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Mostra Internazionale di Fotografia SUBLIMATIONS

Un evento eccezionale che raccoglierà più di cento opere d'arte di alcuni tra i fotografi più apprezzati e premiati del momento. 

La Fondazione Luciana Matalon è lieta di presentare dal 6 al 9 Giugno 2019 la Mostra Internazionale di Fotografia SUBLIMATIONS, un evento eccezionale che raccoglierà più di cento opere d'arte di alcuni tra i fotografi più apprezzati e premiati del momento.

Una serie eterogenea di fotografie andrà ad ‘affollare’ volutamente alcuni ambienti della Fondazione; una bizzarra combinazione di immagini nelle quali possiamo riconoscere i nostri pensieri, i nostri desideri e le nostre paure. Seguendo il fil rouge della mostra si possono decodificare le ‘iconografie’ e riconoscere i vari significati delle opere. L’obiettivo è scoprire - prima con gli occhi e poi con l'anima - tutti i pensieri e le sensazioni che erano prima celate agli occhi del visitatore, il quale diventa un partecipante attivo di questo processo di sublimazione.

SEVEN DAYS PHOTO AGENCY è una nuova realtà californiana nel campo della fotografia, che si occupa della curatela e della promozione del lavoro di artisti contemporanei su scala mondiale.

ARTISTI Gemmy Woud-Binnendijk, Marina Kazakova, Kiki Xue, Guoman Liao, Reka Nyari, Laura Makabresku, Olivier Robert, Elena Vizerskaya, Gritt Sanders, Elena Ivskaya Boutet, Ozlem Erdogan, Carolina Dutruel, Theodore Kefalopoulos, Lika Brutyan, Kateryna Shevchenko, Frank Bayh e Steff Rosenberger-Ochs, Ilona D. Veresk, John Kosmopoulos, Elena Bovo, Oksana Prikhodko, Ewa Cwikla, Paulien Huizinga, An La, Nora Bast, Daniel Munteanu, Nico Socha, Luciano Corti, Massimiliano Balo, Roy Lemme, Katherine Giovani, Maryna Khomenko, Isabella Quaranta, Jack Savage, Jeaneen Lund, Sophie Trunova, Olga Shpak, Alexandru Crisan, Yves Noir, Sherry Akramy, Olga Merrill, Philip McKay, Luigi Quarta, Klas Falk, Rohan Reilly, Rolf Hillert, Uwe Langmann, Peter F. Wingerter, Christophe Audebert, Suzan Armagan, Alex Schoenberg,Michele Maglio, Efi Gousi, Michelle de Rose, Rodica Tanase, Anna Alexis Michel, Mihai Florea, Artiom Kireev, Anja Diabaté, Achim Korherr, Marta Blue, Katya Knyazeva, Daniel Serva.Una mostra di Fondazione Luciana Matalon Foro Bonaparte 67, Milano Aperta dal martedì al sabato 10-19 Domenica e lunedì chiusa Ingresso gratuito +39 02 878781 - +39 02 45470885

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www.fondazionematalon.org

 

 

 

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Il progetto fotografico People of Tamba e la serie di corti video-documentari Senegal/Sicily

La Fondazione Sozzani presenta il progetto fotografico e la serie di corti video-documentari per la prima volta a Milano. 

La Fondazione Sozzani presenta il progetto fotografico People of Tamba di Giovanni Hänninen e la serie di corti video-documentari Senegal/Sicily creata da Alberto Amoretti e Giovanni Hänninen, per la prima volta a Milano. I due progetti sono nati con l’obiettivo comune di affrontare i diversi aspetti della migrazione clandestina nella società africana e in quella occidentale.

Giovanni Hänninen con People of Tamba crea un catalogo tipologico della società di Tambacounda, la regione più interna e rurale del Senegal, luogo d’origine della maggior parte dei migranti che lasciano il paese diretti verso l’Europa. Il progetto, iniziato nel 2017 e composto da 200 immagini, vede a Milano una selezione di fotografie in grande formato (3 x 2 metri). L’obiettivo di Hänninen restituisce dignità ai migranti – spesso considerati solo come numeri e flussi – con un ritratto collettivo della società da cui provengono. L’ispirazione di questo progetto nasce dal lavoro del fotografo tedesco August Sander (People of the Twentieth Century) che negli anni Venti realizzò una serie di ritratti a persone comuni per un catalogo dei ruoli della società tedesca poco prima dell’ascesa del nazismo.

