta un ciclo di nuovi dipinti realizzati per la Pattern Room della Collezione.
Osman ha lavorato contemporaneamente a tutte le nuove opere, in cui si ritrovano influenze e rimandi derivati da un lavoro concepito nello stesso tempo, in un unico spazio: l’ultimo anno, nello studio dell’artista.
Introdotta da un trittico di ritratti allestito su una parete esterna della sala principale, la mostra include tre grandi tele e due di medie dimensioni. Partendo dall’idea di affiancare episodi biblici a nozioni tratte dalla filosofia esistenzialista – e con l’intento di porre domande, più che di offrire risposte – Osman ha sviluppato pittoricamente una densa riflessione teorica e spirituale sulla ricerca del Sé.

Visita con ingresso libero negli orari di apertura della collezione permanente.
13 ottobre 2019: 14.30 – 18.30
17 ottobre 2019 – 16 febbraio 2020
Giovedì e venerdì 14.30 – 18.30
Sabato e domenica 10.30 – 18.30
Chiuso: 1° novembre, 25–26 dicembre, 1 e 6 gennaio

Collezione Maramotti
Via Fratelli Cervi 66, Reggio Emilia
Tel. +39 0522 382484
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collezionemaramotti.org