Senegal/Sicily è una serie di corti video-documentari sul tema della migrazione tra il Senegal e la Sicilia, nata dalla collaborazione di Alberto Amoretti e Giovanni Hänninen con The Josef and Anni Albers Foundation e la Ong Le Korsa. Lo scopo con cui è stata realizzata è duplice: creare consapevolezza in Europa e in America sui pensieri, i sogni e le esperienze dei migranti e delle loro famiglie rimaste in Senegal e, allo stesso tempo, portare ai giovani della regione di Tambacounda un resoconto sincero dei rischi del viaggio e di cosa accade in Europa alle persone che sono riuscite ad arrivare.

I corti Senegal/Sicily hanno trovato il loro primo pubblico anche con le proiezioni itineranti fra le scuole e i villaggi di Tambacounda. Massamba, dello staff della Ong Le Korsa, periodicamente raggiunge le aree più remote della regione, portando con sé un proiettore per allestire cinema estemporanei e portare testimonianze e informazioni su cosa sia la migrazione.

Alla Fondazione Sozzani verrà presentato in anteprima Homecomings, quarto episodio della serie. Un racconto corale di uomini che, dopo un’esperienza da migranti, hanno deciso o sono stati costretti a ritornare a casa. Fra di loro Moustapha, un pescatore di un villaggio vicino a Dakar che, dopo aver affrontato l’Oceano per raggiungere le isole Canarie si è scontrato con una prova, per certi versi, ancor più dura: superare la vergogna di ritornare a casa senza alcun successo e più povero di prima. I ritratti di People of Tamba sono stati esposti nelle strade con stampe tre metri per due, incollate sui muri della Medina di Dakar (Dak’Art 2018), della Medina di Marrakech (1-54, Contemporary African Art Fair, 2019) e in occasione della Nuit Blanche 2018 di Parigi. Esperienze di arte pubblica in cui gli abitanti del luogo potevano fruire liberamente dei ritratti che, grazie al formato, erano a grandezza naturale. Oltre alle fotografie in mostra sulla terrazza della Fondazione Sozzani, undici stampe verranno affisse sui muri della città di Milano, per continurae l’esperienza di arte pubblica vissuta a Dakar, Parigi e Marrakech. 

I progetti People of Tamba e Senegal/Sicily sono realizzati con il supporto di The Josef and Anni Albers Foundation e Le Korsa.

Alberto Amoretti

Alberto Amoretti è nato nel 1982 e vive tra Roma e Milano. È sceneggiatore, autore e regista. Dopo essersi diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Milano nel 2010, inizia a collaborare con il regista Stefano Reali, scrivendo film tv e serie per RAI e Mediaset. Con la compagnia teatrale Atopos è co-autore nel 2015 dello spettacolo Homini (ovvero Man Pride) e realizza il documentario ATOPOS, generi teatranti (2017) con cui esordisce alla regia. Nel 2017 è ospite di Thread, la residenza d’artista di The Josef and Anni Albers Foundation. Per la Albers Foundation realizza, insieme a Giovanni Hänninen, la video installazione Anni’s Loom (2017), presentata al Guggenheim Museum Bilbao, e il corto A Touching Sight (2019), oltre alla serie di corti documentari Senegal/Sicily presentata al Centro Internazionale di Fotografia di Palermo, a Dak’Art 2018, al Maysles Doumentary Center di New York, alla Fondazione Studio Marangoni di Firenze e al Musée Yves Saint Laurent di Marrakech durante 1-54 Contemporary Art Fair.

Giovanni Hänninen

Giovanni Hänninen è nato a Helsinki nel 1976. Vive e lavora a Milano, dove ha conseguito un dottorato di ricerca in Ingegneria aerospaziale e insegna Fotografia per l’architettura presso la Scuola di Architettura e Società del Politecnico di Milano. Dal 2009 fotografa per la Filarmonica della Scala. Nel 2012 viene presentato da Gabriele Basilico nella mostra 20X20 dove propone il progetto cittàinattesa. Nel 2015 partecipa alla Triennale Off con MI-BG 49km. Invitato da The Josef and Anni Albers Foundation a fotografare la propria residenza d’artista in Senegal, le sue immagini vengono scelte per la mostra Thread (2017) da David Zwirner, New York. Nel 2018 viene chiamato da Bijoy Jain per documentare i progetti realizzati da Studio Mumbai in India. Nello stesso anno presenta il progetto People of Tamba a Dak’Art 2018 - Biennale d’Arte di Dakar che verrà poi portato a Parigi per la Nuit Blanche e a Marrakech come progetto speciale di MACAAL (Musée d’Art Contemporain Africain Al Maaden) per 1-54 Contemporary Art Fair.

 

 

 

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"2, 11, 47” la personale di Olivier Mosset alla Fondazione Antonio Dalle Nogare

Le undici opere esposte vanno dal 1970 al 2017 e toccano alcuni dei momenti più significativi della carriera dell’artista, cercando di presentare tutte le decadi di produzione. 

“2, 11, 47” è il titolo della mostra personale di Olivier Mosset (Svizzera, 1944) presso la Fondazione Antonio Dalle Nogare di Bolzano.
Il titolo prende spunto da tre numeri legati al concept e all’allestimento della mostra. Il numero 2 si riferisce alle superfici sulle quali le opere sono allestite, 11 è la quantità delle opere stesse e 47 sono gli anni complessivi di carriera che vengono affrontati in mostra. Infatti, le undici opere esposte vanno dal 1970 al 2017 e toccano alcuni dei momenti più significativi della carriera dell’artista, cercando di presentare tutte le decadi di produzione.

Tre opere degli anni ‘70, due degli anni ‘80, quattro degli anni ‘90, una degli anni 2000 e una degli anni 2010.
Si tratta chiaramente di una piccolissima selezione della prolifica carriera di un artista, il cui astuto e provocatorio approccio alla pittura lo ha reso all'avanguardia nell'arte contemporanea dalla fine degli anni ‘60 ad oggi.  Superfici colorate, cerchi, materia e ripetizione ossessiva di pattern geometrici tracciano le tappe della carriera di Mosset: un’opera radicale e dinamica che rifiuta qualsiasi tipo di soggettività.

Fondatore a Parigi del gruppo BMPT con Daniel Buren, Michel Parmentier e Niele Toroni, Mosset ha riflettuto criticamente sulla natura spettacolare e autocosciente della nuova avanguardia. Ha messo alla prova idee consolidate di autorialità artistica e originalità per rendere l'arte più accessibile e per sottolineare l'importanza dell'oggetto artistico rispetto alla sua paternità. Dopo essersi trasferito negli USA nel 1978, ha iniziato a lavorare su un corpo di dipinti monocromatici che ha avuto un'influenza fondamentale sulla generazione di pittori neo-geo che sarebbero emersi negli anni '80. Mantenendosi sempre entro i limiti e le preoccupazioni particolari della pittura e con una profonda comprensione della sensualità e della fisicità dei colori, il lavoro di Mosset si lega in modo impeccabile alla rete di relazioni istituzionali che sono alla base del nostro incontro con l'arte.

“2, 11, 47” è strutturata come una piccola retrospettiva, una narrazione non lineare ma a salti tra alcune delle tappe fondamentali della carriera di uno dei più influenti artisti concettuali degli ultimi 50 anni.

 

 

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Latifa Echakhch Romance alla Fondazione Memmo

Romance nasce dall’invito rivolto a Latifa Echakhch per la realizzazione di un progetto inedito a partire dalle suggestioni derivanti dal suo incontro con il paesaggio, le atmosfere, la storia e le vicende socio-culturali di Roma.

Fondazione Memmo presenta, da venerdì 3 maggio, Romance, personale dell’artista francomarocchina Latifa Echakhch, a cura di Francesco Stocchi. La mostra sarà aperta al pubblico sino a mercoledì 27 ottobre 2019. Romance nasce dall’invito rivolto dalla Fondazione Memmo a Latifa Echakhch, per la realizzazione di un progetto inedito a partire dalle suggestioni derivanti dal suo incontro con il paesaggio, le atmosfere, la storia e le vicende socio-culturali di Roma.

La mostra trae origine da un processo di avvicinamento graduale che ha portato l’artista a scoprire, interiorizzare e tradurre gli stimoli raccolti nel corso delle sue visite. Il titolo della mostra, Romance, riassume lo spirito dell’intervento di Latifa Echakhch volto a rappresentare la stratificazione architettonica, culturale e geologica della città, in cui si intrecciano differenti periodi storici e si mescolano molteplici linguaggi e registri espressivi. L’artista è interessata a esprimere questo sentimento di trasporto, di indagine e sorpresa attraverso un’istallazione realizzata negli spazi della Fondazione Memmo (le antiche scuderie di Palazzo Ruspoli): un’opera immersiva, inedita che richiama – sia concettualmente, sia per la tecnica realizzativa – i “capricci” architettonici in materiale cementizio che ornano i giardini di fine Ottocento. Latifah Echakhch lavorerà on site alla composizione di un percorso installativo, punteggiato da una serie di sculture cave in calcestruzzo armato, dalle quali emergeranno oggetti decorativi di diverse origini, creando una stratificazione di riferimenti colti e popolari. Un cammino che si sviluppa negli spazi espositivi di Fondazione Memmo e che invita il visitatore all’esplorazione, tra caverne, stalattiti e stalagmiti, finte palizzate in legno e oggetti della vita quotidiana.

Nel progetto espositivo pensato per la Fondazione Memmo si possono rintracciare i diversi indirizzi che hanno contraddistinto la ricerca di Echakhch negli ultimi anni. Il 2018 ha infatti visto l’artista confrontarsi con il tema dei giardini romantici ne Le jardin méchanique al Nouveau Musée National de Monaco; con quello delle stratificazioni di tracce nelle opere edili alla Chapelle Saint-Jacques di Saint Gaudens; e con quello della potenza evocatrice dell’oggetto in disuso o deteriorato, come nella campana in pezzi esposta nella personale al Kiosk di Ghent.

Romance testimonia il rigore di Latifa Echakhch, episodio più recente di un flusso creativo fatto di rimandi e anticipazioni che permettono di cogliere la poetica dell’artista. Questa mostra segna una ulteriore tappa del percorso attraverso cui la Fondazione Memmo intende promuovere l’incontro di artisti internazionali con il tessuto produttivo e artigianale della città di Roma attraverso la produzione di progetti espositivi che rivisitino materiali e tecniche tradizionali.

INFORMAZIONI

Mostra: Latifa Echakhch. Romance Curatore: Francesco Stocchi Assistente curatore: Saverio Verini

Vernissage: giovedì 2 maggio 2019, ore 18.00

Luogo: Fondazione Memmo, via Fontanella Borghese 56/b, 00186 Roma

Apertura al pubblico: 3 maggio – 27 ottobre 2019

Orario: tutti i giorni dalle 11.00 alle 18.00 (martedì chiuso) Ingresso libero

| Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. | www.fondazionememmo.it

 

 

 

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 Ibrahim Mahama / Silence between the lines, Ahenema Kokoben, Kumasi, 2015 / Kumasi, Ghana, installation view / Courtesy the artist

 

Fondazione Nicola Trussardi presenta IBRAHIM MAHAMA A FRIEND

L’installazione è realizzata in occasione dell’Art Week milanese, coordinata dal Comune di Milano, e rimarrà visibile anche per l’intera durata della Design Week. 

Da martedì 2 a domenica 14 aprile 2019, la Fondazione Nicola Trussardi presenta A Friend, un’imponente installazione concepita appositamente per i due caselli daziari di Porta Venezia dall’artista ghanese Ibrahim Mahama (Tamale, Ghana, 1987), a cura di Massimiliano Gioni. L’installazione è realizzata in occasione dell’Art Week milanese, coordinata dal Comune di Milano, e rimarrà visibile anche per l’intera durata della Design Week.

Dopo i suoi grandi interventi all’interno di importanti rassegne internazionali di arte contemporanea – dalla 56. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia (2015) a Documenta 14 (2017) a Kassel e Atene – la Fondazione Nicola Trussardi ha invitato Mahama a realizzare a Milano un’installazione su scala urbanistica che coinvolgerà interamente un luogo simbolo della città: il crocevia di Porta Venezia, una delle sei porte principali della cinta urbana, che sorge sullo stesso asse viario su cui erano sorte in precedenza le omonime porte di epoca romana, medievale e spagnola. Per secoli Porta Venezia è stata per Milano la porta d’Oriente, segnando il confine che delimitava il territorio urbano rispetto alla campagna, luogo che storicamente ha contribuito a definire la topografia di Milano e la relazione tra la città e il mondo esterno, ricorrente tanto nella vita quanto nelle cronache: dall’ingresso della peste che devastò la città con l’epidemia del XVII secolo, passando per le descrizioni nelle pagine de I Promessi Sposi, fino ad arrivare ai quartieri multietnici che oggi si articolano intorno a questo snodo fondamentale. A Friend vuole innescare una riflessione sul concetto stesso di soglia, quel luogo di passaggio che definisce l’interno e l’esterno, il sé e l’altro, l’amico e il nemico.

Come già avvenuto per le numerose opere pubbliche realizzate da Ibrahim Mahama nelle capitali dell’arte contemporanea in musei, biblioteche, palazzi governativi, teatri e stazioni ferroviarie, anche a Milano l’artista avvolgerà i caselli neoclassici di Porta Venezia con sacchi di juta, creando una seconda pelle che conferirà ai due edifici una nuova identità, portandoci a riguardarli non più come semplici monumenti, ma alla luce della loro origine storica e della loro funzione simbolica ed economica come luogo di scambio commerciale. Rivolgendosi a tutte le persone che quotidianamente abitano e frequentano la città, Mahama metterà in scena in uno snodo nevralgico per la viabilità cittadina uno spettacolo temporaneo capace di confrontarsi con il passato e il presente di Milano. In questa presentazione milanese, l'opera di Mahama sembra anche ricollegarsi esplicitamente agli interventi urbanistici dell'artista Christo, che negli anni Settanta aveva impacchettato i monumenti a Leonardo da Vinci e a Vittorio Emanuele in Piazza Scala e Piazza Duomo. Se in quegli anni le azioni di Christo sembravano criticare il mondo dei consumi, oggi le "dimostrazioni civili" – come le descrive l'artista – di Mahama raccontano un mondo assai più complesso di tensioni globali.

Attraverso la ricerca e la trasformazione dei materiali, Ibrahim Mahama indaga alcuni dei temi più importanti della contemporaneità: la migrazione, la globalizzazione e la circolazione delle merci e delle persone attraverso i confini e le nazioni. Le sue installazioni su larga scala impiegano materiali raccolti da ambienti urbani, come frammenti architettonici, legno, tessuti e, in particolare, sacchi di juta che vengono cuciti insieme e drappeggiati su imponenti strutture architettoniche. Come i sacchi americani usati per la distribuzione in Europa degli aiuti alimentari del piano Marshall furono probabilmente alla base dell'ispirazione di Alberto Burri, così i sacchi di Mahama sono elementi fondamentali della sua ricerca: simbolo dei mercati del Ghana, sono fabbricati in Asia e importati in Africa per il trasporto su scala internazionale di merci alimentari e di vario genere (cacao, fagioli, riso, ma anche carbone).

Strappati, rattoppati e marcati con vari segni e coordinate, i sacchi con le loro drammatiche ricuciture raffazzonate diventano garze che tamponano le ferite della storia, simbolo di conflitti e drammi che da secoli si consumano all’ombra dell’economia globale. I sacchi di Mahama racchiudono allo stesso tempo un significato più nascosto che riguarda la forza lavoro che si cela dietro la circolazione internazionale delle merci. Il sacco di juta, spiega l’artista, “racconta delle mani che l’hanno sollevato, come dei prodotti che ha portato con sé, tra porti, magazzini, mercati e città. Le condizioni delle persone vi restano imprigionate. E lo stesso accade ai luoghi che attraversa”. Per assemblare i sacchi, spesso Mahama collabora con decine di migranti provenienti da zone urbane e rurali in cerca di lavoro, senza documenti né diritti, vittime di un’esistenza nomade e incerta che ricorda le condizioni subite dagli oggetti utilizzati nelle proprie opere. 

L'installazione A Friend di Ibrahim Mahama è stata commissionata dalla Fondazione Nicola Trussardi e prodotta in collaborazione con miart, fiera d’arte moderna e contemporanea di Milano, nell'ambito dell'Art Week milanese 2019, un programma di eventi, inaugurazioni e aperture straordinarie nei musei e nelle istituzioni pubbliche e private, che raccoglie i principali operatori milanesi con la regia del Comune di Milano. 

Si ringraziano per il sostegno: Confcommercio Milano; Spada Partners; Apalazzogallery. 
Sponsor tecnico: Belluschi 1911. 
Media coverage: Sky Arte HD.
Un ringraziamento speciale va al Festival Cinema Africano, d’Asia e America Latina di Milano, la cui ventinovesima edizione si terrà dal 23 al 31 marzo 2019.

A Friend di Ibrahim Mahama fa parte di una serie di incursioni realizzate dal 2013 dalla Fondazione Nicola Trussardi in occasione di miart: una serie di progetti speciali, mostre temporanee, performance e interventi pop-up che hanno portato a Milano artisti internazionali tra cui Jeremy Deller, Sarah Lucas, Gelitin, Darren Bader e Stan VanDerBeek

La Fondazione Nicola Trussardi è un’istituzione no profit privata, un museo nomade per la produzione e la diffusione dell’arte contemporanea in contesti molteplici e attraverso i canali più diversi, che nasce a Milano nel 1996. Le sue attività sono rese possibili, oltre che dalle tre socie fondatrici Beatrice, Maria Luisa e Gaia Trussardi, anche grazie alla generosità di un gruppo di sostenitori che ne supportano i progetti.

Con A Friend continua così il percorso intrapreso dalla Fondazione nel 2003 con la Presidenza di Beatrice Trussardi e la Direzione Artistica di Massimiliano Gioni, portando l’arte contemporanea nel cuore della città di Milano, riscoprendo e valorizzando luoghi dimenticati o insoliti. Dopo importanti mostre personali tra cui quelle di Allora & Calzadilla, Pawel Althamer, Maurizio Cattelan, Tacita Dean, Michael Elmgreen & Ingar Dragset, Urs Fischer, Peter Fischli e David Weiss, Paul McCarthy, Paola Pivi, Pipilotti Rist, Anri Sala e Tino Sehgal e le due grandi mostre a tema La Grande Madre (2015) e La Terra Inquieta (2017), Beatrice Trussardi e Massimiliano Gioni sono ora orgogliosi di presentare questa grande installazione di Ibrahim Mahama, nel sedicesimo anno di attività nomade della Fondazione Nicola Trussardi. 
  

 

 

 

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 Giorgio de Chirico, Le consolateur, 1929, olio su tela.

Fondazione Magnani-Rocca ospita una grande mostra dedicata a Giorgio de Chirico e Alberto Savinio

La Fondazione presenta oltre centotrenta opere tra celebri dipinti e sorprendenti lavori grafici, in un percorso espositivo che, dalla nascita dell’avventura metafisica, si focalizza su un moderno ripensamento della mitologia 

Dal 16 marzo al 30 giugno la Fondazione Magnani-Rocca ospita una grande mostra dedicata a Giorgio de Chirico e Alberto Savinio, i «Dioscuri» dell’arte del XX secolo.
I due fratelli hanno ripensato il mito, l’antico, la tradizione classica attraverso la modernità dell’avanguardia e della citazione, traslandoli e reinterpretandoli per tentare di rispondere ai grandi enigmi dell’uomo contemporaneo, dando vita a quella che Breton definì una vera e propria mitologia moderna.
La mostra – allestita alla Villa dei Capolavori, sede della Fondazione a Mamiano di Traversetolo presso Parma – presenta oltre centotrenta opere tra celebri dipinti e sorprendenti lavori grafici, in un percorso espositivo che, dalla nascita dell’avventura metafisica, si focalizza su un moderno ripensamento della mitologia e giunge alla ricchissima produzione per il teatro, documentata anche da preziosi bozzetti, figurini e costumi per l’opera lirica del Teatro alla Scala di Milano.

I Dioscuri dell’Arte – «Sono l’uno la spiegazione dell’altro» scriveva Jean Cocteau dei due fratelli de Chirico. Vicinissimi nei primi passi delle rispettive carriere, de Chirico e Savinio lavorano a stretto contatto nei primi anni parigini. André Breton definiva il loro lavoro “indissociabile nello spirito”: le visioni concepite da Giorgio in quegli anni, trovano un corrispettivo letterario nella poetica del fratello; nonostante il merito sia stato storicamente attribuito al genio di de Chirico, ad oggi è ormai riconosciuto il ruolo rivestito da Savinio nell’elaborazione dell’estetica metafisica.

L’esposizione – curata da Alice Ensabella, Università di Grenoble, e da Stefano Roffi, direttore scientifico della Fondazione Magnani-Rocca – si propone di ricostruire criticamente le fonti comuni dei fratelli de Chirico al fine di metterne in evidenza affinità, contrasti e interpretazioni del fantastico universo che prende forma nelle loro traduzioni pittoriche, letterarie e teatrali.

Giorgio (1888-1978) e Andrea (1891-1952) de Chirico – nascono in Grecia, dove trascorrono tutta l’infanzia. Figli di un milieu alto borghese e cosmopolita, ricevettero un’educazione solida ed internazionale, influenzata dal romanticismo e dal nichilismo tedeschi, dall’avanguardia parigina, dalla cultura classica mediterranea, greca certamente, ma anche profondamente italiana.
Questo particolarissimo imprinting filosofico, artistico e letterario, che forgia le menti dei fratelli de Chirico nei loro anni di formazione e primi anni di attività, darà come risultato uno dei momenti più originali e più alti della cultura figurativa italiana del Novecento.

Il viaggio, il mistero del distacco, la struggente commozione del ritorno, gli interrogativi sulla condizione umana, il richiamo al mito – Nonostante il comune percorso intellettuale, de Chirico e Savinio dimostrarono fin da giovani caratteri e approcci diversi alla pratica artistica. Savinio, figura poliedrica, nasce come musicista e compositore, diviene in seguito scrittore e approda alla pittura solo all’età di trentacinque anni. De Chirico, dalla personalità più decisa e granitica, individua fin dall’adolescenza la sua strada nella pittura.
Se le opere di entrambi sono caratterizzate da temi di interesse comune come il viaggio, il mistero del distacco, la struggente commozione del ritorno, gli interrogativi sulla condizione umana, il richiamo al mito, all’antico, le interpretazioni che i due fratelli ne forniscono non sono le stesse, approdando spesso a risultati stilisticamente e iconograficamente distanti.
Più freddo, mentale e concettuale, de Chirico, anche dopo la grande stagione metafisica non rinuncerà a rappresentazioni ancora impregnate di enigmi, che caratterizzeranno i suoi paesaggi che richiamano ai miti dell’antichità, cavalli fra le rovine della civiltà greca, gladiatori in procinto di vivere o morire, autoritratti e ridondanti nature morte.
Gioco e ironia sono invece i cardini intorno ai quali ruota l’estetica di Alberto Savinio. A differenza del fratello, infatti, Savinio dimostra un’innata capacità di immettere nei profondi silenzi metafisici la sapiente leggerezza dell’ironia, che si dispiega attraverso una visionarietà fantastica. Nelle sue opere oggetti inanimati ed esseri animati si uniscono in un’unica rappresentazione colorata e vivace, nella quale forme umane e animali si confondono e si decontestualizzano, inserite all’interno di prospettive impossibili e di un’atmosfera improbabile quanto ludica.

Le opere – Le opere provengono da importanti istituzioni quali, fra le altre, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, il Mart di Rovereto, la Fondazione Teatro alla Scala di Milano, il Fondo Ambiente Italiano, celebri collezioni quali la Collezione Barilla di Arte Moderna e gallerie da tempo impegnate nella valorizzazione dei due artisti.

Il catalogo – I contributi in catalogo si concentrano sull’approccio dei fratelli alle loro fonti (Nicol Mocchi), oltre ai rispettivi percorsi nelle varie discipline artistiche in cui si sono confrontati: la pittura (Alice Ensabella), ovviamente, ma anche il libro d’artista e il teatro (Mauro Carrera), oltre alle consonanze fra i ‘Dioscuri’ e Luigi Magnani, creatore della Fondazione (Stefano Roffi). Essendo i motivi di ispirazione della costruzione della suddetta mitologia moderna al centro di questo progetto, due contributi in catalogo si focalizzano su aspetti più specifici dell’iconografia saviniana (Gerd Roos) e dechirichiana (Daniela Ferrari).

La mostra è realizzata grazie al contributo di:

FONDAZIONE CARIPARMA, CRÉDIT AGRICOLE ITALIA.

Con la collaborazione di AXA XL Art & Lifestyle, parte di AXA XL, divisione di AXA, e di AON S.p.A.
Media partner: Gazzetta di Parma.

Sponsor tecnici: Angeli Cornici, Cavazzoni Associati, Fattorie Canossa, Società per la Mobilità e il Trasporto Pubblico.